Freccia-sx4.jpg (2157 byte) La balia  
Regia: marco Bellocchio. Soggetto: da un racconto di Luigi Pirandello. Interpreti: Fabrizio Bentivoglio (il prof. Mori), Valeria Bruni Tedeschi (Vittoria), Maya Sansa (Annetta). Origine: Italia. Anno: 1999. Durata 105’
Il dott. Mori, psichiatra, sceglie come balia per il figlio appena nato la giovane Annetta che ha avuto da poco un bambino da un insegnante sovversivo finito in prigione. La presenza della ragazza suscita la gelosia della moglie Vittoria che abbandona la casa. Intanto Mori si mette ad insegnare ad Annetta a leggere a scrivere così che possa corrispondere con il marito. Il dottore si riconcilia delicatamente con la moglie e scopre che la balia, di nascosto, ha continuato ad allattare anche il proprio bambino; all’inizio vuole cacciarla, poi la perdona, ma suo figlio non si attacca più al seno della giovane. Annetta torna in campagna, mentre il Mori scrive per lei (che glielo aveva chiesto) la lettera al marito. In realtà Mori lo fa come se scrivesse a sua moglie, dicendo: "Non ho più paura delle cose che cambiano ..."
Unitamente a Fuori dal mondo e a Il dolce rumore della vita il film ha come tema la maternità. Assieme i tre film formano una trilogia sul tema della nascita e dell’abbandono dei bambini. In tutti e tre dall’abbandono scaturiscono situazioni di grande positività.
La balia è un bellissimo film intimistico che offre una visione dell’interiorità dei personaggi e non una analisi oggettiva di situazioni sociali, politiche, ideologiche. Anche se Bellocchio qua e là usa battute e vicende tipiche del romanzo popolare dell’800, arriva poi a raccontare una storia di intimità, descrivendo più che i fatti, le sfumature dell’anima, le segretezze del cuore e invita lo spettatore a scoprire anche le cose che non vede.
I personaggi del film sono tutti soli, non riescono a comunicare. Soprattutto Vittoria è sola (è sempre al buio e nella penombra, vestita sempre di scuro; è vestita di chiaro solo nella casa dei genitori vicino al ma re, quando sta prendendo coscienza del valore della maternità). Neppure la nascita del bambino riesce a far partire la comunicazione. Solo i gruppi (le contadine, le serve e perfino le ammalate dell’ospedale psichiatrico) sono serene, allegre, non incatenate dal disagio della solitudine. Bisogna che arrivi il personaggio magico, la fatina semplice e incolta che viene dalla campagna, dalla natura, dai campi: la balia, che ha confidenza con la vita, col sole, con la pioggia (raccoglie la biancheria sotto il temporale ridendo, come se stesse giocando).Essa è l’immagine della vita, che è baciata sempre dalla luce. Annetta non salva solo il bambino, ma anche il medico che attraverso di lei recupera il senso della sua professione.
Alla fine ogni personaggio è più ricco, tutti sono disposti a combattere per la vita e nella vita con più ottimismo. Il cambiamento avviene non dalle lotte sociali, ma dalle cose e dagli avvenimenti di tutti i giorni.
L’apertura finale all’ottimismo sembra voler dire (col dott. Mori che scrive: "Non ho più paura delle cose che cambiano ...") che le cose possono cambiare, che si può uscire dal disagio, dalla voglia di non vedere e di non parlare, di non ascoltare, di non comunicare.   

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