Freccia-sx4.jpg (2157 byte) LA STRADA VERSO CASA
Titolo originale: "Wo De Fu Qin Mu Qin" - Regia di Zhang Jimou - Con Zheng Hao, Sun Honglei, Zhao Yuelin, Zhang Ziyi.- Dramma romantico - 100 min. - Cina, 1999
La storia
Luo Yusheng è un uomo d'affari cinese che, dopo molti anni, torna al suo villaggio natale per i funerali del padre, il maestro del paese. Mentre sua madre insiste per rispettare le antiche usanze nonostante i tempi siano cambiati, Yusheng ripensa ai racconti che ha sentito da ragazzo sul fidanzamento dei suoi genitori. Suo padre arrivò nel villaggio e subito si innamorò di Zhao Di, la ragazza più bella del paese. Poi, anche a causa dei suoi presunti errori politici, venne richiamato in città e fu costretto a restare due anni lontano dalla sua amata. Yusheng, intanto, sta pensando a come pagare chi dovrà portare a piedi la bara del padre al cimitero. Ma il giorno del funerale si presentano, inaspettatamente, decine di ex alunni del padre che rifiutano di essere pagati. Prima di tornare in città Yusheng onora simbolicamente il padre ed insegna, per un giorno, nella scuola del villaggio.
Il regista
Zhang Jimou viene dall'oriente. Parla un linguaggio (il linguaggio dell'elegia) un po' diverso da quello della cinematografia americana ed europea., ma Zhang Jimou è stato capace di parlare al cuore dell'occidente, tanto è vero che su otto film ben sei hanno avuto dei riconoscimenti nei festival dell'occidente.
La cinematografia di Zhang Jimou ha un doppio volto. Da una parte ci parla di una Cina occidentalizzata, magari in maniera un po' brutale e scomposta (denaro, successo, i miti dell'occidente che assunti acriticamente oggi sono diventati in Cina segno di sfruttamento e di consumo davvero sfrenati); dall'altra parte invece (mi riferisco ai film come questo) Zhang Jimou ha un cuore di campagna (descrive la provincia cinese, i villaggi più lontani dalle metropoli), un cuore tradizionale (è presente un forte richiamo alla tradizione, agli antichi costumi). Zhang Jimou ha fatto moltissimi viaggi nella remota provincia cinese per vedere, per costatare la vita di questi villaggi, la loro povertà, le loro tradizioni, le buone cose di una volta. Nei suoi film Zhang Jimou ha sempre presentato (direttamente o indirettamente) questi due volti. Anche nel film La strada verso casa i due volti si incontrano e un po' anche scontrano e creano una storia, una storia molto semplice.
Filmografia di Zhang Jimou
Sorgo rosso (87) - Ju Dou (90) - Lanterne rosse (91) - La storia di Qiu Ju (92) - La triade di Shanghai (95) - Keep Cool (97) - Non uno di meno (98) - Diciassette anni (99) - La strada verso casa (99)
I temi
Sono tre le chiavi di lettura del film: 1. L’elegia del ritorno alla origini; 2. La figura femminile; 3. La storia d’amore.
L’elegia del ritorno alle origini. Una poesia i di Borges (Ritorno) contiene tre verbi che ci permettono di leggere La strada verso casa: "Tornai alla casa della mia infanzia ripetendo gli antichi sentieri come se recuperassi un verso dimenticato". Tornare, ripetere, recuperare. In questo tre verbi ci sta tutto il significato del film La strada verso casa. Perchè recuperare il passato? Una nenia cantilenata dai bambini recita: "Bisogna conoscere il passato per costruire il futuro".
La figura femminile. La strada verso casa rappresenta la chiusa di una piccola trilogia dei film di questo ultimi anni. In questa trilogia Zhang Jimou ha disegnato una sorta di cammeo sulla figura femminile di grande bellezza e di grande raffinatezza. Nei tre film della trilogia (Non uno di meno, Diciassette anni, La strada verso casa, che sono gli ultimi tre in ordine di tempo) Zhang Jimou racconta - dice qualcuno - la stessa storia. In realtà essi hanno cose in comune. Sono tutte e tre storie al femminile (Nota. Ci vuole un bel coraggio a raccontare delle storie al femminile in una Cina in cui, ancora oggi, nascere femmina è considerato una disgrazia). Lo stesso senso profondo stessa ricerca delle proprie radici del protagonista sta nella figura femminile. Nel cinema dell'occidente le radici sono rappresentate dal padre; nella Cina le radici sono rappresentate dalla figura materna. E’ lì che l’uomo ha le sue radice e il ritorno a casa è una ricerca della madre. Le figure femminili nel cinema di Zhang Jimou sono sempre un po’ iconoclaste, sono elementi di rottura, vanno un po' contro il partito, contro la burocrazia che solitamente nega la possibilità di essere felici. La donna rappresenta questo elemento di libertà e di coerenza profonda a se stessa e ai propri sentimenti e per questo riesce in qualche modo a contrastare il dominio maschile nella società.
Il melodramma. Questo film è sì la celebrazione del ritorno alle origini, di un figlio che ritrova nella madre la sua storia, una parte di sè, ma è soprattutto la storia di un amore totale assoluto, la storia di una Giulietta orientale che arriva quasi alla morte per il suo Romeo.
Alcuni spunti di critica
Qualcuno ha detto che La strada verso casa poteva anche essere un cortometraggio; il regista lo ha gonfiato, lo ha riempito di paesaggi, di primi piani, ecc.; ma in fondo la storia è esile, è una piccola storia. Ma questo è il pregio della poetica di Zhang Jimou che sa raccontare le piccole cose, i piccoli sentimenti, che assumono dignità perché raccontati principalmente dalle immagini e non dall’azione, dai fatti.. Zhang Jimou utilizza le immagini per descrivere le atmosfere del villaggio, il tempo della memoria, un tempo sospeso, che non muore mai, un tempo indefinito, fluttuante, in cui tutte le cose, come nella natura, ciclicamente si ripetono ed hanno un loro respiro naturale. Quello del villaggio non è il tempo frenetico della città, del correre, delle macchine, del comprare, del vendere. In questo senso l'utilizzo dei colori e delle immagini è estremamente sapiente nel rendere questo senso un po' mitologico, epico, della storia di questa donna
Tutto il film è giocato su due elementi linguistici: il colore e le inquadrature. I colori dominanti sono il bianco e il rosso; un bianco che è simbolo della morte, della neve del freddo, del gelo dei sentimenti, della lontananza, dei sentimenti immobili dell'attesa. Il rosso invece è colore della passione. C'è un continuo collegamento tra volti e natura, vesti e natura, sentimenti e colori. Il presente è bianco e nero, un bianco e nero freddo, algido, non seppiato, non reso caldo. Le inquadrature sono soprattutto fatte di campi ( per i paesaggi) e di quadri ( per i personaggi e i sentimenti).Prevalgono comunque i primi piani o le mezza figure. Questo perchè il primo piano (qui a volte anche un po' rallentato) aiuta a fissare nei volti il senso sospeso della memoria, il senso del tempo che non muta, quasi fosse una fiaba, un paradigma, una parabola che il figlio ripete a se stesso per ritrovare quel tempo. Ma c'è anche l'uso molto bello del campo lungo o lunghissimo (più spesso quest’ultimo) che inquadra la natura, gli spazi aperti. Al contrario di quel che avveniva in Lanterne rosse (1991) in cui gli spazi erano molto chiusi ed erano espressione della chiusura, dell'asfissia, della mancanza di libertà, qui i campi lunghi, gli spazi aperti ci danno l'idea della libertà di questa donna che lotta con ostinazione nonostante tutto per il suo ideale di uomo. Non a caso i bambini nella loro giaculatorie, nelle loro nenie dicono sempre: "Nella vita bisogna avere uno scopo" "Bisogna lottare per essere liberi" Il campi e i piani, la natura e i volti sono perfettamente in sintonia. La natura è raggelata, quando c'è la separazione. I panorami sono caldi (rosso, rossastro, giallo) e contengono i colori della primavera, quando il maestro torna.
Il cuore del film è un lungo flashback del figlio della protagonista. Il presente viene rappresentato in bianco e nero. Il bianco e nero ci fa pensare che il presente sia un fallimento: la burocrazia, il partito che qui appaiono su uno sfondo molto fugace sono gli elementi che ostacolano la felicità della ragazza (Zhang Jimou, che riceve finanziamenti dal regime, riesce con furbizia ad accusarlo in qualche modo).Il passato, rappresentato con colori caldi, viene ricostruito attraverso le immagini di momenti di vita poste le une accanto alle altre (lei che cucina, la sua corsa verso l'acqua, ecc.) che danno un senso di calore, dell’intimità dei sentimenti, delle tradizioni che vengono ben rappresentate per mezzo dei gesti (gesto del tessere, che è un gesto che rappresenta la sapienza antica) e delle piccole coste (la ciotola, il cibo) . Le inquadrature di questi gesti, di questi oggetti danno il senso della tradizione, il senso profondo delle cose di un tempo, del recupero di un’esperienza.
Questo film ha anche qualche limite: forse è un po' troppo didascalico, troppo esplicito. Il cinema diventa grande quando sussurra alle orecchie e non mostra i suoi significati in maniera molto diretta. C'è qua e là un eccesso di estetismo; Zhang Jimou si compiace forse un po' troppo a mostrarci i volti (primi piani), i campi lunghi di panorami, i cieli. Questo a noi occidentali, che siamo abituati ad un cinema con un po' più di ritmo, potrebbe sembrare un difetto. Bisogna però tenere presente che questo film parla di memoria, di tradizioni che non muoiono mai e quindi non può avere un ritmo veloce; deve avere una lenta fluidità che non sempre noi occidentali riusciamo ad apprezzare. L'ovvietà di questo melodramma può anche essere vista come uno strumento per descrivere il profumo semplice dell'amore.
Zhang Jimou è un po' ostinato nelle sue scelte, come le sue eroine in un certo senso. Qualcuno lo accusa di raccontare sempre la stressa storia. La strada verso casa, ad esempio, riprende molti aspetti del penultimo film di questo regista (Non uno di meno, la storia di una ragazzina cui è affidata una scolaresca in un villaggio del nord della Cina).Il set è lo stesso, il villaggio è lo stesso, alcuni dei protagonisti sono gli stessi, la musica dello stesso musicista. Non si deve però pensare che Zhang Jimou abbia voluto scopiazzare dal precedente film per mancanza di idee. In realtà Zhang Jimou è solo ostinato nel mostrarci un cinema fatto di piccole cose, di piccoli gesti, di essenze, di profumi, di colori. Si tratta di un melodramma.

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