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Iris – Un amore vero
Titolo originale:  Iris - Nazione:  GB/Usa - Anno:  2001 - Genere:  Drammatico - Durata:  90' - Regia:  Richard Eyre - Cast:  Judi Dench, Kate Winslet, Hugh Bonneville, Jim Broadbent
Produzione:  Robert Fox, Scott Rudin
Distribuzione:  Miramax
Trama
Iris è scrittrice e filosofa. Per lei le parole sono molto importanti, ogni dialogo diviene espressione di concetti profondi, anche semplicemente dire "passami la salsa" è motivo d'analisi. Iris è Iris Murdoch, autrice di una ventina di romanzi nell'Inghilterra a metà dello scorso secolo, morta nel 1999 a causa del morbo di Alzheimer.
Perdere progressivamente la capacità di riconoscere le cose e congiungerle con il loro significato, parole utilizzate quotidianamente sin dalla prima infanzia, poi concetti acquisiti con impegno e fatica, magari studiando molto, tanto, sino a farne il proprio lavoro, un'esigenza di vita. Questo è il primo segnale. In seguito e velocemente, ripetere ossessivamente una stessa frase come "è solo il postino", con meraviglia, senza riuscire a coglierne il senso, infine, chiudersi in un mondo senza segni decodificabili dall'esterno, conservando sparuti attimi di lucidità. Questo è l'ultimo segnale del morbo di Alzheimer, inesorabile nello spegnere del tutto l'attività di un essere umano, fino alla morte.
Iris Murdoch ci è presentata ormai anziana mentre è colta dai primi invisibili segnali della malattia. Ci è presentata al meglio del suo intelletto. Parallelamente, e così sarà per il resto del film, Iris è raccontata anche da giovane, quando all'inizio della sua carriera esprimeva vitalità e indipendenza senza avvertire un serio ostacolo per lo sviluppo di una vita dedicata interamente al piacere della conversazione, della riflessione, dell'immediato contatto con gli altri. L'incontro con il timido e leggermente balbuziente John Bayley, divenuto in seguito professore di letteratura ad Oxford, è da subito determinato dalla dipendenza di lui nei confronti di una donna che gli appare irraggiungibile, forte e brillante. Su questo si equilibra il rapporto, equilibrio che si mantiene intatto sino all'avvento della malattia. Poi i ruoli si ribaltano, per cui John diviene il punto di riferimento di una Iris indifesa, debole, persa nella nebbia che via via si condensa fino a renderla inattiva.
Iris Murdoch e John Bayley, uno dei più grandi amori ‘intellettuali’ del secolo. La scrittrice irlandese, icona della sua generazione, e il brillante critico letterario, insieme per quarant'anni all'insegna di affinità elettive e anticonformismo. La loro storia non poteva non diventare un film. Un film che, sospeso tra documenti, testimonianze reali e fiction, ripercorre le tappe dell'aristocratica unione, dall'incontro a Oxford negli anni 50 fino al dramma dell'Alzheimer, che colpì la Murdoch nel 1997 e la portò alla morte nel 1999. Nel film il volto giovanile di Iris è quello di Kate Winslet, mentre la maturità è appannaggio della pluricandidata agli Oscar Judi Dench.
La vera Iris
Iris Murdoch nacque nel 1919 a Dublino, orgogliosa di discendere da una eminente famiglia protestante anglo-irlandese, quindi non inglese, presa tra i due mondi ma estranea a entrambi. Frequentò le scuole in Inghilterra e il college femminile di Sommerville a Oxford. Durante la seconda guerra mondiale lavorò come impiegata statale poi tra il 1948 e 1963 è stata borsista a Oxford. Il suo primo romanzo "Under the Net", narrato in prima persona da un uomo, fu pubblicato quando aveva 35 anni. Due anni dopo sposò John Bayley, un professore che conosceva da tre anni e che in seguito divenne uno stimato critico letterario. Il biografi hanno definito il loro un matrimonio bohémien, Iris era bisessuale, "innamorata del mondo e da esso riamata". Dopo il romanzo d'esordio ne ha scritti altri 25, tutti gialli psicologici che descrivono complicate e sofisticate relazioni sessuali. Le sue trame hanno tutte una caratteristica: quella di unire episodi bizzarri e macabri a situazioni comiche. Nel 1997 le fu diagnosticato il morbo di Alzheimer. John Bayley l'ha assistita fino alla fine.
La testimonianza di Bayley
"Ho versato più lacrime guardando il film che in tutta la mia vita, perché ha ricreato bene la situazione. Ovviamnete sono consapevole che il film è un'opera d'arte. E un'opera d'arte commuove più della realtà".
Il regista
Il regista Richard Eyre, direttore artistico del Royal National Theatre e vincitore di molti premi per la sua attività teatrale, debutta al cinema ispirandosi alla straordinaria e toccante storia d'amore tra Iris Murdoch e il critico letterario John Bayley.
Recensione
Per misurare il livello di una civiltà si deve indagare sulla capacità che quella cultura possiede di integrare il più debole, il diverso, l’emarginato, di dare ad ogni soggetto la possibilità di realizzarsi, di accedere alla scuola e al lavoro, di vivere al centro della corrente della vita e della storia con tutti i diritti che la persona possiede. La nostra è una cultura impietosa rispetto a chi non è efficiente, diversa da altre culture. Nella cultura pigmea, che noi definiamo primitive, il momento più importa è la caccia all’elefante, che il momento a cui questa cultura lega la propria sopravvivenza. Alla caccia partecipano tutti i componenti della tribù. Quando l’animale, stretto in un angolo, l’angolo della morte, come viene chiamato nel dialetto locale, colpito con le lance dai guerrieri stramazza, a dare il colpo finale viene chiamato l’handicappato, lo stupidotto, l’ultimo del villaggio.
È vero che l’handicap è l’esito di una malattia irreversibile, ma irreversibile non significa irrecuperabilità: nessuno è irrecuperabile, tutti i portatori di h. hanno delle possibilità, delle risorse, delle opportunità, della capacità che devono essere portare alla massima attuazione. Certi deficit dei portatori di h. dipendono dalla nostra risposta scorretta, sono creati o ampliati dalla risposta che la società dà a questi soggetti.
Questo film, duro, crudele, racconta una storia vera, la storia di una persona con un handicap che non ci piace vedere rappresentato, perché è un handicap che appartiene un po’, perché tutti possiamo esserne vittima tutti: l’Alzheimer.
Ma questo film è anche una impareggiabile storia d’amore, di una straordinaria fedeltà amorosa.
In un puzzle prodigiosamente calibrato tra gli anni della giovinezza della scrittrice e il periodo finale della sua vita, controllato dalla malattia, Eyre racconta con intensa partecipazione la storia di una relazione d'amore profonda e sincera durata quarant'anni. In un montaggio in cui le immagini del presente si mescolano a quelle del passato giovanile di Iris, si svolge il dramma della scrittrice che rapidamente perde coscienza di sé a causa di una malattia che sembra accanirsi proprio su quella personalità brillante e carismatica che l'aveva resa famosa e così affascinante.
Mentre Iris si dissolve gradualmente, il marito John le resta incondizionatamente devoto, tentando di prendersi cura di lei quando a malapena riesce ad occuparsi di sé.
Una storia d'amore raccontata anche dalla bravura di due attrici che riescono persino a somigliarsi. L'Iris giovanile di Kate Winslet e quella dell'età matura di Judi Dench non si contrastano mai, sebbene il montaggio le avvicini tanto da confonderle. Lo spirito e sensibilità dell'una si armonizza perfettamente al carisma e alla maturità dell'altra. Grande abilità degli attori e del regista che attraverso lo strategico e continuo passaggio dal passato al presente allontana il rischio del facile e lacrimevole sentimentalismo.
È un film con una straordinaria ricostruzione storica, una grande attenzione ai dettagli e soprattutto una immensa recitazione: le due protagoniste sono stati entrambe candidate all’Oscar; lui è stato stranamente candidato all’Oscar come attore non protagonista, mentre, a guardarlo bene, questo film è soprattutto la storia del dramma, dell’amore di una marito che ama la sua compagna al di là e al di sopra della ventura.
Certa critica accusa Eyre  di mancare di evidenziare i processi che Iris mette in atto inconsapevolmente per esprimersi, elude totalmente la sospensione finanche della sofferenza nelle persone colpite dal morbo in stato avanzato - orribile caratteristica che offre la misura del grave stato di allontanamento da sé -, soprattutto si esime dal raccontare Iris quando non può più raccontarsi - ed in fondo l'Iris che conosciamo è sempre mediata dal racconto altrui. Sono gli altri a soffrire per lei, sono gli altri a dover fare i conti con una persona che ora ha bisogno di sostegno, anche se non è in grado di chiederlo direttamente. Il film, quindi, ruota su John. E' la vita di John ad essere sconvolta, è lui che sembra rifiutare questa Iris insistendo a mettergli in mano carta e penna, perché è lui ad avere bisogno di lei, come è sempre stato. Iris non esiste più se non nei ricordi di quello che era un tempo, non esiste il suo oggi, non esiste per la malattia, non esiste nemmeno per l'attenzione offertagli dal regista, come se un essere ormai quasi inanimato non abbia il diritto di esserci comunque.
 

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