Freccia-sx4.jpg (2157 byte) La meglio gioventù
Scheda
Titolo originale:  La meglio gioventù. Nazione:  Italia. Anno:  2003. Genere:  Drammatico. Durata:  360'. Regia:  Marco Tullio Giordana. Cast:  Luigi Lo Cascio, Alessio Boni, Sonia Bergamasco, Adriana Asti, Fabrizio Gifuni, Maya Samsa, Jasmine Trinca.
Trama:
La storia dell'Italia dagli anni '60 ai giorni nostri, incentrata su una famiglia italiana ed in particolar modo due fratelli Nicola e Matteo che condividono sogni e speranze, finchè l'incontro con una ragazza psicolabile, deciderà il destino di entrambi...
Commento
Il titolo del film deriva da un proverbio  friulano (“Sul ponte di Bassano bandiera nera, la meglio gioventù va sotto tera”) e dalla suggestione di una bella raccolta di poesie di Pisolini in dialetto friulano della fine degli anni 40, che ha questo titolo; si tratta di una sua prima opera poetica di cui l’autore fece anche una traduzione in lingua italiana e 20 anni dopo una riscrittura con gli stessi titoli e gli stessi argomenti.
Il film è stato concepito per la televisione. Basta pensare alla durata di sei ore, che è una durata non cinematografia, ma da fiction televisiva a puntate. La RAI ha mandato il film al festival di Cannes nel 2003 e inaspettatamente la pellicola ha vinto un premio prestigioso (Un certain regard); per questo la RAI ha deciso di portarlo nelle sale cinematografiche. Fare un film per la televisione significa fare un montaggio, dal ritmo più lento, significa dare importanza ai dialoghi, dare la prevalenza ai  piani ravvicinati.
Il regista Marco Tullio Giordana è l’autore del bel film “I cento passi”, forse la sua opera migliore. Giordana di solito è un autore faticoso e pensoso e spesso nei suoi film l’ideologia macchia le immagini. Da ricordare a questo proposito il film sul terrorismo “Maledetti, vi amerò”, un film arruffato, dove quello che lui vuol dire prende il sopravvento sulle immagini. Ciò non capita con questo film, che è molto misurato.
Come testo televisivo La meglio gioventù è quasi perfetto. È un film ambizioso che vuole raccontare 40 anni della nostra vita, per farci vedere “come eravamo”, per farci vedere come si è evoluto il costume e in particolare come si è evoluta la famiglia.
Qualcuno ha scritto che i quarant’anni di storia familiare riflettono la storia d’Italia. Non è del tutto vero. Certo è la storia di una famiglia che vuole essere “esemplare” e quindi finisce anche per essere una storia d’Italia; ma i riferimenti allo storia d’Italia sono di scarso rilievo, anche se non mancano  chiari riferimenti al nostro paese (la dislocazione geografica dei fatti narrati che si sviluppano da Torino a Palermo con al centro Roma). Ma sono assenti altri momenti importanti della nostra storia Ad esempio il delitto Moro non compare nemmeno sullo sfondo. Al regista interessa in fondo raccontare da “dentro” la storia dei protagonisti e cerca di costruire una storia molto emozionante, commovente (soprattutto nella seconda parte il regista gioco molto sul coinvolgimento emotivo dello spettatore, mentre nella prima parte vengono preparati i presupposti per una emozione che va a salire) e molto attenta a dare rilievo psicologico ai personaggi e al loro rapporto con l’ambiente.
C’è una vicinanza tra La meglio gioventù e I cento passi nel senso che, mentre il regista ci mostra “come eravamo”, ci vuole anche dire “come potremmo” essere e “come dovremmo essere”. Quindi questo non è un film che guarda solo al passato, ma guarda anche al presente e al progetto, al domani, ad una nuova solidarietà su cui costruire il domani: un film pieno di passioni, ma passioni che non ci portano indietro, ma ci spingono a guardare avanti.
La meglio gioventù è un film di coppie, a cominciare dalla coppia di Nicola e Matteo, che la coppia portante; ognuno di queste coppie ha una caratteristica. Dentro la coppia centrale c’è un polo positivo, che è, Nicola e c’è un polo negativo che è Matteo. Tutte le altre coppie del film hanno la stessa valenza e la stessa struttura. Nicola, polo positivo, sposa una donna che è il polo negativo. Matteo, polo negativo, sta con una ragazza positiva. Bellissima la variazione della coppia dei genitori, dove il tema positivo -negativo diventa presente - assente: nella prima parte è la figura paterna ad essere più presente, più sfumata  quella della madre;  viceversa nella seconda parte, dopo la morte del padre, emerge  con grande rilievo la figura della madre.
Questo poi è un film sulla consapevolezza. Qualsiasi storia si racconti, c’è attorno dentro di essa una condizione tragica che qui è esemplificata dal tema della follia che accompagna le prime tre ore di questa storia, ora stando sullo sfondo, ora prendendo il primo piano. Ciò a ricordarci che anche nella storia più rasserenante, anche dentro una saga familiare, anche dentro un sentimento di continuità e di appartenenza, noi apparteniamo e condividiamo una condizione tragica.
Infine c’è anche una lettura politica. Giordana non nasconde la propria ideologia; la suggerisce con una locandina, con un manifesto e su questo sfondo egli dichiarala propria idea politica (anche se non la propria appartenenza politica ad un partito), che è chiaramente di sinistra.
La meglio gioventù è, come suggerito più sopra, una saga familiare. Perché ci piacciono molto queste storie che tanto sono importanti anche in letteratura  (Thomas Mann : I Buddenbrook). Ci piacciono per due ragioni.

1.       Ci danno un sentimento di continuità (cosa che oggi a noi manca e manca soprattutto ai nostri figli). È importante capire che facciamo parte di una storia, che la continuiamo e la consegniamo a qualcuno.

2.       Ci danno poi un secondo sentimento: il sentimento di appartenenza; sentiamo che i personaggi di queste storie “appartengono a…” Anche questo sentimento pochi di noi hanno; ci sentiamo slegati, spesso abbandonati. Ecco allora nascere la fierezza di appartenere a qualcosa, a una famiglia, ad un popolo, ad una cultura. Questo sentimento ha un gran peso nella costruzione della nostra identità. Indipendentemente dalle loro qualità estetiche di queste storie ci fanno bene da un punto di vista psicologico: Questi sono quei film da cui usciamo un po’ più forti

La saga familiare o romanzo familiare è per sua natura vicino al feuilleton.  Anche La meglio gioventù fa parecchie incursioni nel melodramma. Per questo dobbiamo capire, perdonare il regista per avere inserito soprattutto nella seconda parte alcuni momenti forti del racconto, alcune scene madri. Queste sono inevitabili dentro un racconto che copra quarant’anni, dentro una storia familiare, dove paternità e maternità di mischiano e si intrecciano. Però dobbiamo dare atto a Giordana che, pur dovendo pagare questo dazio al cinema dei fazzoletti, della commozione, del pianto, e quindi dovendo concedere molto al melodramma, lo abbia fatto con molta misura, nonostante qualche sbavatura, come quella dell’apparizione finale del fratello morto. Per avere la prova della misura con cui Giordana ha usato con misura il melodramma, si pensi ad una delle scene-madri più importanti all’inizio della seconda parte: la donna di Nicola va a vedere la bambina di nascosto al museo. Questa scena finisce col diventare una delle più belle del film:, perché l’emozione è stemperata dalle inquadrature degli animali mostruosi e si risolve nell’incrocio dei due sguardi; in questo  tutta una modalità che è ben lontana dal melodrammatico di stampo televisivo, da telenovela. Un’altra scena  madre resa con essenzialità è quella che descrive il dolore, la rabbia della madre per il suicidio del figlio: la ferocia del dolore della madre espressa da movimento delle mani che prendono i libri, li piegano e li buttano per terra. E nient’altro.
Un’altra considerazione va fatta, quella sul lieto fine. Alla fine tutte le coppie si mettono al posto giusto, i poli positivi si ricongiungono. I grandi romanzi popolari, specialmente la saga familiare (come Davide Cop3erfield, ed anche i nostri Promessi Sposi) devono contenere una positività, devono essere propositivi; l’ottimismo del film non deve essere visto come una consolatoria ricerca del tutto va bene, ma ha un valore ben augurale. La frase che Nicola dice alla figlia dubbiosa sull’incontro con la madre (“Sei felice? Allora questo è il momento di essere generosi”) è l’elogio del bene che toglie  al lieto fine il carattere deteriore del finale scontato e banalmente ottimista. Non per niente il film è seminato di bambini (Ricordate quando Nicola riceve la lettera che gli annuncia la perdita della madre?): Anche il cinema del neorealismo che nasceva dalle macerie della guerra era popolato di bambini, proponeva a quell’Italia piagata, sconnessa l’immagine dell’infanzia, non per far passare una visione ottimistica della realtà, ma per dare  agli spettatori un messaggio ben augurale, di apertura al futuro, di promessa. Questo non è un ottimismo sul  presente; qui  lo sguardo del regista si volge verso il futuro. È  una speranza.
Molto pregevole è la sceneggiatura specialmente per come dipana la storia, per come questa prenda sempre più corpo mano a mano che i fatti si snodano. Parte sottovoce, poi a poco a poco la regnatela dei fatti si accumula secondo un preciso disegno. Basta pensare all’evoluzione dei due genitori, che all’inizio sembrano due macchiette che stanno nel fondo della storia, poi vengono fuori come personaggi  di un grande spessore umano.
Questo film è molto ricco di storia del cinema italiano. Ricorda nella sua struttura il film Novecento di Bertolucci, che racconta la prima parte del ‘900. Ma c’è una differenza: quel film  che terminava col 25 aprile era raccontato come un’epica, mentre questo film è raccontato come un racconto lirico; questo è un film raccontato sottovoce, quello era un film gridato; quello usava colori  splendidi e luminosi anche quando descrive gli anni bui della guerra; questo è narrato con l’uso di colori  opachi, pallidi, tristi (anche quando la storia è ambientata in Sicilia). Vedendo questo film ci viene in mente La famiglia di Scola, un atro film che attraversava 80 anni di storia dell’Italia, Così ridevano di Amelio (l’ambientazione a Torino, il tema della rivalità tra fratelli)
Per concludere una osservazione sul personaggio di Giorgia. Ha una grande funzione simbolica: nel suo venire alla luce e alla guarigione così faticosamente, come se vivesse una piccola resurrezione è da vedere il simbolo dell’Italia: un’Italia ammalata che si avvia faticosamente e con molte incertezze alla guarigione, che si risolleva, che esce dalla confusione e dal caos per acquistare una sua identità. Giorgia  poi è anche lo spirito del racconto: è lei che apre la storia trascinandosi dietro i due fratelli; è lei che la chiude alludendo alla foto scattata dalla ragazza di Matteo  e intitolata “Quando Matteo era Nicola”, ricongiunge così i due fratelli in una unica dimensione positiva

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