In questa pagina   pensieri, riflessioni, articoli di giornali che io ritengo rilevanti soprattutto perché riflettono il mio pensieri, i miei ideali, la mia filosofia

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Ultima revisione: 28/01/05

Sommario

Berlusconi un innocente perseguitato dai giudici

I venditori di sogni

Il cardinale e la carta d'Europa

Il matrimonio

Follini va da Padre Pio

Tasse e bipolarismo

La croce dentro non si può strappare

Uomo del mio tempo

Dal parrucchiere

Costa poco ... 

Gli altri mesi 

Gennaio

Febbraio
Marzo
Marzo
Aprile
Maggio
Giugno
Luglio
Agosto
Settembre
Ottobre
Novembre

Dicembre

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  Berlusconi, un innocente,  perseguitato dai giudici

Se si assemblano le tessere raccolte in questi anni emerge che il patron della Fininvest ha pagato un giudice di Roma  (prescritto); ha comprato la sentenza che gli ha portato in dote la Mondadori (prescritto); ha finanziato illecitamente  il Psi di Bettino Craxi  (prescritto); ha falsificato per 1.500 miliardi i bilanci della Fininvest (prescritto); ha manipolato i bilanci sui diritti-tv tra il    1988 e il 1992 (prescritto); ha trafficato con le assicurazioni di giocatori del Milan (prescritto). Già  potrebbe bastare e invece, alla  sua sinistra, appare un avvocato (Previti) condannato a 16 anni per corruzione dei giudici e alla sua destra un uomo (Dell'Utri) a disposizione degli interessi mafiosi. Non è un bello spettacolo, e si comprende perché Silvio Berlusconi sia in queste ore, come dicono, «avvilito».

Come è stata possibile questa lunga sequela di prescrizioni? È stata possibile perché Berlusconi e i suoi avvocati (pagati profumatamente) hanno  pervicacemente frapposto all’iter giudiziario  impedimenti processuali (gli avvocati)  e legislativi (Berlusconi e la sua maggioranza, ivi compresi i finti “resistenti” Fini e Follini) allo scopo di guadagnare tempo e far scorrere il più possibile i termini della prescrizione.

I “venditori” di sogni e la realtà

Semplifico al massimo.

(1)    Il nostro Paese soffre di una grave crisi nelle sue capacità di generare ricchezza e occupazione: «declino» è forse parola troppo definitiva - lasciamola agli storici - ma la crisi è profonda.

(2)    Per riprendere a crescere, il rimedio che consigliano tutti gli economisti seri è una terapia competitiva protratta a lun­go, che investa il settore pubblico come il privato, le imprese come i lavoratori e i cittadini: per tornare a essere competitivi dobbiamo essere «più bravi» di quanto siamo oggi o accet­tare remunerazioni più basse, ed entrambe le cose costano sforzo e volontà di adattamento.

(3)    Una maggiore crescita dovrebbe essere lo scopo principale di un programma di governo, di destra come di sinistra: dividere più equamente il ristagno non è una via d'uscita.

(4)    I cittadini fanno fatica ad accettare la terapia di cui ci sarebbe bisogno e gli elettori boc­cerebbero chi volesse vendergliela nuda e cruda: proprio la percezione della crisi, le preoccupazioni che li assillano, l'incertezza del futuro, li induce a respingere riforme serie, ad aggrapparsi alle poche sicurezze che conoscono, a preferire un programma politico in cui essi ricevono e non danno. A dare, a subire le conseguenze di una terapia competitiva, siano «gli altri».

Ridotto all'osso, questo è il principale problema che affrontano i politici e gli esperti che stanno preparando i messaggi elettorali del centrodestra e del centrosinistra.

Il centrodestra è guidato da un “venditore” di mestiere, Silvio Berlusconi: si può star certi che troverà il modo di lisciare il pelo degli elettori, di inventare una terapia miracolosa e di convincerli che un futuro roseo è dietro l'angolo.

Il centrosinistra fa più fatica a scegliere la sua strada: il «venditore» Romano Prodi sarà capace  di vendere il suo prodotto, che  è per una clientela che forse non è maggioritaria? Dovrebbe  insieme parlare alla razionalità dei cittadini e infiammare i loro cuori. Indurli ad accettare le difficoltà che comporta una terapia di maggiore sforzo collettivo e insieme a solidarizzare con coloro che non possono sopportarne i costi e devono essere protetti. Non facile per gli onesti!

Il cardinale e la Carta costituzionale dell’Europa

Parla così il cardinale Mario Francesco Pompedda, 75 anni, la migliore testa giuridica della Curia Romana. La sua è una voce insolita nel dibattito de­gli ultimi mesi su laicità e religione: un ecclesiastico che non avanza lamenti, ma argomenta e propone.

Eminenza, che dice della Carta costituzionale europea, che non cita le «radici cristiane»?

«Ragionando da laico, il rifiuto di quella menzione io credo di poterlo comprendere senza ipotizzare ne­cessariamente com­plotti e intenzioni per­secutorie. In Europa certo il cristianesimo è stato magna pars, ma ha sempre opera­to anche la cultura ebraica e per una lun­ga stagione è stata

ben presente la cultura araba, informata all'Islam. Posso dunque capire che, non volendo citare tutti, si sia optato per non citare nessuno. Ciò non toglie che, anche da un punto di vista laico, l'accenno alle radici ebraico -cristiane dell'Europa avrebbe contribuito a costruire un'immagine meglio rispondente alla storia del nostro continente».

Preambolo a parte, che si può dire del corpo della Carta costituzionale?

«Corrisponde alla visione cristiana per più aspetti: digni­tà e diritti dell'uomo, promozione della pace, attenzione

alle sorti del mondo. Ma c'è anche un riconosci­mento implicito del principio che vi sono leggi universali che dovrebbero valere in ogni cultu­ra. E dunque un qualcosa come l'accettazione di un diritto naturale, anche se gli estensori del­la Carta forse non si riconoscerebbero in que­sta espressione».

Il suo giudizio è dunque pienamente positi­vo?

«No, solo a metà! Il cristiano non si illude sul­la possibilità che il suo messaggio venga accol­to in trattati costituzionali e simili. Può esservi accolta, in parte, la sua proiezione sociale. Ma interpretare questa accoglienza come accettazione dello specifico cristiano sarebbe miope e potrebbe indurre a rassegnarsi a un ruolo di re­ligione civile, peraltro assai riduttivo».

Che cosa lei propone, come rimedio?

«C'è un solo rimedio e non riguarda la Carta costituzionale, ma l'uomo che in essa si spec­chia. Nei suoi confronti, il cristianesimo deve tornare a farsi messaggio, prendendo atto che oggi, sulla scena pubblica, esso non è più inte­so, ma non perché le altre componenti si sono unite in congiura contro di esso: occorre, a mio avviso, evitare il duplice rischio di un facile trionfalismo da una parte e, dall'altra, dell'assunzione di un atteggiamento rinunciatario nei confronti di una secola­rizzazione data fatalmente per vincente».

Ma l'Europa non è cristiana?

«Il presupposto che l'Europa sia ancora sostanzialmente e maggioritariamente cristiana è fuori dalla realtà. Questo è evidente in paesi come la Francia, già "primogenita della Chiesa", che oggi conta un gran numero di non battez­zati. Ma anche in paesi come l'Italia, dobbiamo avere il co­raggio di guardare al vissuto della gente, oltre le statisti­che sui battesimi. Quel vissuto non è sempre in armonia con il contenuto della fede nelle sue consequen­zialità. E non dimentichiamo che in gran parte dei paesi dell'Europa orientale la scristianizzazione è avvenuta perle note vicende politiche».

Le leggi che si allontanano dai principi cri­stiani non esprimono un’avversione alle Chiese?

«Qui tocchiamo un punto davvero cruciale. Ma attenzione, non si tratta di un allontana­mento dal cristianesimo: quello che stiamo vi­vendo è un allontanamento da una visione umanistica e razionale dell'etica, fondata og-gettivamente e valida universalmente, che pre­cede il cristianesimo e lo stesso ebraismo, e che dal cristianesimo è esaltata. Una legge non è giusta, benché approvata dalla maggioranza, se non risponde a quel fondamento oggettivo».

Dunque il conflitto cattolici-laici è inevitabile...

«Non il conflitto, ma il confronto e non tra cattolici e laici, ma tra i sostenitori di una legge morale valida oggettivamente e quanti si rimet­tono al parere della maggioranza».

Che altro criterio si può avere, in democra­zia, se non il parere della maggioranza?

«Sarà la maggioranza a decidere, ma la mino­ranza avrà bene il diritto di affermare che quella legge è in­giusta! Qui l'accusa ai cristiani, di voler imporre il proprio credo, è impropria e fortunatamente si sono manifestate delle voci laiche — in varie questioni di bioetica — a dare la riprova che la difesa di una morale oggettiva, fondata sulla natura umana, non sta a cuore soltanto ai credenti. Consi­dero un valido interlocutore chiunque affermi l'esistenza di principi universali, cioè validi per tutta l'umanità, oltre ogni confine e cultura».

Luigi Accattoli, Da  Il corriere della sera del 17-XII-04

Il matrimonio e il “dia – logo”

È vero che il matrimonio -domanda il figlio al padre -  modifica la personalità?». Risponde il padre: «Certo, figliolo! Prima di sposarci, io parlavo e tua madre mi ascoltava affascinata. Qualche tempo dopo le nozze, era lei che parlava e io ascoltavo. Adesso parliamo tutti e due insieme e sono i nostri vicini che ascoltano».

Trovo questo apologo di origine ebraica su un vecchio numero della rivista americana NewYorker. La sua lezione è così folgorante da non esigere commenti e purtroppo la sua verità è sotto gli occhi di tutti. Dobbiamo anche dire che, sia pure con gli opportuni adattamenti, questo tipo di comportamento si riproduce pari pari in molte altre relazioni, come quelle dell'amicizia o della fraternità, iniziate con la dolcezza e finite con lo scontro. Ciò che noi vorremmo mettere in luce è la coppia verbale che regge il racconto: «Parlare - ascoltare».

Il dialogo è, infatti, un'arte difficile da esercitare perché richiede l'equilibrio tra la parola e l'ascolto. Di solito si tende a prevaricare sull'altro con la parola, ma talora è anche il silenzio a essere causa di rottura di un dialogo. C'è, infatti, un silenzio inerte, privo di ascolto, negativo, vero e proprio rifiuto di rispondere, espressione persino di gelido disprezzo. Per dialogare veramente non bisogna né essere incantati dall'altro né essere incantati da se stessi perché in entrambi i casi non si avrebbe scambio di esperienze personali e comunicazione di valori diversi. Questo vale innanzitutto nel matrimonio se non si vuole che si riduca a mera coesistenza in cui le solitudini si ricreano e il silenzio irrompe, anche quando esteriormente si parla, anzi si grida tutti e due insieme e i vicini ascoltano.

Gianfranco Ravasi, Da Avvenire

Follini va da Padre Pio… a confessare i suoi peccati

In principio fu il falso in bilancio; poi venne la legge sulle rogatorie, la Cirami sul legittimo sospetto, la Schifani che doveva mettere il premier al riparo dai suoi processi; seguì la Gasparri per le TV del Capo. L’elenco dei “” di quello che apparentemente dice (anzi, diceva, prima di entrare a Palazzo Chigi ad occupare la poltrona di Vice-premier) sempre “ni” è lungo. Ora ha votato, senza batter ciglio la salva – Previti. Possibile che il soave Follini, nell’accostarsi, come dicono le cronache, alla tomba del Santo più popolare d’Italia, non si ponga il problema non dico politico-morale, ma almeno quello di coscienza, di coscienza cattolica? È vero. I cattolici devono concepire la politica come un servizio, ma “servizio” alla gente e non a  Berlusconi.

Le tasse e il bipolarismo

I sondaggi dicono che una parte ampia degli italiani non è abituata a ragionare in termini di alternative: molti nostri connazionali vorrebbero, insieme, un fisco meno predatorio e più servizi sociali a carico dello Stato. Il che è impossibile. Sta ai due “poli” assumere una precisa strategia nei confronti del problema tasse. Questo  dovrebbe essere il compito, pedagogico, del sistema bipolare che abbiamo inaugurato solo una decina d'anni fa, adottando il maggioritario. Dovrebbero, le forse dei due schieramenti, indirizzare  con chiarezza gli elettori a scegliere fra due schieramenti e obbligandoli a sposare opposte visioni del rapporto fra lo Stato e la società; cioè dovrebbero insegnare agli italiani l'arte difficile di ragionare sulle alternative possibili in presenza di risorse scarse. Obbligandoli a «posizionarsi», in un modo o nell'altro, a partire dall'alternativa tasse alte/tasse basse, li costringe a prender partito fra due opposte «idee» dell'organizzazione sociale: quella che affida a una elevata tassazione compiti di ridistribuzione della ricchezza, di sostegno ai servizi sociali nel segno dell'equità e quella che punta sulla riduzione delle tasse per accrescere la libertà dell'individuo riducendo il peso dello Stato nella vita collettiva.

Invece che cosa avviene a sinistra? Di fronte alla strategia antitasse di Berlusconi, c’ stata una rincorsa a chi abbassa di più le tasse o, quanto meno, a chi le abbassa di più a vantaggio di questo ceto piuttosto che di quell’altro. In parole povere la sinistra non ha fatto la sinistra, quello che dovrebbe fare una sinistra, in presenza di scarse risorse: non abbassare l’attuale regime di  tassazione per affidargli il compito di ridistribuzione della ricchezza, di sostegno ai servizi sociali nel segno dell'equità.

La croce dentro non si può strappare

Un insegnate di  Ivrea ha strappato il crocifisso dall’aula dove si appresta a insegnare. I suoi alunni quindicenni hanno reagito ed hanno voluto il crocifisso in classe. A margine di questo fatto di cronaca mi piace stralciare una parte delle riflessioni che ho letto su Avvenire del 22-XII-04

La fama della Croce è spietatamente affilata, taglia dentro ciascuno, seziona l'io che siamo da quel che c'illudiamo d'essere Forse che per il fatto di essere laico è garantita l'esenzione dal cancro? Dalla vecchiaia e dai suoi mali, dai rovesci di fortuna, dal fallimento, dal carcere ingiusto? Forse che l'ateo è assicurato contro la nascita di un figlio malformato, il tradimento, la morte dei cari, il dolore e l'agonia? Non vi illudete: la croce è per tutti. Musulmani ebrei e radical chic ci salirete tutti, come ognuno di noi. La croce ci aspetta: croce nuda, perché è per ogni uomo. Tutti vi sono attesi nel momento supremo, a provare quel che è raccontato nella Passione: il dolore della carne e la vergogna, la solitudine desolata. Riesco a farmi comprendere, lettore non credente? La croce non è il "nostro" simbolo cristiano, è anche il tuo. E' il solo simbolo che ci unisce tutti nella miserabile condizione umana, e proprio per questo, anche, ci divide. Ci divide, profondamente, dalla domanda essenziale, quella per sfuggire la quale ci divertiamo e godiamo e litighiamo di cose fatue e frivole: perché dobbiamo soffrire? Perché morire?

Noi cattolici abbiamo su di voi un vantaggio, ma enigmatico e tragico: Lui, il Figlio, ci ha preceduto sulla croce, ed è questa la speranza che vorremmo ci sostenesse. Senza alcuna sicurezza, visto che preghiamo l'aiuto «nell'ora della nostra morte». Ecco perché, scusate, non partecipiamo alla polemica. L'insegnante strappi pure il crocifisso dal muro di un'aula; la croce  che l'aspetta nel suo privato Golgota è piantata molto più a fondo.

UOMO DEL MIO TEMPO

Sei ancora quello della pietra e della fionda,

uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,

con le ali maligne, le meridiane di morte,

t'ho visto dentro il carro di fuoco, alle forche,

alle ruote di tortura.

T'ho visto: eri tu,

con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,

senza amore, senza Cristo...

Salvatore Quasimodo scriveva questi versi nel 1947 in Giorno dopo giorno, avendo alle spalle la seconda guerra mondiale. A distanza di più di mezzo secolo non è che l’"uomo del nostro tempo" sia cambiato di molto rispetto a chi era contemporaneo del poeta o all'uomo primitivo che usciva dalla caverna armato di pietra e fionda. Anzi, gli strumenti di morte si sono fatti ben più sofisticati: aerei, sistemi di puntamento, carri armati, torture ed esecuzioni capitali si sono raffinati ed evoluti, sì, ma in peggio, informe ben più crudeli e devastanti. Ed è significativo che un poeta che ebbe con la religione un rapporto piuttosto distaccato come fu Quasimodo metta alla fine quelle parole: «senza amore, senza Cristo». È inutile svicolare verso altri lidi, è solo nella riconquista di quella sponda ove risuona l’evangelo autentico, senza glossa o compromessi, ove si erge quella figura misteriosa eppur vicina che è possibile almeno arrestare la «scienza esatta persuasa allo sterminio» e ritrovare la sapienza libera dello spirito che ci persuade a non rispondere al male col male, inanellando una catena di morte senza fine. È questa l'anima genuina del Natale alle cui soglie stiamo forse sostando con la solita superficialità e banalità.

Da Avvenire, GIANFRANCO RAVASI

Riflessione: Quando verrà il Regno di Dio? Stando a questa constatazione, parrebbe che la venuta di Gesù sia sta inefficace....Noi non sappiamo, non conosciamo i disegni di Dio, che ha una mente infinitamente superiore alla nostra. Chiniamo, dunque la fronte.

Dal parrucchiere

ANTONIO: : Signori, siamo tutti abbastanza giovani per verificare la profezia che io vi faccio. Fra 20 qui in Italia ed in Europa comanderemmo i mussulmani

BRUNO: Purtroppo è vero. Sono una razza bastarda che si insinua dappertutto e cancella tutte le altre identità

ANDREA: Ma qual è la nostra identità?

ANTONIO: Noi siamo cristiani e loro sono di Maometto …

DELIO: … e del Corano

BRUNO: Sì, certo, il Corano lo hanno qui (Si batte un pugno sulla fronte)

ANTONIO: Per me facciano quel che vogliono, basta che non vengano a comandare in casa nostra. Invece  .. confermo la profezia….

ANDREA: Loro sono , mettiamo, un milione e mezzo. Noi invece ….siamo 55-56 milioni. Qual è il problema?

(silenzio)

ANDREA: Ma noi siamo davvero cristiani? Conosciamo quanto loro il nostro “Libro”?  E, soprattutto seguiamo, come loro, i precetti del nostro “Libro”?

(silenzio)

ANTONIO: Insisto. Altro che storie: ci vuole un governo forte che li ricacci al loro paese.

ANDREA: Ma poi tornano …Non s’è mai visto nella storia qualcuno capace di frenare o fermare i flussi migratori. Quando una certa zona del nostro pianeta straripa di popolazione il flusso migratorio verso zone meno densamente abitate è inarrestabile

BRUNO: Che cosa faresti tu, allora?

ANDREA: Si è parlato tanto di questi tempi di radici cristiane del nostro continente. Abbiamo dunque una identità. Siamo in netta maggioranza, , per ora, maggioranza schiacciante. Qual è il problema allora? È forse la nostra identità o civiltà così inferiore alla loro?

DELIO: No, No. Siamo superiori. Lo ha detto anche Berlusconi.

ANDREA: A parole siamo superiori. La verità è che la nostra identità è debole. E nemmeno  condivisa da tutti. Ci sono i cristiani, tra di noi, ma anche i l cosiddetti laici, i non  credenti, i tiepidi, i non praticanti. Ci sono quelli che, appena vedono un prete, si innervosiscono

ANTONIO: Con questo che cosa vuoi dire?

ANDREA: Voglio dire che, se la nostra identità fosse veramente così forte e così condivisa, non dovremmo avere paura delle invasioni  … barbariche, visto che il contenuto della nostra identità è, come si dice, superiore ….

BRUNO:: Allora che cosa si dovrebbe fare?

ANDREA: Semplice: essere nei fatti e nei comportamenti, veramente cristiani…. E magari fare qualche figlio in più ….

(silenzio)

Costa poco

Costa poco dire spesso durante la giornata “Signore, Signore”, “Ti adoro”, “Santo santo”, “Alleluia” “Ora pro nobis”, “Kurie eleison”; costa poco dire “Ave” passando davanti all’immagine diaria. Non è difficile andare a Messa la domenica, comunicarsi e confessarsi (tanto più oggi, che vano scomparendo i preti curiosi che domandano “quante volte” e “con chi”).

Ciò  che invece è faticoso è praticare la carità, la carità che  “è paziente, è benigna; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. La carità che “tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.” (1 Cor 13, 4-7)

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