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Australia 1996 di Scott Hicks con Geoffrey Ruh, Noath Taylor, Armin Müller-Stahl, Lynn Redgrave.
È la biografia del pianista David Helfgott – australiano di nascita, ebreo e polacco di origine, oggi cinquantenne, sposato ed ancora in giro a dare concerti – che, stritolato da un padre-padrone oppressivo, che lo vuole ad ogni costo grande pianista, sprofonda per un decennio in un tracollo nervoso che lo fa entrare e uscire da cliniche psichiatriche fino all’incontro e all’amore di una gentile signora di 15 anni più vecchia di lui.
Il film può esse letto come l’analisi di un dramma che nasce all’interno dell’istituzione familiare. Ma è soprattutto una riflessione sulla doppia natura dell’arte: gabbia senza sbarre, ma anche gioco liberatorio. Assolutamente pregevole è la continua interazione dialettica tra l’immagine e il suono e quest’ultimo è parte integrante della costruzione narrativa ed espressiva, tanto che a volte pare che siano le immagini a cadere sulla musica per farne un commento e non viceversa

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