Freccia-sx4.jpg (2157 byte) LE BIANCHE TRACCE DELLA VITA
Regia Michael Winterbottom - Tratto da dal romanzo di Thomas Hardy "The Mayor Of Casterbridge" -Attori: Peter Mullan (Daniel), Sarah Polley (Hope), Wes Bentley (Donald), Milla Jovovich (Lucia), Nastassja Kinski (Elena), Marie Brassard (Sue la Francese), Shirley Herderson (Annie), David Lereaney (Attore al Saloon), Sean Mcginley (Sweetley), Phillipa Peak (Sarah), Julian Richings (Bellanger ) - Anno 2000 - Durata 120 - Origine Canada/Francia/Gran Bretagna - Genere Western
Trama
A Kingdom Come, un piccolo paese della Sierra Nevada la vita cambia di colpo quando arrivano Elena, sua figlia Hope e Dalglish, incaricato di disegnare il tracciato di una nuova linea ferroviaria. Elena - tornata nel suo paese d'origine a causa di una brutta malattia - incontra il suo ex marito che venti anni prima ha venduto lei e la loro figlia in cambio di una miniera d'oro. Mentre tra Dalglish e Hope scoppia l'amore a prima vista, Elena viene di nuovo corteggiata dall'ex marito che, pentito per quanto accaduto anni prima, è adesso pronto a riprendere la vita comune.
Il regista e i temi
Il film è estremamente ricco da un punto di vista narrativo, cioè racconta una grande storia. L’autore è un regista inglese, Michael Winterbottom, che ha come caratteristica peculiare quella di sapere raccontare delle storie con sguardo flessibile e pertanto produce delle narrazioni estremamente versatili. Le azioni dei protagonisti sono sempre presentante per intero anche quando sono minime. Il dipanarsi del nucleo narrativo viene comunque espresso con una forma molto particolare e riconoscibile: questo autore si esprime in una maniera molto secca, molto dura, è un autore che non ama indugiare molto su forme retoriche di immagini; è estremamente asciutto, sobrio nelle sue espressione. I suoi protagonisti sono quasi sempre calati in flussi di memoria che determinano il loro presente creando dei ponti necessari verso il futuro. Winterbottom inizia la sua carriera con dei documentari per la TV di argomento sociale, che indagano soprattutto sulla condizione delle classi basse della società (il ceto operaio, il proletariato). Anche i suoi film si occupano spesso di problemi sociali e umani. Uno dei suoi film più importanti è Go Now che è la storia di un ragazzo che deve prendere atto con drammaticità della propria malattia, la sclerosi, e che vive, per questo, un rapporto difficile con la sua partner. Questa storia, per quanto drammatica, viene narrata con toni leggeri, ma con una capacità di narrare che sa entrare nella storia, che ci costringe a guardare dentro i personaggi, senza opprimerci, ma con levità che sembra quasi stridere con il peso dei contenuti. Normalmente Winterbottom si occupa di storie di rapporti umani piuttosto rudi e di dinamiche familiari estremamente crude. Le sue storie, oltre che essere storie di derive, si presentano anche come storie di spaesamento. Lo spaesamento è un'altra caratteristica di questo regista che si è espresso bene, in questo senso, in un film in costume, Jude, opera nella quale il melodramma porta ad accentuare proprio questo aspetto. Il protagonista è fuori tempo, fuori spazio, fuori luogo; ha una identità che non riesce ad incidere sulla propria vita, perchè arriva o troppo prima o troppo tardi. Il fuori, l'essere fuori, è presente anche nei protagonisti di questo film che è pure esso un melodramma, che è pure esso in costume. Anche il protagonista di questo film, Daniel, è fuori, nel senso di essere fuori fuoco, sfocato a se stesso e a negli occhi degli altri, soprattutto dei familiari. Winterbottom mette in rilievo questo aspetto mettendo il protagonista in secondo piano, nel presentarlo nello sfondo e quindi in modo sfocato (le figure in secondo piano sono sfocate). Un altro aspetto importante di LE BIANCHE TRACCE DELLA VITA è il luogo in cui la storia è narrata. In questo film, come in Jude, la natura non è indifferente alla storia, in particolare la natura in questo film opprime. Il modo con cui viene rappresentata la Sierra Nevada (in realtà non è la Sierra Nevada, ma il Canada) è quasi appiattente, c'è un bianco allucinante, che abbacina. Il bianco che abbacina, come il buio assoluto, rende ciechi, dà una senso di cecità, quindi di spaesamento. L'ambiente è circondato da montagne che sembrano talmente incombere sui personaggi da non lasciare vie di uscita, da far sembrare che non ci siano sentieri che le possano attraversare. Questa metafora naturalistica è resa bene anche con le inquadrature; certe inquadrature dall’alto verso il basso tendono a schiacciare ancora di più personaggi nel loro destino, a imprigionarli senza via di uscita nella loro storia. Un gioco molto bello nel film è il gioco sul tempo. Nel film ci sono due tempi in realtà. Uno lineare della storia al presente dei protagonisti, uno invece a flashback, di ritorno, di memoria, di fatti di ieri che hanno un riflesso nella storia di oggi. Il ritorno al passato è reso molto bene attraverso la ripresa di oggetti simbolici che fanno da tramite tra il passato e il presente. Nel film ce ne sono due : un rosario, una fotografia, segnali di qualcosa che muove i personaggi, ma che appartiene al loro passato. La fotografia fa riemergere per la prima volta il passato, innesta il ricordo del patto quasi satanico tra il protagonista e il signor Burn. Il gioco dei tempi è meraviglioso, perchè questi due tempi sembrano slittare e condensarsi tutti nella figura del protagonista. Quando noi sovrapponiamo due immagini, due tempi inevitabilmente ne viene fuori un senso di sbiadimento. Il protagonista è appunto un uomo che vive due tempi sovrapposti: vive un presente ed è schiavo del proprio passato. Questa sovrapposizione la vive anche nei luoghi in cui sta: una casa e una baracca; la casa luogo del corpo e del presente, la baracca luogo dell'anima e del ricordo. Quindi il protagonista è una persona bi-locata, cioè dislocata, allontanata da sè e dal riconoscimento da parte di chi gli sta intorno. La memoria qui è anche nemesi, punizione, in qualche modo espiazione, una memoria che il protagonista si porta addosso volutamente: ricordare per espiare. Questo è il senso del vivere nella memoria del protagonista. Ancora una volta un personaggio dislocato nel presente, che ha radici nel passato. Il protagonista è anche l'uomo della malinconia, una malinconia che si porta dentro, nel cuore e la ritrova nella baracca che un punto fisso della sua esistenza , un luogo a cui tornare, dove àncora la sua esistenza, così dislocata in più luoghi, in più spazi , in più luoghi dell'anima anche.
Alcune note sul linguaggio cinematografico
In tutto il film i movimenti della macchina sono ben visibili. Con i movimenti della macchina da presa il regista si mette al di sopra dei personaggi, li giudica. Qui la macchina da presa ci mostra spesso delle cose che non sono visibili da nessuno del presenti alla scena, non c'è nessuno dei personaggi che all’interno della vicenda vede le cose che noi riusciamo a vedere per mezzo della macchina da presa spinta e mossa dal regista. Quando un regista mostra il suo sguardo attraverso inquadrature impossibili, che non appartengono a nessun soggetto (non sono inquadratura soggettive); diviene una sorta di gran burattinaio che fa agire i suoi personaggi secondo un copione, secondo la sua filosofia che poi è quella del destino tragico e ineluttabile a cui gli uomini sono vincolati.
Il tentativo del protagonista di ricucire i due tempi (il presente e il passato) è reso con la sequenza incredibile della casa spostata, un'azione quasi titanica, da Prometeo, un tentativo di rompere il destino (un destino implacabile). Questo tentativo di ricucire il passato con il presente lascia una scia negativa (come la scia che lascia lo spostamento della casa): per ricucire il legame con Elena rompe un legame importante con Lucia.
Nella sequenza del saloon vediamo in primo piano Hope (=speranza) a fuoco e sullo sfondo in secondo piano il padre, sfocato volutamente dal registra, perchè Hope non lo riconosce come padre e lui non avrà il piacere di essere riconosciuto come padre se non da morto.
In questa sequenza del sallon inoltre è presente il Winterbottom che ha dietro alle spalle una cultura di sinistra, che ha un intento sociale. Winterbottom qui è attento ai volti, alla difficoltà che esprimono per le fatiche e le sofferenze che l'uomo affronta per sopravvivere. Ci viene mostrato un campionario di umanità con un gusto pittorico incredibile. I volti fanno intravedere storie di sofferenze. Il film, d’altra parte, racconta anche la fine di un mondo, quello dei pionieri con l’avvento di un nuovo mondo, quello della ferrovia, metafora della nuova America, che "è costruita dagli Americani", dice il capo del cantiere, ma noi sappiamo che Winterbottom ce la fa vedere come costruita con il sangue dei portoghesi (Lucia), cinesi, italiani, cioè con il sangue degli emigrati: i volti che Winterbottom ci presenta nella sequenza del saloon.
Il legame della ragazza con Dalglish non è molto semplice, radioso e solare. Lui costruisce la ferrovia che va contro gli interessi del padre e quindi anche di Hope, la tradisce con Lucia e per un certo momento la dimentica, uccide davanti a lei uno uomo che era l’amico fidato del padre. Il regista non fa niente per non metterci ancora una volta davanti a dei segnali inquietanti. Alla fine del film, ad esempio, inquadra Hope e Dalglish sulla strada che va verso il futuro, ma i due camminano solo a fianco l’uno dell’altro, non insieme; non si danno la mano, non compiono nessun gesto di avvicinamento; sono due linee parallele che vanno verso il nulla, il bianco. Lei si chiama Hope, cioè speranza, ma il registra ci sembra dire che quella speranza non si realizzerà, che per un uomo che si è riscattato (il padre di Hope) altri stanno tentando di accaparrarsi quello poco di oro che era stato l'oggetto del dramma che si è appena consumato. E il dramma si ripeterà. La fine non è lieta, si tratta infatti di un melodramma

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