Freccia-sx4.jpg (2157 byte)     Benvenuti a Sarajevo
Titolo originale: Welcome to Sarajevo - Origine: Gran Bretagna - Anno: 1997 - Regia: Michael Winterbottom - Interpreti: Stephen Dillane, Woody Harrelson, Marisa Tomei, Emira Nusevic - Genere: Guerra - Il film è tratto dal libro "Natasha's story" di Michael Nicholson, un giornalista della TV inglese Itt
La storia
Il reporter televisivo inglese, Michale Henderson, (Stephen Dillante) della Itt è un giornalista che ha già fatto servizi per 15 guerre. In Bosnia assiste, tra l'altro, alla straziante tragedia con la quale si apre il film: il massacro di un corteo nuziale sconvolto da un attacco dei cecchini. Stufo di limitarsi a denunciare dal suo TG la condizione terribile dei bambini della città, decide di fare un gesto concreto, portando un gruppo di piccoli orfani fuori della città verso l'Italia. Tra questi c'è Emira, una ragazzina mussulmana di 9 anni che si affeziona a lui. Michael decide di portarla a Londra e di adottarla come sua figlia. La piccola col consenso della moglie del giornalista viene
Il regista
Michael Winterbottom è un regista interessante, ma giudicato erratico e mutevole. Passa per un regista "arrabbiato" perché spesso i suoi film presentano la denuncia di oppressioni e ingiustizie. Filmografia: Butterfly kiss (Il bacio della farfalla) 1994 - Go now 1996 - Jude 1996.
Il tema
Il racconto, la storia del film, per quanto toccante e commovente, rimane un po' mortificato a vantaggio delle immagini della realtà, immagini che ci traumatizzano e ci costringono a prendere posizione ("Sarajevo è come un virus di cui non riesci a liberarti", dice Woody Harrelson, il cinico giornalista televisivo americano). Il regista è rispettoso della realtà dei fatti, quasi timoroso di intervenire. La storia "vera" del film, cioè quella della finzione, è condotta sottotono e si risolve sbrigativamente per ellissi; mentre l'emotività più violenta si concentra nelle immagini "vere" dei reportage televisivi. Il film infatti ci presenta un montaggio costruito con immagini delle realtà prese dai documentari e dai reportage di guerra (sottratte dal piccolo schermo e riesposte nel grande schermo con delle dimensioni molto più esplosive e traumatizzanti per il loro carico di orrore) e con immagini della finzione della narrazione cinematografica, cucite tra di loro tanto bene che a volte è difficile distinguerle.
Tre livelli di lettura
Il film si sviluppa su tre livelli. É la storia di una città abbandonata dal mondo che vive la sua tragedia nella solitudine, abbandonata dalla cinica politica internazionale che mette la coscienza a posto solo con delle dichiarazioni. É la storia di un uomo, di un uomo vero, eccezionale nella sua normalità. É un film sulla condizione dell'infanzia nella guerra.
Sarajevo abbandonata
Perchè, nella immensa tragedia della Bosnia, la vicenda si svolge proprio a Sarajevo? Sarajevo prima della guerra civile era una città felice in cui uomini diversi per cultura, religione, razza coesistevano felicemente (basta ricordare la sequenza festosa iniziale dei preparativi del matrimonio). Era in questo senso la città profetica della coesistenza e della tolleranza. Morta Sarajevo muore anche il mito della coesistenza, quantunque il concerto finale sulla collina dopo la fine della guerra civile apra una timida speranza per l'avvenire.
Il protagonista
Il protagonista è un giornalista inglese diverso dagli altri: nè cinico, né aggressivo, ma un professionista serio ed onesto; che offre servizi non appariscenti, ma ugualmente tesi a cogliere le sofferenze dell'umanità. Egli è anche è una persona positiva, che non si limita a fare il giornalista, che non si tira indietro, ma si butta anche nella mischia per salvare i bambini. Perché lo fa? É spinto da ideali e valori, umanissimi, non eroici, normali. Interessandosi non solo del racconto e del resoconto dei fatti della guerra, ma anche dei problemi delle persone, il giornalista salva delle vite, compie un gesto in nome della vita. Anche se il suo gesto non cambia la storia ed è apparentemente un gesto non eroico e insignificante, quel gesto cambia l'essere dell'uomo, la sua qualità; e dice a noi spettatori che in mezzo a tanti orrori l' "umanità" non è spenta.
Il film nel presentare come protagonista un giornalista anti-eroe fa anche implicitamente una critica al giornalismo d'assalto cinico e disincantato, rappresentato qui dal giornalista americano Woody Harrelson, personaggio classico del deluso che passa al bar per rifarsi della propria impotenza e della crudeltà del mondo al quale affida in diretta TV con i suoi servizi choccanti, il consumo di una tragedia.
La tragedia dell'infanzia
A ben guardare però essenzialmente si tratta di un film sui bambini, non solo di Saraajevo, ma di tutto il mondo. Basti ricordare due strazianti sequenze La prima è quella della bambina che, dopo aver appreso che i genitori sono morti, se ne va via da sola, sotto lo sguardo sbigottito dei giornalisti Dove andrà quella povera bambina? L'immagine da sola senza parole è straziante e tragica. L'altra immagine è quella in cui i Cetnici, catturati alcuni bambini, ripresi dall'alto, se ne vanno verso l'gnoto ed escono fuori campo. Dove vanno? Che sorte toccherà a quei poveri bambini? Le due immagini sono per se stesse eloquenti (come si conviene al vero cinema) senza commenti, senza parole.
Il regista conferma questa sua intenzione di fare un film sui bambini, quando in apertura ci mostra l'immagine solitaria di un chierichetto che corre tra le fucilate dei cecchini e quando chiude la sua opera ancor con la figura dello stesso chierichetto che corre felice per le vie di Sarajevo libera. Questa scena finale è parallela a quella della sequenza che narra la fine del viaggio dei bambini. Essi corrono in un paesaggio pieno di sole e di luce (una luce diversa da quella di Sarajevo) verso il bagno nel mare. E il mare, si sa, nella simbologia cinematografica è il luogo della rigenerazione.
Il nucleo centrare del film poi, come abbiamo visto, è una storia di una bambina. Ed anche qui dobbiamo osservare che il regista conferma la sua intenzione di parlare dell'infanzia. Il film infatti, che è pieno di "botti" e di voci (bombe che esplodono, automobili che sgommano, conversazioni convulse, ecc.), ha tre momenti di silenzio e di pausa che vogliono accentuare la commozione: quando il giornalista di sì alla bambina che vuole stare con lui, quando lo stesso sta per comunicare alla moglie la sua intenzione di adottare la bambina; quando apprende che la bambina ha una mamma che la reclama.
Conclusione
Film bello? Film brutto? Ad alcuni è piaciuto, ad altri no. Certamente è un film necessario, perchè è un film della memoria, un film scritto da un regista serio per indurre l'umanità a non dimenticare. Ci fa vedere anche quello che non vorremmo vedere. É significativo il fatto che il film inizi con una lunghissima carrellata in avanti su Mostar distrutta, quasi che il regista volesse farci entrare, penetrare di forza nella tragedia. Se noi vogliamo trovare la nostra identità di uomini e di cristiani non possiamo non ricordare. Come il singolo che, quando si chiede: chi sono io? non può fare a meno di ricordare il suo passato, i suoi errori, le sue sconfitte.
Tra tante storie insulse, banali e volgari, nella travolgente presentazione di una fiction fatta di amori e amorastri, di storie e storiacce sentimentali, nella dilagante moda dei film fatti solo di effetti speciali che ci portano fuori del mondo passato, presente e forse anche futuro, ecco un film vero. Ecco il film che ci costringe a ricordare e a riflettere.

Freccia-su.jpg (2534 byte)