Regia: Joan Chen
Sceneggiatura: Allison Burnett Con: Richard Gere, Winona Ryder, Anthony La
Paglia, Elaine Stritch, Vera Farmiga, Sherry Stringfield Fotografia: Changwei Gu Montaggio:
Ruby Yang Scenografia: Mark Friedberg Costumi: Carol Oditz Musica:
Gabriel Yared Produttore: Amy Robinson Gary Lucchesi, Tom Rosenberg Produzione:
Metro-Goldwin-Mayer Pictures, Lakeshore Entertainment Distribuzione: Medusa106' -
Colore - 35 mm - Dolby Digital/SDDSUsa 2000
In una frenetica New York, una stagione di foglie cadute e cieli tersi fa da sfondo
alla complicata storia d'amore tra lo chef cinquantenne Will Keane (Richard Gere) e la
ventenne Charlotte Fielding (Winona Ryder). Lui è un playboy molto amato dalle donne che
non crede all'amore vero. Tutte le sue relazioni finiscono in capo ad una stagione.
Finché non incontra la giovane Charlotte, virginale quanto basta per colpirlo al cuore.
La differenza tra i due è forte ed entrambi non credono nella possibilità che la loro
storia duri. Charlotte ha le sue personalissime ragioni.....
Sappiamo poco di questa regista (Joan Chen), una cinese
di cittadinanza americana al suo secondo film. Il suo primo film (il fiabesco e intenso Xiu Xiu) non lo abbiamo visto in Italia, ma sappiamo che è molto bello da un punto di
vista della descrizione del paesaggio un film di ambientazione tibetana in cui la
regista è riuscita a raccontare il paesaggio e a renderne la qualità emotiva. Raccontare
un paesaggio (si pensi all'impressionismo nel campo della pittura) non vuol dire
semplicemente descriverlo, vuol dire cogliere dentro il paesaggio le emozioni. Nel caso di
un film narrativo come questo (un melodramma, per di più) raccontare il paesaggio vuol
dire legare il paesaggio all'emozione che suscita storia. É per questa sua capacità che
forse è stata scelta questa regista di fatto esordiente. L'ambientazione del film è
importante. Il titolo già ne dichiara l'importanza e ci rimanda al cinema di Woody Allen
che nei suoi film ha raccontato spesso la New York autunnale con una straordinaria
sensibilità, una straordinaria ricerca della luce, una fotografia fatta di malinconie, di
piccole nostalgie, di rimpianti leganti ai ricordi.
La poesia del paesaggio qui però è un po oscurata da un situazione particolare.
Questo film infatti non ha una sua autonomia narrativa; non cè un autore che ha una
storia da raccontare, che gli urge dentro ed ha bisogno di comunicarla perché in quella
storia c'è lui o la sua immagine del mondo. Un film come questo invece nasce attorno agli
attori. Non c'erano prima i due personaggi di una storia e poi per quella storia si sono
cercati i due attori. La storia non nasce prima degli attori; prima il produttore ha
scelto gli attori e poi ha costruito una storia intorno a questi. Se per ipotesi dovessimo
cambiare i due protagonisti dovremmo modificare la sceneggiatura, tanto la storia è
costruita addosso ai due attori. In questa situazione il regista o la regista è
spiazzata. Non può manifestare la sua personalità, deve semplicemente metterla al
servizio dei due divi. Ed è per questo che qui la personalità della regista la vediamo
soprattutto nella definizione dell'ambiente.
Il melò, si sa, racconta la storia di un amore difficile, tormentato,
impossibile. In questi anni il melodramma sta cambiando. Mentre nel passato (anni 30 - 50)
il melodramma si accontentava di raccontare la tragedia, di raccontare un impossibile
amore, oggi si cerca (lo abbiamo visto anche in Cast Away, che è un melodramma,
che è la storia di un amore impossibile, almeno nella parte finale) di mostrare che la
tragedia non è stata inutile. Oggi il melodramma ci invita a cercare una positività
nella tragedia. Anche con questo storia (al di là dei suoi eccessi, delle sue lacrime)
siamo indotti a riflettere su che cosa vuol dire amare, sul senso, sulla profondità
dell'amare. Dal momento che il melodramma mi dice che l'amore è impossibile, io sono
costretto a chiedermi che cosa sia l'amore. Perchè oggi il melodramma ha bisogno di
essere fecondo? Perchè oggi si sente il bisogno di creare una specie di redenzione o di
salvezza. Il protagonista che esce dal dramma diventa più maturo; il dolore lo ha reso
uomo, più autentico (capita cosi anche in Cast Away). In Autumn in New York
il protagonista diventa tanto maturo che alla fine lo vediamo ... nonno.
L'uomo ha raccontato storie, fiabe, miti da sempre. Nell'ottocento le storie si
organizzano e danno vita al grandissimo romanzo dell'800. Quelle del romanzo dell'800 sono
storie totali che riflettono la vita intera. Tolstoj diceva che mentre componeva le sue
storie era "come sotto lo sguardo di Dio" e voleva dire che il suo romanzo (Guerra
e pace, più che in Anna Karenina) rifletteva dentro di sè la totalità della
vita, era insieme racconto delle origini, storia di iniziazione alla vita , storia di
amore e di morte (basta aprire Davide Copperfield). Dovremmo riuscire a recuperare
questo incredibile dono che ci ha fatto quel secolo, perchè le storie totali ci aiutano a
capire la vita e noi stessi, come nessun altro sapere. Questa ricchezza però trovava una
struttura narrativa ampia e complessa che oggi non riusciamo (specie i giovani) più a
tollerare. Quei romanzi potevano raccontare bene la totalità della vita perchè erano
come delle grandi cattedrali. L'amore, la morte, liniziazione si distribuivano
dentro questa architettura ricchissima e complessa. Eppure allora quei romanzi erano
popolari; non erano scritti per un'aristocrazia, erano scritti per tutti. I romanzi di
Dickens andavano a puntate sui giornali popolari e tutti aspettavano la puntata del sabato
per conoscere le vicende dell'eroe/protagonista. Così fu anche per Delitto a castigo
di Dostoevskij che uscì su un giornale mensile. Purtroppo questa grande tradizione è
morta con l'800. Il romanzo del 900 non è stato più capace di riprendere questa
totalità, perchè in questo secolo l'uomo non si è sentito più complice e partecipe
della natura, della storia. L'uomo del 900 si è sentito scollato, solo, incapace di
guardare in campo lungo la vita. Per questo il romanzo del 900 è stato il romanzo della
sconfitta, della deriva, dei piccoli piagnistei, delle rese (Basta guardare i titoli: Alla
ricerca del tempo perduto, L'uomo senza qualità). Allora la domanda diventa:
"Chi ha raccolto quella grande tradizione del romanzo dell'800 che rifletteva in sè
la vita intera?" L'ha raccolta il cinema. Se non ci fosse stata il cinema non avremmo
più la rappresentazione di queste storie forti. Il cinema ha raccolto anche la
popolarità di quel romanzo. Anzi, mentre il romanzo dell800, pur se popolare, è
stato letto relativamente da poche persone, col cinema queste storie sono viste da milioni
di persone. Nasce però, col cinema, un problema. Si devono prendere questi grandi romanzi
dell'800 e concentrarli in due-tre ore. É ovvio che per ottenere questo risultato
(esprimere la totalità della vita e farsi capire) il cinema rischia di diventare
enfatico, rischia di esagerare, rischia la retorica. Mentre nel romanzo c'erano 800 pagine
per distendere con un movimento di placida riflessione la ricchezza della vita, nel cinema
tutto si deve concentrare dentro due-tre ore. Allora c'è il rischio di eccedere, di
essere troppo enfatici, di sottolineare troppo alcuni momenti.
Retorico è anche Autumn in New York, come molti altri film di questo genere.
Questo film parte come una commedia e da un punto di vista cinematografico la prima parte
è la migliore ed ha le delizie della commedia. (lui fa addirittura con l'ombrello il
verso ad Humphrey. Bogart. di Sabrina). Ma quando il film abbandona la commedia e
scende nel melodramma diventa insopportabile, pervaso comè da una sofisticata
quanto artificiosa malinconia. Questa situazione labbiamo vista molte volte (Love
story, Un attimo una vita). Soprattutto quegli ultimi 10 minuti, quelli che
raccontano la morte della ragazza in ospedale, sfiorano il ridico: quella serie di primi
piani sugli astanti che sono fuori della sala operatoria, il chirurgo che esce dalla sala
operatoria e getta la ...maschera, la croce che appare subito dopo in primo piano, la
scatoletta con lorologio dentro saranno stati anche, per alcuni, commoventi e pieni
di tensione, ma sono certamente di una ingenuità stucchevole, messi lì apposta per
strappare le lacrime (dopo) degli spettatori più sprovveduti Ma ce ne saranno ancora di
sprovveduti fino a questo punto da non accorgersi che si tratta di una bufala, messa in
scena per strappare le lacrime e ... fare cassetta? Purtroppo, visti gli incassi di questo
film, dobbiamo pensare che ce ne sono davvero ancora tanti che sono caduti in questa
trappola. Ma allora la positività di questo melodramma ha un senso o è solo un'astuzia,
una furbata spettacolare? Ricordando lultima sequenza nel parco (lo stesso dove lui
ha visto per la prima volta Charlotte) che ci mostra lex playboy Will (perfino
ingrigito) che dà il biberon al nipotino e che, vedendo un cigno (chiaramente evocante la
ragazza morta), il suo volto si fa momentaneamente scuro, potemmo pensare che la storia ci
insegna qualcosa ... se non fosse che lintera situazione più che riflettere, ci fa
ridere!
C'è un film richiamato più volte in Autumn in New York: La doppia vita di
Veronica di Krzysztof Kieslowski (1991) La regista lo ha certamente visto,
probabilmente lo ha amato e lo ha messo in qualche modo dentro al suo film (La boccia di
vetro, la storia delle farfalle, certi giochi attraverso i vetri ricordano il grande
capolavoro di Kieslowski). Anche quel film racconta la storia di due ragazze malate di
cuore. Nella prima parte di quel film stupendo una ragazza muore, la seconda, che forse è
il suo doppio, nellaltra parte del film vivrà. Anche La doppia vita di Veronica
è un film melodrammatico, racconta una storia simile a questa, ma entra dentro al mistero
della vita, senza retorica, senza enfasi, senza cercare artifici per strappare le lacrime.