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Origine: USA - Anno: 1998 - Regia: Steven Spielberg - Interpreti: Morgan Freeman, Antony Hopkins - Candidato a 4 Oscar
I fatti narrati
1839. Amistad, una nave negriera spagnola, è diretta a Cuba. Alcuni schiavi razziati sulle coste occidentali dell’Africa, guidati da Cinquè, si ammutinano e ne prendono il controllo, uccidendo quasi tutti i bianchi negrieri. Ma non riescono a ritornare in Africa, perchè ingannati dal nostromo bianco sopravvissuto. Catturati da una nave degli Stati Uniti, vengono processati per omicidio in mare. Per loro si battono un giovane avvocato, un ex schiavo abolizionista e un ex-presidente degli Stati Uniti.
Il regista
Steven Spielberg, un grande regista, forse unitamente a Bergman e Kubrik uno dei più grandi registi viventi, è tornato in questi ultimi tempi prepotentemente alla ribalta con l’uscita dell’ultimo suo capolavoro Salvate il soldato Ryan.
La critica corrente parla di due Spielberg:

uno spettacolare
uno, impegnato (Schindler’s list, Salvate il soldato Ryan, Amistad).

In realtà c’è un solo Spielberg, che è il regista del recupero della memoria, che intende il cinema come il luogo del recupero della memoria. È vero comunque che Spielberg presenta due tipi di memoria:

La memoria delle origini, del mondo, dei miti, dell’inconscio, della infanzia (il primo Spielberg di Jurassic Park, Indiana Jones, E.T., I predatori dell’arca perduta), in cui prevale il sogno, la paura, l’avventura, in cui c’è attenzione al bambino che è dentro di noi, quel bambino che ci aiuta a scoprire le nostre origini e la nostra identità
La memoria della Storia, il passato storico (Schindler’s list, Salvate il soldato Ryan, Amistad

Vi sarà in futuro forse un altro Spielberg,: quello che si accingerà a raccontare la propria memoria personale (diario? biografia?). Sarà lo Spielberg della sintesi, che nascerà dopo la riflessione sull’immaginario, sui miti e sulla storia
Il tema
Il titolo del film, che deriva dal nome di una nave negriera che faceva commercio di carne umana, ha il sapore di un beffa atroce, dato che in spagnolo la parola amistad significa amicizia. Infatti il film, ispirato al resoconto storico Black Mutiny di William Owen, punta l’indice accusatore contro l’orrore della schiavitù. Si tratta di un grande film per la dignità e la profondità del racconto, la moralità del tema, oltre che, come vedremo, per la forza delle immagini. Ma ha avuto scarso successo di pubblico. Ciò è comprensibile per l’America, perchè il film è scomodo per la coscienza storica di quella nazione. Ma fuori dell’America, perchè così basso successo? Non sarà che anche noi rifiutiamo questo film perchè in noi c’è un razzismo latente? Oggi si parla di crisi dei valori; questa crisi nasce anche dalla perdita o dal rifiuto della memoria storica, quella degli errori commessi dall’umanità, ma anche quella della nobile tradizione – come ricorda l’ex-presidente degli Stati Uniti, interpretato da Antony Hopkins, nell’aringa finale davanti alla Corte Suprema - che nel passato è stata alla base di ogni civile progresso.
Alcune note critiche
Aspetto formale
Il film si svolge – eccetto qualche flashback – quasi tutto in spazi chiusi. Da un punto di vista delle immagini c’è da notare la grande capacità di Spielberg di parlare per mezzo della luce e delle ombre. Memorabile la sequenza iniziale che si svolge quasi tutta nel buio e, coi suo violenti contrasti di luce e ombra, è di una violenza spaventosa. Il buio sta a significare il buio da cui parte la vicenda, il buio morale da cui nasce lo schiavismo. Di grande efficace espressiva sono i primi piani, i dettagli, il disegno dei corpi.
Aspetto tematico
Nel fil compaiono immagini e situazioni simboliche degne di nota e di grande efficacia. Ne citiamo alcune.
Uno schiavo, scortato nell’aula del tribunale, vede sputare oltre il tetto di un edificio lungo la banchina del porto i tre alberi di un veliero la cui sommità richiama alla sua mente le croci del Calvario che lui ha visto fra le illustrazioni di un Vangelo che gli è capitato fra le mani. In quel momento egli intuisce che dietro la grande nave, strumento di schiavitù, dal quelle croci si possa cogliere anche un segno di liberazione. Con questa inquadratura l’ebreo Spielberg sembra volerci dire che nel messaggio salvifico del Nuovo Testamento i poveri negri strappati alla loro terra vedono la speranza di riscatto.
Da notare come Spielberg sottolinei l’importanza della comunicazione e della parola, come strumento di emancipazione. Tra i bianchi e gli schiavi neri all’inizio non c’è comunicazione o quanto meno c’è grande difficoltà di comunicazione; essi appartengono ad una dimensione umana e culturale diversa. Alla fine col superamento della difficoltà di comunicazione arriva anche la vittoria dell’umanità. Il giovane avvocato e Cinquè dopo la sentenza della Corte suprema si salutano usando l’uno la lingua dell’altro. Lo schiavo che aveva fatto da interprete tornerà, come un eroe, assieme a Cinquè, nella sua Africa dalla quale era pure lui stato strappato.
Mi piace ricordare infine – per la sua attualità politica da noi - la sequenza in cui il Presidente degli Stati Uniti, condizionato dalle minacce degli Stati del Sud, decide di annullare la sentenza del tribunale che rendeva giustizia ai neri, attuando così una grave interferenza del potere esecutivo sul potere giudiziario. Mentre sta prendendo tale decisione nel suo studio dove un fotografo gli fa il ritratto, il regista inquadra l’immagine dell’obiettivo della macchina fotografica che sta per ritrarlo. Come in ogni obiettivo di quelle primitive macchine l’immagine mostra il presidente capovolto: un vero e proprio ribaltonme, diremmo noi.

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