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KALEIDON

FREE LOVE & FREE JAZZ

di Giorgio Rivieccio (da Ciao 2001 n. 16 del 21 aprile 1974)

 

 

Raramente il primo LP di un gruppo esordiente ne offre l’immagine precisa, immagine che viene in genere modificata, in parte o totalmente, dai dischi successivi. Questo è dovuto a numerosi fattori, fra i quali il primo approccio con la sala d’incisione e un certo timore di non riuscire ad esprimersi pienamente, imputabile soprattutto ad una “immaturità” musicale e ad una determinazione di stile ancora incompleta.

Il caso dei “Kaleidon” è diverso: i quattro ragazzi di Roma, pur essendo alla loro prima esperienza discografica hanno dimostrato di aver già maturato un proprio originalissimo discorso jazzistico, attribuibile al lungo tirocinio che ognuno di essi ha compiuto con altri gruppi di jazz e, per alcuni, agli anni di conservatorio, in un secondo momento abbandonato per seguire idee più personali.

“Free love”, vale a dire il nome originario del complesso, è il titolo di questo LP, che ci ha davvero sorpresi sia dal lato tecnico che da quello stilistico e che è tanto più apprezzabile in quanto è frutto di ricerche personali senza compromessi di natura “discografica” che per molti vengono preposti alla chiarezza espressiva.

Il jazz modale dei Kaleidon si distacca dalle tradizionali matrici di questo genere per giungere ad un “sound” molto particolare e comunicativo, che si basa su variazioni di fiato e di piano elettrico su una base armonica lineare, evitando salti bruchi di tempo e di “modo” che spesso fanno da paravento alla carenza di idee.

Anche la mancanza di “assoli” gioca una carta a favore della omogeneità della loro musica, la quale denota una compattezza ed un affiatamento davvero eccellenti, se si pensa che pur essendo solo in quattro, non fanno mai notare scompensi nella base ritmica di sostegno, formata unicamente dal basso e dalla batteria.

Non è certamente un jazz di rottura quello dei Kaleidon, ma non per questo è meno apprezzabile di quello di altri che affidano unicamente alle variazioni improvvise e agli attacchi imprevisti il loro discorso. IL feeling di questo gruppo scaturisce dalle note di ogni singolo strumento, avvolgendo in pieno l’ascoltatore e riuscendo ad abbattere quello schermo che si crea tra questi e l’esecutore, per stabilire con questo una più diretta comunicazione. E’ una musica raffinata, in cui ad ogni nota, ad ogni pausa viene dato il giusto valore ed il giusto equilibrio anche nelle improvvisazioni che nonostante questo conservano tutta la loro freschezza e la loro spontaneità.

 

L’INTERVISTA

2001: Siete soddisfatti di questo vostro primo LP?

R.: Sì, possiamo dirci davvero molto soddisfatti del risultato ottenuto, soprattutto se si pensa che questa è la nostra prima incisione e che abbiamo realizzato il disco in soli tre giorni,

2001: Non avete incontrato difficoltà nel dover dare il meglio di voi in uno studio “freddo” e senza avere davanti a voi il pubblico che potesse darvi la “carica” indispensabile per eseguire questo genere di musica?

R.: In realtà all’inizio ci sentivamo piuttosto a disagio tanto che avevamo pensato di far venire alcuni amici nella sala di incisione, ma poi abbiamo preferito il silenzio all’atmosfera fittizia che si sarebbe areata, cercando in noi stessi la “carica” emotiva, molto difficile da raggiungere all’inizio, ma che invece è giunta spontaneamente dopo qualche ora di prova.

2001: Accettereste che la musica che voi fate venisse etichettata con nomi che al giorno d’oggi vanno tanto di moda, come “Jazz rock” oppure “Pop jazz”?

R.: Assolutamente no. Il nostro è jazz, e basta: logicamente sarà differente da quello “classico” di Kenton o di Ellington, ma non è un motivo valido per definirlo con quelle formule banali e squalificanti. Il jazz è in continua evoluzione, come del resto lo è tutta la musica: non possiamo pensare di rimanere ancorati alle formule che si usavano trenta o quaranta anni fa e che ora sono troppo sfruttate e impersonali. Noi vogliamo invece portare avanti un discorso più vivo e attuale, rivolto a un pubblico che non è più quello del 1940, ma che ha nuove esigenze musicali e culturali.

2001: Come pensate di inserirvi con il vostro discorso nel panorama musicale italiano, così vasto e agitato?

R.: Il problema è molto complesso. Possiamo rispondere dicendo che noi puntiamo soprattutto sui giovani, proponendo loro un jazz giovane, attuale, cercando di smitizzare questo genere di musica finora esclusivo appannaggio di una ristretta élite di ascoltatori. Secondo te, quanta gente va all’Opera per amore della musica e quanta solo per “essere notata”? E quante delle persone che dicono di essere appassionate di jazz lo sono per davvero e non perché cercano di apparire culturalmente più elevate agli occhi degli altri? Ecco, noi miriamo soprattutto a un discorso di massa, che possa coinvolgere tutti, e in particolar mo do quelli che sono più vicini a noi, cioè i giovani.

2001: Pensate in futuro di cambiare la vostra attuale formazione, così come avviene per quasi tutti i complessi di jazz?

R.: Come abbiamo già detto prima, la nostra musica è in continua evoluzione. Proprio per questo non è improbabile che nel nostro secondo LP potremo avvertire l’esigenza di esprimerci con nuove formule strumentali che comporterebbero l’inserimento, nella nostra formazione, di elementi nuovi.

Concludendo un discorso intorno a un complesso esordiente, questo viene di solito definito come un speranza, in attesa che gli albums successivi non deludano le aspettative. I Kaleidon erano già più che una speranza quando li abbiamo sentiti suonare al 3° Festival di Musica d’Avanguardia; ora con il loro “Free Love” sono una realtà concreta.

                                                                                                                                                                            Giorgio Rivieccio

 

 

Ciao 2001