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Origine: Repubblica Ceca - Anno di produzione: 1996 - Regia: Jan Sverak  - Sceneggiatura: Zdenek Sverak - Interpreti principali: Zdenek Sverak (Louka), Adrej Chalimon (Kolya), Libuse Safrankova (Klara) - Genere: commedia - Premi: Premio Oscar per il miglior film straniero
La storia
Siamo a Praga nel 1988, nei giorni precedenti la cosiddetta rivoluzione di valuto, prova generale della caduta dei Muri Louka (Zdenek Sverak, padre del regista e sceneggiatore della storia) è un violoncellista di talento, ma ha un difetto: non può fare a meno di correre dietro alle sottane e per questo si è bruciato la carriera, andando a letto con la moglie di un funzionario del partito comunista cecoslovacco. Per campare si adatta a suonare ai funerali e a rinfrescare le lapidi del cimitero. Nel frattempo vive solo in una mansarda e se la gode con le mogli degli altri. Ma i proventi sono scarsi e la vita costa cara. Così accetta la proposta di un becchino: sposare, ovviamente dietro compenso, una donna russa, che in questo modo acquisterebbe la cittadinanza cecoslovacca, primo passo per espatriare definitivamente in occidente. Louka può finalmente realizzare il suo sogno e comparsi una Trabant di seconda mano. Ma la gioia è di breve durata. La sposa bianca sparisce, affidando il figlio di 5 anni, Kolya, ad una vecchia zia di Praga, la quale pensa bene di morire quasi subito. Così Louka, oltre ad avere delle grande con l’ufficio immigrazione che indaga sui matrimoni sospetti, rimane, proprio lui scapolo incallito, con un marmocchio di 5 anni, dato che è il suo "parente più prossimo". Non solo il bambino è un bambino, ma è anche russo, quindi rappresenta in formato mignon il popolo detestato dai boemi, non comprende una parola del ceco, come Louka non sa il russo.. Insomma, all’inizio i due non si sopportano, poi imparano ad amarsi. Il maturo gaudente scopre l’arte di essere padre e il bambino poco per volta si avvicina anche fisicamente al padre/nonno e quasi lo conduce verso un tardiva maturazione.
Note di commento
È la storia di una formazione: solo che nel caso di Kolya a crescere è un uomo di 55 anni e, a farlo crescere, sia pure involontariamente, è un bambino di 5 anni, che gli insegna l’arte di essere padre.
Il film è una deliziosa commedia sentimentale, ma non sentimentalistica, che commuove con la tenerezza delicata e leggera, ma diverte anche con l’humour garbato e sottile e fa riflettere col tocco brillante di una satira che non risparmia i risvolti politici della vicenda.
La tenerezza culmina nella separazione della coppia all’aeroporto, ma trova accenti sinceri lungo tutto il film, come quando Kolya tocca per la prima volta Louka, accarezzandogli il lobo di un orecchio, come quando la strana coppia trascorre un pomeriggio fuori della cupa città in mezzo ad una natura luminosa.
L’humour raggiunge il massimo negli episodi in cui Louka, preoccupato per il piccolo, ricicla le proprie amanti come mamme vicarie per curargli la febbre o per leggergli, al telefono e in russo, le fiabe o come quando il violoncellista, indispettito (e in preda ad un comico senso di colpa), scopre il piccolo mentre "crea" il suo piccolo teatro dei burattini utilizzando, come naturale, gli elementi che ha ricavato dalla prima esperienza di convivenza con il vecchio gaudente: cioè una finta bara (la scatola delle scarpe che Louka gli aveva appena comprato) che entra nel finto forno crematorio coperta da un velo nero (un indumento intimo, residuato di una delle occasionali avventure sentimentali cui l’improvvisato padre non aveva rinunciato nemmeno dopo l’affidamento di Kolya)
La satira politica è diffusa qua e là e investe con l’arguzia tutto ciò che è russo, l’ottusità e la sospettosità della burocrazia, gli immancabili voltagabbana dopo la rivoluzione, ecc.
Ad impreziosire l’aspetto artistico dell’opera non mancano simbolismi. e allusioni significative. Ad esempio l’orecchino trovato per caso da Louka mentre ripulisce una grondaia coperta di terriccio è allusivo del rapporto che sta per nascere tra lui e il bambino. Da notare poi che il film inizia con una sequenza di morte e di squallore professione e morale (Louka suona ad un funerale per sbarcare il lunario e durante il "concerto" solleva con l’archetto la gonna della cantante) e termina con una sequenza di vita, riscatto e rinascita anche politica (Louka, riabilitato e maturato finalmente, mentre rioccupa il suo posto nella grande filarmonica, vede, tra la folla festante per la liberazione, Klara in attesa di un bimbo, che ora finalmente gli farà assaporare la gioia della paternità naturale). È già stato fatto notare, infine, come al clima cupo, freddo e piovigginoso della città in cui Louka si arrabatta nel suo squallore di sterile gaudente, si contrapponga la sfolgorante luce della campagna in cui il piccolo e il musicista si immergono, quando hanno ormai realizzato un’intesa affettuosa; anche la festa del finale ha come sfondo una città avvolta in una luce nuova, segno della rinascita politica.

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