Decadente esteta di letteratura,
con l'amico fidato, due tende
e una piccola auto, alla ventura
decisi d'andare, dove poco si spende,
a est, al confine, inviso alla paura;
lungo le strade si vendeva di tutto,
artigianato, ortaggi, di cascinali
uova, uva, persino bisce, e strutto,
fra etnìe i rapporti parevan cordiali,
uno il collante, il carisma di Tito.
..................................................................
Ed ecco comparìre una plaga affollata
di bancarelle e ogni tipo di derrata
bosnìaci, serbi, croàti, sloveni,
come la congerie al mercato di Senj;
ameni boschetti accanto a radure,
appagavano voglie di fresco, d'arsure,
la brezza sposava promiscui destini,
sgranàva un rosario d'idiòmi,
del pesce l'odor si mischiava agli aròmi
di droghe, spezie, tabacchi levantini.
Provocante su uno sgabello assisa,
un souvenir mi diede dapprima,
una pipa schipetàra incisa,
muta la voce, un gesto di stima,
le bellissime gambe accavallate
a scoprire linde mutandine
su intimità quasi indovinate:
recitài la mia parte, senza un fine.
Indi, trascinanti danze tzigane,
solcando raggi di luna,
dall'interno giunsero al mare,
e insieme s'approssimò in calore
ad abbeverarsi una cerbiatta bruna;
una preda che silente si offriva,
sola su quella costa frastagliata,
mentre di là l'Italia appariva
e disparìva fra le luci addormentata:
stormì la notte all'audaci mie carezze.
..................................................................
Crucciàta, nella scena che variava,
dai gemiti ai saluti, Lavidzè,
passasti, eri bella, ed eri Jugoslava;
regnò il caos, e fu scontro di razze,
ovunque rovine, vampe d'incendi,
cecchìni, mine, crudeli genocìdi,
donne stuprate diventate pazze:
turbàto svenni e altro pù non vidi;
mi risvegliò la vacuità del cielo,
dentro una culla vagìvo indefèsso,
apparvero madri, d'aborti uno stuolo,
lordo, dal sangue ognun fu deterso;
qual sabbia che in clessìdra scende,
o rarefatta nebbia che il sole disperde,
adùlto divenni, quasi in un baleno,
e a lei accostato succhiavo il suo seno:
l'inerzia era forte, il sudor senza freno.
...................................................................
Poi il sogno svanì, e l'incùbo pure,
con la verità, l'odio e l'amore;
ma la mente conserva una tela dipinta:
nella madre natùra che sempre ricrea,
che muore dando la vita,
una dalmata orchidèa
perennemente fiorìta.
|