Freccia-sx4.jpg (2157 byte) Sotto la sabbia
Regia: François Ozon - Anno 2000 - Titolo originale Sous le sable - Durata 90 - Origine Francia - Genere drammatico - Regia Francois Ozon - Attori Charlotte Rampling (Marie Drillon),Bruno Cremer (Jean Drillon), Jacques Nolot (Vincent), Alexandra Stewart (Amanda), Andree' Tainsy (Suzanne), Pierre Vernier (Gerard )
Trama
Sposati da 25 anni, come ogni estate Jean e Marie Drillon vanno in vacanza nella loro casa nelle Lande. Improvvisamente, mentre Marie dorme sulla spiaggia, Jean sparisce senza lasciare la minima traccia. Le ricerche si protraggono per giorni senza esito. La moglie è disperata, anche se non vuole credere alla sua morte. Dopo alcuni mesi ritroviamo Marie a Parigi apparentemente tranquilla... ma cosa nasconde?
Il regista
Francois Ozon non ha alle spalle una grande produzione: solo 4 film (Sticon, 98; Gocce d’acqua su pietre roventi, 99; Les amants criminels,99; Sotto la sabbia, 2000), ma tutti di grande qualità, con un montaggio estremamente lucido e preciso. Ozon è un regista francese e ha assunto i canoni del cinema francese, che consistono in primo luogo nel rigore della sceneggiatura, che una volta scritta, è di ferro e diventa immutabile. Ma il cinema francese, quello che ha un legame molto forte con un pensatore, André Basin, ("il cinema è come la Sacra Sindone, fotografa, ricalca la realtà ed ha con la realtà qualcosa in comune, una radice ontologica comune") è un cinema che vuole arrivare alla verità, non certo a quella dei fatti e dei fenomeni, ma a quella dei sentimenti, della realtà interiore, dei tempi soggettivi. La realizzazione di questo film è stata per il regista molto sofferta. Lo ha iniziato, lo ha interrotto dopo 2 mesi e poi lo ha ripreso alla distanza di due anni, perché in lui c'era della sofferenza rispetto alla narrazione di questa vicenda. C'è quindi una partecipazione personale molto forte anche da parte sua.
I temi
Sotto la sabbia
potrebbe sembrare un film "ancora" sulla morte. Nel panorama cinematografico moderno, o abbiamo film di evasione totale, o si parla di questo aspetto della vita; anche nella commedia apparentemente più ridanciana il tema della morte, della sospensione della vita c'è, c'è fortissimo, forse più o meno visibile Forse è un segno epocale, di un periodo di instabilità, di incertezza che in cinema in qualche modo fa suo. Ma questo non è un film sulla morte; è un film sulla rimozione, sulla denegazione, sulla non accettazione della morte, un evento che non viene accolto, non viene accettato in nessun modo.
Potrebbe sembrare, ancora, un film sulla schizofrenia, sulla follia della protagonista, ma la follia della protagonista (la stupenda Charlotte Rampling, non solo fisicamente bella, ma anche di una espressività totale, che con la sua presenza fisica e morale riempie lo schermo) è una lucida follia, la sua non volontà di accettare la morte è talmente forte da diventare una lucida follia, quasi una attiva allucinazione; non è pazza, non è folle questa donna: è una donna che crede fortemente nel proprio destino e quindi rifiuta un destino diverso da quello che lei ha pensato per sè.
C'è anche il tema dello spettro - non del fantasma - ma dell'assenza "sentita" di una persona da parte di chi rimane; chi rimane sente questa presenza spettrale della persona che non c'è più. Lo spetto nel cinema è stato sempre rappresentato come qualcosa che sta al di là del reale e che qualche volta interferisce con il reale. Qui non c'è questa rappresentazione dello spettro; questo spettrale è una rappresentazione reale nella vita della protagonista. Qui il tempo soggettivo della protagonista diventa veramente il sostituto della realtà, una realtà essa stessa, non è più una finzione, ma qualcosa di oggettivo.
Altro tema del film è quello dello scarto, un tema caro ad un altro registra francese per adozione, Kieslowski. Lo scarto è quell'aspetto più o meno accidentale della vita che determina delle epifanie, delle scoperte di senso, delle rivelazioni. Ci si scopre diversi da quello che si pensava di essere quando ci si confronta con qualche cosa che si pensava di non doversi mai confrontare. Tutto ciò determina un cambiamento radicale. Qui il cambiamento è ancora più violento perchè inserito in una coppia che è l'icona della normalità (normale per ceto, ceto medio; normale nei nomi), una coppia collaudata, fatta di piccoli gesti. Eppure questa normalità ha dietro qualcosa di malato, di non chiaro, di non trasparente.
I personaggi
Jean
Lui, che è presente per breve tempo all'inizio, è ben rappresentato da quella inquadratura iniziale in cui è ripreso seduto su un divano bianco; da questa inquadratura viene fuori l'impressione del disagio, della noia del personaggio. Lui sul divano bianco, lui che raccoglie la legna, lui che sbuffa, lui che ansima: sono tutti momenti che segnano la sua distanza dalla vita, la sua noia, la sua stanchezza (a letto la moglie gli chiede un momento di intimità e gli domanda: "Sei molto stanco?" "" risponde e poi le volge le spalle). Tutti segni di una lontananza, che è resa fin dall'inizio, nelle primissime sequenze: all’autogrill, la sera a tavola nel silenzio, nell'assenza quasi assoluta di suoni.
Marie
Quella di lei invece è una affettività fatta di piccoli gesti, carezze, baci, delicatezze da fidanzati; una donna ancora viva, a differenza del marito, nella sua affettività. Mentre il marito vive una vita quasi rappresentandola, quasi fosse a teatro, lei invece è una protagonista sulla scena della vita, crede in quello che fa e in quello che pensa.
Crede in un amore che forse non c'è più o forse non c'è mai stato, ma lei continua a credere. In questo sta il suo incredibile coraggio, un coraggio che la porta a vivere, a ritornare alla vita (l'amore, il sesso, la presenza corporea del marito - quando fa l'amore con l'amante "sente" ancora di essere con il marito e si mette a ridere scoprendo che l'amante è meno pesante; poi, per potere avere ancora l’illusione della presenza del marito e non avvertire il corpo leggero dell’amante, riprende a fare l'amore mettendosi di sopra). Ma nello stesso tempo mostra una fragilità che le impedisce di decidere, di tagliare, di stare o nel passato o di andare verso il futuro.
Il regista per rendere questa sua sospensione tra soggettività e oggettività, tra passato e futuro, fa di tutto per non farci capire se l'immagine del marito è solamente nella mente di lei o se c'è davvero. A cena con gli amici lei parla al presente di suo marito, solo qualche increspatura sul volto degli convitati fa capire che è successo qualche cosa. L'uso delle superfici vetrose (l'acqua, i vetri delle finestre e degli specchi) che indicano la soggettività della protagonista si compenetrano con momenti di oggettività: quando deve fare banalmente i conti con il denaro mentre fa le spese; quando le viene rivelato che ha il conto in banca in rosso; quando è costretta a fare i conti con la figura della suocera, così crudele e impietosa (in quel colloquio Marie parlando del marito usa l'imperfetto: "prendeva dei tranquillanti"). Anche nella sequenza finale c’è il pianto che è l'oggettività del rendersi conto della verità, ma poi c’è il sorriso e il correre verso un'immagine all'orizzonte: ancora una volta è la soggettività che avanza. Nei momenti in cui emerge l’oggettività ci viene da supporre che lei sappia quello che è successo, ma lei ha deciso di non crede a quello che ha vissuto, ha deciso di mantenere questa situazione sospesa. I momenti dell'oggettività sono inquietanti, perchè penetrano, si mescolano ai momenti dellaa soggettività fantastica, quasi folle di Marie. In alcuni momenti noi spettatori abbiamo l’impressione che lei in realtà sia consapevole di quanto sta accadendo, di quello che sta facendo, di quello che sta pensando di sè e della propria vita. Ma poi poco dopo veniamo smentiti. Quando lei e Vincent fanno colazione (con i gesti di sempre, come se lei fosse ancora con il marito ), rispondendo a lui dice: "Vuoi sapere la verità? Non ne vale la pena". Ecco allora come stanno le cose: lei non vuole sapere la verità. Non va subito a vedere il cadavere di suo marito all’obitorio, aspetta, procrastina il momento della presa visione dei fatti e della cruda verità e quando vive la verità, trova ancora una volta ("l'orologio non è suo") il modo per uscirne.
Il regista fa due riferimenti letterari: Balzac che nella sua letteratura rappresenta l'oggettività (La comédie humaine) della vita. L'altro riferimento lo fa a Virginia Woolf , un'autrice che fa emergere la soggettività, il sommerso della coscienza. Tra l'oggettività e la soggettività c'è la materia vetrosa, che è la soglia, il diaframma tra la verità e la finzione, una soglia sulla quale Marie si ferma. E la verità rimane "sotto la sabbia".

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