José María Valverde


Per dire quel che in me tu sei...

Per dire quel che in me tu sei, mi è forza confrontarti - congiungendo le cose rilevasi di esse la verità profonda - col dolore accettato, con quel modo più alto d'intendere l'uguale del dolore: l'allegria. Il dolore è il frutto naturale degli anni, la forma con cui il tempo attraverso di noi passa e a volte, nella sua orma continua, nella sua pioggerella, come un'ala, picchia un'improvvisa disgrazia. Ma dolce è il dolore, perché la sua lingua benigna svela la nostra pura sostanza umile, dove siamo uno stesso amore abbandonato ed orfano, tiepida e buona argilla, una rassegnazione. ... Anche tu sei il frutto del tempo, e l'intima sua luce, come se l'esser vivi si facesse parola in te. Quando tu mi appari, come innanzi a un patimento, comprendo la mia verità, m'accuso e mi perdono. E così mi fai palpare e rispettare le mie frontiere, come il più chiaro dolore, o parlare d'un defunto. Con il tempo nel tuo volto, già posseggo e considero il mio passato e il mio futuro, e tutto il loro dolore. Hai il sapore medesimo del dolore quando è buono; dell'accettazione muta con cui le pene divengono carne della nostra carne, sostanza ed alimento; di quella luce più fonda che dà la tristezza. E sei anche la gioia, l'unica allegria, quel cielo distante che sta al fondo di tutto, quel paese di luce che a volte si sospetta dietro le cose, quasi sia un destarsi. L'allegria, che non è nemica della tristezza, ma il guardare più lungi, socchiudendo le palpebre, e indovinare il simbolo dell'essere; è lo stupore che brucia le parole, e le cambia in silenzio.


 
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