Pegaso

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Il Pegaso viene raffigurato in cielo come un cavallo alato rovesciato visibile solo per la metà superiore e, nonostante ciò, rappresenta la settima costellazione più grande in assoluto.
Gli astrofili sono soliti associare questa costellazione al cosiddetto quadrato di Pegaso, formato dalle stelle alfa (Markab = "sella" in arabo), beta (Scheat = "polpaccio"), gamma (Algenib = "ala" o "fianco") ed alfa Andromedae (Sirrah = "ombelico", riferito ad Andromeda): quest'ultima veniva considerata parte del Pegaso, quando ancora probabilmente non era stato "tagliato" a metà; oggi questa stella appartiene ad Andromeda ma costituisce ancora parte visiva del Pegaso. Girano parecchie leggende attorno a questo quadrato; il motivo fondamentale dell'interesse suscitato è dovuto alla particolare posizione delle quattro stelle rispetto agli assi dei solstizi e degli equinozi così come apparivano nel quinto millennio A.C. (epoca dei Mesopotami, tra i primi a darcene testimonianza mitologica). In quel tempo infatti il quadrato si trovava tra l'estremità superiore invernale della retta che congiungeva i due solstizi (o meglio, le costellazioni sulle quali si trovava il Sole all'inizio dell'inverno e dell'estate, ossia Pesci e Vergine) ed il punto centrale della via lattea che visivamente si presentava come un arco che congiungeva i due equinozi (le costellazioni sulle quali si trovava il Sole all'inizio della Primavera e dell'Autunno, ossia Gemelli e Sagittario). I Mesopotami vedevano in questa straordinaria posizione il centro carismatico del cielo in cui si fondeva l'armonia universale. Anche oggi una simile posizione potrebbe avere una funzione simbolica molto rilevante, in quanto se immaginiamo gli assi stagionali celesti come un crocefisso cristiano, il quadrato di Pegaso sarebbe posizionato in corrispondenza della testa di Gesù Cristo. Oggi però le estremità della "croce stagionale", in virtù della più volte ricordata precessione degli equinozi, sono cambiati.
Il mito più diffuso legato a questa costellazione è indubbiamente quello greco, che vede Pegaso come il frutto delle violenze di Poseidone su Medusa (vedi Perseo). Il "parto" però non avvenne nella maniera tradizionale: quando Perseo le tagliò la testa, Pegaso volò fuori dal collo insieme al guerriero Crisaore. Dopo la nascita si narra che da un colpo del suo zoccolo sul monte Elicone sia nata la sorgente Ippocrene ("sorgente del cavallo", appunto) le cui acque dissetavano l'ispirazione delle Muse. Legata a questo evento è anche la rappresentazione a testa in giù del cavallo nel cielo rispetto alle altre vicine: sarebbe stata capovolta dagli astronomi greci dimodoché nel loro cielo (di 5000 anni fa) durante la notte del solstizio d'estate gli zoccoli fossero a contatto con la Luna per generare la sorgente divina che riempiva il vaso dell'Acquario e inondava il fiume celeste (la via lattea, che difatti costituisce una delle fonti di ispirazione per poeti e artisti). A differenza di quanto si creda, Pegaso non fu il destriero di Perseo, ma principalmente fu montato da un altro grande eroe, Bellerofonte. Quest'ultimo, figlio di Glauco, discendeva dalla casa reale di Corinto: a causa di un omicidio involontario, venne cacciato dalla città ma venne poi purificato dal Re Preto. Alla corte di questi però la Regina Antea s'innamorò dell'eroe, il quale la rifiutò per rispetto del Re. Offesa per l'affronto, raccontò a suo marito di essere stata oggetto di presunte violenze da parte di Bellerofonte, pretendendone la morte. Il Re, non avendo il coraggio di uccidere in prima persona un ospite, mandò Bellerofonte dal Re della Licia - Iobate - con un messaggio che descriveva le (false) nefandezze di quest'ultimo, pregandone l'uccisione. Anche Iobate non ebbe il coraggio di compiere in prima persona tale gesto, cosicché ordinò all'eroe di uccidere la Chimera, un mostro apparentemente invincibile con la parte anteriore di un drago e con la testa di capra fiammeggiante (il classico "spauracchio" locale). Così Bellerofonte prima di affrontare il mostro riuscì a catturare Pegaso, a cavallo del quale conficcò nella bocca della Chimera una grossa palla di piombo che, fusasi per il calore dell'alito, scese nel corpo devastandone le viscere. Iobate, scontento del suo vittorioso ritorno, ordinò all'eroe di sgominare i feroci Solimi e le Amazzoni loro alleate: un gioco da ragazzi per il nostro cavaliere, il quale, dall'alto della sua "galoppata aerea" seminò robusti sassi che fracassarono le teste nemiche. Ormai rassegnato, il Re allora decise di farlo uccidere direttamente dai suoi uomini più valorosi, i quali ovviamente vennero massacrati. A questo punto Iobate, avendo il sospetto che l'eroe fosse protetto dagli dei, cominciò a credere nella sua innocenza ed infatti ne ebbe conferma dal racconto diretto di Bellerofonte. Mortificato per l'accaduto, il Re gli concesse in sposa sua figlia e lo nominò erede al trono della Licia. Il cavaliere in festa cominciò a darsi troppe arie e venne punito da Zeus durante il suo tentativo di raggiungere l'Olimpo in groppa a Pegaso. Un "divino" tafano infatti lo punse facendolo cadere rovinosamente in un roveto da un'altezza considerevole: da allora l'eroe rimase zoppo, cieco, solo e maledetto per per il resto della sua vita. Pegaso invece riuscì ugualmente a raggiungere l'Olimpo dove venne albergato nelle divine stalle e adoperato da Zeus come vettore delle sue saette. Infine, per celebrarlo eternamente, Zeus lo collocò nel firmamento.