Freccia-sx4.jpg (2157 byte) CANONE INVERSO      
Regia: Ricky Tognazzi - Interpreti: Jeno Varga (Hans Matheson) - Sophie Levi (Melanie Thierry) - Davis Blau (Lee Williams)- Il violinista (Gabriel Byrne) - Barone Blau (Ricky Tognazzi) - Vecchio barone Blau (Peter Vaughan) - Wolf: (Adriano Pappalardo) - Maestro Hischbaum: (Andy Luotto)– Soggetto e sceneggiatura: Graziano Diana, Simona Izzo e Ricky Tognazzib (liberamente tratto dall'omonimo Canone inverso di Paolo Maurensig, edito nel '96 da Mondadori) - Anno: 2000 - Origine: Italia - Durata: 105’- Genere: drammatico
Canone inverso è un film a scatole cinesi. Una cornice a due personaggi, la giovane Costanza (Nia Roberts) e il vecchio barone Blau (Peter Vaughan), racchiude una seconda cornice a due personaggi, Costanza e un misterioso violinista (Gabriel Byrne), il secondo dei quali narra la storia principale. Jeno Varga (Hans Matheson) suona il violino e la musica lasciatagli dal padre che non ha mai conosciuto. Innamorato della pianista Sophie Levi (Melanie Thierry, già amata dal pianista sull'Oceano di Tornatore), Jeno studia al Collegium Musicum, dove si lega d'amicizia col giovane David Blau. Ma il nazismo ha preso il potere, i protagonisti sono ebrei e le leggi razziali stanno per arrivare a Praga. Un ultimo concerto praghese segna il destino di tutti.....
Il racconto del film è scandito in tre tempi: la giovinezza dei personaggi (nazismo e seconda guerra mondiale), il 1968 (la rivoluzione in Cecoslovacchia, la contestazione) e oggi. (si deve supporre che l’incontro di Costanza col vecchio barone avvenga ai giorni nostri). Questa scansione temporale colloca Canone inverso nella poetica della memoria. La memoria ha la funzione di attualizzare il passato, quel passato che ci pare stia scivolando via. Canone inverso compie dunque questo incantesimo: quello di renderci di nuovo presente, di vivificare ai nostri occhi ciò che qualcuno pensa stia svanendo e non appartenga più alla profondità dell’uomo. Per questo, anche se, per certi aspetti, può essere classificato come un film storico, Canone inverso è un film di forte attualità.
La storia di questo film è di impianto classico e rimanda al grande romanzo dell’ottocento, che è, non dimentichiamolo, una delle più grandi creazioni della storia della cultura umana. Unitamente al teatro greco, al teatro di Shakesperare, alla musica della fine del settecento, alla pittura del rinascimento, il romanzo dell’ottocento è uno dei momenti in cui la genialità dell’uomo e la sua creatività ha toccato i vertici.. Le storie, i racconti, la fiaba sono nati dal romanzo dell’ottocento. Queste grandi storie oggi nessuno probabilmente le sa raccontare, ma, se qualcuno le vuole raccontare, deve prendere quei modelli, perchè quelli sono racconti che chiudono in sè la vita intera.
Questi racconti, assieme alle grandi fiabe, sono, come dice lo psicanalista, della storie che curano, delle storiche che fanno bene. Un ragazzino dei 13-14 anni che ha letto David Copperfield è più forte del suo coetaneo che non l’ha letto, è più in grado di affrontare la vita, perchè dentro quella lettura ha assimilato lo schema stesso del vivere. Il coraggio di questo film è quello di fare, alle soglie del 2000, un film ottocentesco, che sa prolungare la forza e la potenza di quel genere letterario e lo fa nella convinzione che noi abbiamo ancora bisogno di questi racconti. Questo film racconta una storia di formazione, una storia di giovani che entrano dentro la vita, dentro la pienezza e insieme dentro la tragicità della vita.
Questo film dice anche un’altra cosa: per entrare dentro la vita (per la conquista della maturità, per la conquista dell’identità) sono necessarie due forze vitali, che devono coincidere: la passione amorosa e la passione intellettuale o artistica. L’incantamento di questo film sta nell’aver legato, dentro ad un tradizionale classico racconto di formazione, questi due momenti con una semplicità che rende più evidente questo incastro, questo connubio, quasi a volerci dire che un interesse intellettuale senza la passione amorosa finisce con l’essere una pura tecnica, pura forma; d’altra parte una passione amorosa senza una passione intellettuale(che costituisca il linguaggio, l’espressione) forse non riuscirebbe ad espandersi, non riuscirebbe a crescere. La bellezza di questo film non sta solo nel montaggio alternato dei tre tempi del racconto, ma sta anche nel montaggio alternato tra la passione musicale e la passione amorosa. Altri film ce lo hanno raccontato, ma qui c’è una misura, un garbo, una grazia nel legare questi due temi in maniera persuasiva.
Questi sono i pregi. Meno convincente è la regia del film e il linguaggio scelto da Tagnazzi. Il racconto ottocentesco richiede una struttura narrativa classica. Qui invece il regista si gingilla (o fa dell’esibizionismo?) col linguaggio più smaliziato, quello della pubblicità (rallenty, le variazioni focali), che è incongruente con la natura del cinema classico. Non si è preoccupato, ad esempio, come avviene nel cinema classico, di differenziare i tre tempi del racconto con tre diverse luci, con tre diverse atmosfere o, se vogliamo, con le classiche e ben note dissolvenze del cinema del tempo che fu. 

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