Freccia-sx4.jpg (2157 byte)     Pauline & Paulette
Regia: Lieven Debrauwer - Con: Dora Van Der Groen, Ann Petersen - Genere: Commedia - Durata: 78' – Anno 2001
Pauline (Dora van der Groen) è una ‘bambina’ di sessantasei anni, non sa leggere, non sa scrivere e nemmeno parlare correttamente. Vive in un remoto villaggio fiammingo sotto la tutela della sorella maggiore, Martha (Julienne De Bruyn). Quando quest'ultima muore l'indifesa creatura si ritrova sola al mondo, ma Martha ha pensato a lei. Il testamento stabilisce infatti che la sua eredità andrà a una delle altre due sorelle, Paulette (Ann Petersen) e Cécile (Rosemarie Bergmans), a patto che si prendano cura di Pauline. Entrambe sono interessate al malloppo, ma entrambe non hanno nessuna intenzione di farsi carico della candida sorella: Cécile vive nella lontana Bruxelles, mentre Paulette, proprietaria di un negozietto del villaggio, sarebbe la candidata ideale, considerato anche il fatto che Pauline l'adora. Ma la vanesia Paulette che vive tutta presa dal suo mondo da operetta non si trova con la ruspante sorellina e la evita. Ma, per quanto complicate, le vie del cuore esistono sempre, almeno nelle commedie. Il film è il candidato belga agli Oscar.
Qualcuno ha detto che Pauline & Paulette più che un film sulla vecchiaia è un film sull'handicap (come non ricordare – a questo proposito - quel film stupendo e non così facile come sembra che è Prima la musica e poi le parole e l’altro intitolato Balla la tua canzone, così attenti alla condizione e ai diritti della diversità: due film molto diversi, uno poetico, l'altro irritante nel suo realismo, ma entrambi così penetranti dentro il problema dell'handicap?) Io però non credo che questo sia un film sull’handicap o almeno solo sull’handicap: questo è un film sulla vecchiaia e sulla capacità della vecchia di produrre poesia. Non per niente la sua protagonista ha 66 anni e non 10 o 30 come nei film sopra citati.. bene ricordare che sulla vecchiaia grava un’immagine culturale non positiva che ci viene dalla riflessione filosofica, dalla letteratura (Cicerone nel suo De senectute chiama la vecchia "turpis senectus"), fino al cinema dove spesso il vecchio è oggetto di riso e di trastullo, quasi trasformato in una macchietta. Basta pensare a certi personaggi della commedia all’italiana, interpretati negli anni 50 da attori e attrici anche famosi: qualcuno più vecchio ricorderà Tina Pica. Allora attorno alla vecchiaia c'era un discorso ironico, anche malvagio in cui il vecchio veniva ridicolizzato. Come contraltare, anche se è un testo esotico e sconosciuto, è consigliabile la lettura di una lettera di Lou Andreas-Salomè, una donna che è vissuta tra la fine dell'800 e i primi del 900 ed è stata amica e amante di tre grandissimi uomini: Nietzsche, Rilke, il poeta, e poi Freud. Nel suo epistolario con Freud c’è una lettera bellissima, commovente, quasi straziante in cui parla della fecondità della vecchiaia e precisamente scrive che "nessuno si è ancora avvicina alla vecchiaia intuendone la fecondità e la profondità". Il cinema qualche volta ci ha provato, ma quando si è avvicinato alla vecchiaia ne ha visto soprattutto il dolore. Il cinema italiano ha prodotto un capolavoro, 50 anni fa: Umberto D con De Sica, un film straziante dove la vecchiaia è vista in tutta la sua assoluta, impenetrabile solitudine (non a caso il film inizia con uno sciopero di pensionati e con questo pensionato che si porta tristemente a spasso il suo cagnolino). Però il cinema ci ha regalato anche Il posto della fragole di Bergman, (il vecchio professor Borg fa i conti con i suoi settantasette anni e alla fine di questa giornata nella qual rivede e rivive la sua vita sente la pienezza dell’esistere anche dentro le umiliazioni o i limiti della vecchiaia). Allora questo capolavoro ci permette di dire che il cinema, più della letteratura e più di altre arti, ha saputo in qualche modo, nei suoi momenti più alti, valorizzare la vecchiaia. Viene anche in mente un delizioso film (In compagnia di signore perbene, ancora reperibile nelle videoteche) di una regista canadese che si chiama Cynthia Scott : è la storia di un piccolo viaggio di vecchie signore su un pulmino Il film è straordinario perchè riesce a raccogliere dentro la storia di questi personaggi tutta l'intensità della vita. Anche Pauline & Paulette ci serve come invito a ripensare alla vecchiaia, ma soprattutto a studiarne le vie della fecondità e a farci capire come la vecchia possa imbarazzarci, ma come la vecchiaia possa anche illuminarci. Non è poco per un piccolo film che dura meno di 80 minuti . bello che un esordiente giovanissimo (il regista belga, 31 anni) abbia scelto questo tema. Di solito i registi esordienti sono narcisisti (parlano di loro, dei loro dilemmi, dei loro minimalisti sentimenti).
Il film si muove soprattutto sui primi piani, piani ravvicinati, piani americani; ci sono pochissimi campi lunghi o campi lunghissimi. La macchina da presa sta molto vicino al personaggio e lo definisce soprattutto nella sua individualità, ne fa cioè un ritratto. Nel cinema il primo piano è un’inquadratura stilizzata, cioè non realistica, non immagine della realtà (noi non vediamo coi nostri occhi il primo piano nella visione reale delle cose del mondo), ma è immagine dell'anima. Il regista lo fa per scoraggiare l'equivoco di una lettura sociologica (analisi della condizione sociale in cui oggi si trova l’anziano) della sua opera. Avvicinandosi al suo personaggio con la macchina da prese il regista vuole che ci avviciniamo al suo mondo interiore, alla preziosità della sua condizione umana, una condizione legata alla vecchia - abbiamo detto - ma legata anche all’ingenuità, alla innocenza e potremmo dire anche alla candida idiozia di Pauline. Quello di Pauline è il ritratto di una vita che non si arrende nemmeno nell'umiliazione della debolezza mentale, ma continua ad esprimere il proprio stupore, la propria meraviglia, il proprio incantamento. Uno stupore che sembra ingenuo; infatti l’oggetto di questo stupore è il negozio della sorella Paulette, che appartiene, come la proprietaria, al mondo terribile dell'operetta di un altro tempo, di un'altra epoca. Paulette, la sorella, solo quando si trova nuda di fronte a se stessa e sola in riva al mare riesce (in uno dei rari campi lunghi) a capire la preziosità della sorella. Lo stupore e l'incantamento di Pauline è reso bene da alcune sequenze; quella del museo, ad esempio, dove il compagno della sorella sta dicendo parole quasi prive di senso e lei ancora una volta è alla prese con le sue scarpe, le scarpe slegate. Quello delle scarpe slegate è una delle gag più belle del film. La sorella astutamente pensa di risolvere il problema comprandole una paio di scarpe senza stringhe, ma non è questa la soluzione, la soluzione sta in mezzo, nell'invenzione di Pauline che vuole quelle scarpe con lo scratch che finalmente potrebbe permetterle di chiudere le scarpe anche da sola. E ciò a dimostrare come il limite tra la normalità e la diversità sia alquanto incerto. Da ricordare anche il colore, generalmente solare, splendente, mai cupo, mai triste, come è infatti l’anima beata di Pauline.

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