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I FHOLKS
"IL ROCK E' INTERNAZIONALE"
di Armando Gallo (da Ciao 2001 n. 37 del 15 settembre 1971)
ROMA, settembre Era maggio del ’68 e Jimi Hendrix se ne stava seduto in un angolo del Titan Club di Roma. Era appena arrivato da Londra per la sua prima ed unica tounrée italiana e, attorniato da una scelta schiera di personalità musicali, stava sorseggiando un “drink” quando fece smettere tutti di parlare. “I like this band. I want the boy sto play with me on the tour”. Jimi era stato esplicito. Entusiasta del complesso italiano che era in pedana, disse di volerlo con sé durante il concerto romano. Quel complesso oggi esiste ancora. L’incoraggiamento dato da Jimi Hendrix quella sera ha dato ai cinque ragazzi romani una spinta enorme per continuare a lottare nel difficile mondo musicale italiano. Si chiamano i Fholks, sono cinque musicisti in gamba e lo hanno rivelato anche recentemente al Festival di Gualdo dove sono stati i trionfatori della seconda serata che avrebbe dovuto vedere i Formula 3 come mattatori. La formazione è composta da: Henryk Topel, 23 anni, cantante. Piero Pavone, 23 anni, basso chitarra. Pericle Sponzilli, 20 anni, chitarra solista. Ruggero Stefani, 22 anni, batteria. Federico Troiani, 23 anni, organo e pianoforte (ora all’ultimo esame per il conseguimento del diploma di professore al Conservatorio di Roma). Una visita dei ragazzi alla nostra redazione romana ce li ha fatti conoscere più da vicino. “E’ solo recentemente che siamo riusciti ad ottenere un ‘sound’ compatto che spero ci differenzi da tutte le altre formazioni” esordisce Piero. “E’ inutile che si dica, ma le formazioni italiane fino ad ora sono state molto indietro rispetto ai colleghi inglesi ed americani. Noi abbiamo suonato per anni come professionisti, ma solo ora ci rendiamo conto che quello che abbiamo fatto non è stato altro che scuola. Ora siamo pronti ad offrire qualcosa di veramente nostro”. “E’ per questo motivo che avete voluto attendere per incidere il vostro primo album?” ho chiesto. “Certamente” conferma Henryk, cantante della formazione. “Recentemente siamo passati attraverso una vena creativa senza precedenti e tuttora scriviamo in continuità. Ogni giorno ci vengono in testa motivi nuovi che trascriviamo subito in un brano, ma manteniamo solo quello che ci piace anche dopo uno o due mesi più tardi. Fino ad ora abbiamo circa 25 brani inediti che riteniamo buoni al momento per un 33 giri. Ma naturalmente non ci fermeremo qui; vorremmo arrivare ad una quarantina per poi scegliere 10 o 12 brani per il nostro album”. “Quando avverrà l’incisione?” “A novembre, ma abbiamo tutto un programma da seguire prima di arrivare agli studi d’incisione” mi ha detto Henryk. “Dobbiamo fare alcune serate nelle prossime due settimane e verso la fine di settembre ci sposteremo a Londra per circa un mese. Lì cercheremo di acquistare della strumentazione nuova, visiteremo alcuni studi discografici per cercare di assimilare delle nuove tecniche d’incisione e naturalmente vogliamo incontrare e vedere in azione il maggior numero di complessi inglesi possibile”. “Non credete che ciò, presso un certo pubblico italiano sia considerato come un sistema per copiare qualche influenza inglese non ancora conosciuta in Italia?” “Balle!” scoppia il “Cicala”. Cicale è il tecnico dei Fholks ed è un personaggio molto conosciuto nell’ambiente musicale. E’ naturalmente anche il miglior “fan” del complesso per il quale spesso lavora senza percepire nessun compenso. Il suo sfogo è quindi comprensibile. “Oggigiorno è necessario un colloquio sul piano artistico con altri complessi ed è questo che vogliamo raggiungere in Inghilterra” dice Piero. “A Londra si può vivere benissimo 12 mesi all’anno nell’ambiente musicale senza mai uscirne. Lì si mangia e si respira musica una volta che sei musicista, cosa che invece manca qui in Italia. Siamo troppo isolati e spesso non si incontra nessuno del nostro mestiere per intere settimane essendo sparpagliati un po’ ovunque in Italia. In Inghilterra invece tutti ci complessi inglesi fanno base a Londra; le agenzie, i managers, le case discografiche. Ci sono dei locali, delle birrerie dove si possono incontrare solo musicisti che per beneficio reciproco discutono nuove idee, nuovi stili, di sanno appuntamento per qualche “jam-session”. Lì è veramente un mestiere”. “So che Maurizio Vandelli vi ha appoggiato molto nel vostro lavoro, ma fino a quale punto siete a lui collegati?” “Maurizio ci vide suonare un paio d’anni fa alle Piscine, un locale di Roma” mi racconta Ruggero. “Alla fine della nostra esibizione ci chiamò e ci disse che apprezzava molto la nostra musica. Ci portò con lui a Milano e ottenemmo un contratto discografico. Fino ad ora ci ha prodotto discograficamente, ma solo su 45 giri e sarà con noi in sala d’incisione anche durante la produzione del nostro album”. “Cosa ne pensate di Maurizio?” “Un mostro”. Rispondono i ragazzi all’unisono. “E’ un grande cervello ed è forse l’unica persona in Italia che si può ringraziare per un sostanziale avvicinamento della nostra musica, intendendo con ciò la musica moderna, a quella americana ed inglese, Forse il suo è ora un lavoro oscuro, ma le innovazione e suggerimenti che dà continuamente in tutte le sale d’incisione dove si trova si possono notare in tutte le produzioni nelle quali ha fatto capolino”. “Per me è inutile parlare di pop all’italiana o rock inglese” ha voluto aggiungere Pericle Sponzilli. “La musica è musica, sia qui che negli Stati Uniti o in Francia o in Inghilterra; basta scuonarl bene e con idee nuove, comunicativa e gusto. Se suoniamo bene non vuol dire che suoniamo all’inglese, ma significa che finalmente siamo riusciti ad agguantare lo stile che ci aveva lasciato dieci anni indietro. Tutta la musica internazionale dovrebbe raggiungere uno stesso livello. Ma mi dici chi in Italia sappia distinguere un disco inglese da uno americano? Eppure si va avanti a dare etichette e distinguere i due generi”. “I Beatles non avevano lo stile inglese, ma erano una cosa internazionale”. Aggiunge Piero confermando la tesi di Pericle. “Nelle vostre esibizioni cantate in inglese, canterete in inglese anche sul prossimo album?” “Sì” risponde Henryk. “Prima di tutto vorremmo mettere in circolazione il disco anche all’estero e poi il canto in lingua inglese, basato sulla musica moderna è senza dubbio molto più espressivo e dà modo di giocare di più con la linea armonica”. “Certamente puntate molto sull’album e spero venga fuori un capolavoro, ma cosa succederebbe se il disco non funzionasse in Italia?” “Ce ne andremo sicuramente”. Risponde seriamente Piero. “Inghilterra, Germania, Svezia; nin importerebbe particolarmente dove, basta che possiamo vivere suonando”. “E’ oggigiorno difficile suonare in Italia?” “Sì, quasi impossibile, ma specialmente per l’organizzazione che non esiste e per il crescente numero di piccoli impresari che hanno trovato in noi una fonte di lucro”. “Tra le vostre influenze musicali passate ci sono stati i King Crimosn, i Moody Blues, gli Iron Butterfly. Chi vi interessa ora particolarmente?” “Il Cicala” rispondono in coro. “E chi ti influenza, Cicala?” Cicala mi guarda e poi quasi sussurrando mi dice: “I Fholks”. Armando Gallo
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