CENNI STORICI
La storia della Val Chiusella è legata a quella del Canavese, un territorio dall'orografia complessa, che passa dalla pianura a circa 200 metri s.l.m., fino ai 4026 metri del Roc nel gruppo del Gran Paradiso. Esso copre una superficie di 2.500 chilometri quadrati con 118 Comuni e circa 240.000 abitanti, con capoluogo la ridente cittadina di Ivrea, posta in un luogo storicamente strategico per la presenza della Dora Baltea che qui si è scavata uno stretto passaggio nella diorite. 
Le prime notizie storiche risalgono al V secolo a.C. quando attraverso il Canavese passarono  i Galli Celti.  Una delle  loro tribù,  i Salassi,  si stabilì nella pianura canavesana, dove coltivano cereali usando la tecnica del sovescio ancora oggi in uso, e nelle montagne vicine, dove sfruttava, secondo la tradizione, le miniere di ferro a Traversella e a San Martino, e d'oro, argento e rame a Tavagnasco. Per lavare le sabbie e il  minerale  d'oro  i  Salassi  deviavano  i  corsi  d'acqua,  provocando malcontento e sommosse nelle popolazioni della pianura. Di ciò approfittò Roma, che invase la regione trovando enorme resistenza. Dopo grandi perdite di uomini le legioni romane ebbero la meglio, e Terenzio Varrone conquistò definitivamente la valle della Dora nel 25 a.C.; tutti i giovani Salassi (30.000) furono venduti come schiavi sul mercato di Eporedia. La dominazione romana garantì lo sviluppo di Eporedia e del suo fiorente mercato favorito dalla posizione della città situata sulla via delle Gallie e punto nodale dei traffici transalpini. Fece seguito un lungo periodo di tranquillità e relativo benessere fino alla caduta dell'impero romano d'Occidente, allorché queste terre divennero facile preda delle popolazioni d'Oltralpe. Non ci sono notizie certe di stanziamenti di barbari in Val Chiusella e neppure di Longobardi, che dominarono il Canavese per quasi tre secoli. Successivamente la Val Chiusella e il Canavese passarono sotto il dominio dei Franchi (745). Nel IX e X secolo la Val Chiusella fu sotto la giurisdizione prima della chiesa di Vercelli, poi di un monastero di Pavia. Numerose furono le guerre degli Ottoni contro il Regno d' Italia e il suo re Arduino d’Ivrea e alterne le loro vicende. Nel 1003 Arduino dona a Tedeverto diacono d'Ivrea, alcuni paesi e la valle di Chy (bassa Val Chiusella). Alla morte di re Arduino, avvenuta nel 1015, Ottone III riconsegnò il Canavese al vescovo di Vercelli fatto che provocò una lunga serie d i sanguinose lotte fra quest' ultimo e i successori di Arduino che si erano spartiti il feudo. La Val Chiusella era sotto il dominio dei conti di San Martino, uno dei quali, il conte Guglielmo, si installò a Brosso, dove sorgeva un castello. I San Martino di Brosso si distinsero per essere battaglieri e spietati tiranni nei confronti dei vassalli e del popolo. II XIV secolo fu per la valle un triste periodo di guerre, epidemie e carestie, altro non fecero che rendere ancora piu misere le condizioni di vita del popolo. Da queste inumane condizioni nacque il "Tuchinaggio" (probabilmente da Tuc-un, tutti insieme), tremenda rivolta popolare che culminò nella valle di Brosso, nel 1389, con la distruzione del castello da parte dei “Tuchini”. La rivolta non fu solo contadina, ma con ogni probabilità ebbe radici profonde nelle organizzazioni di mestiere che erano ben presenti nella valle di Brosso per via delle miniere di ferro. Questa ipotesi è suggerita dal fatto che la sollevazione ebbe carattere di guerra di lunga durata con il riconoscimento dei capi dei rivoltosi da parte dei nobili e del podestà di Chieri, maggior centro commerciale piemontese dell'epoca. Nel 1391 si giunse ad un accordo fra i rappresentanti della popolazione e i conti di San Martino, e nel 1448 si stipulò una convenzione fra Brosso e il conte Amedeo VIII di Savoia in merito allo sfruttamento delle miniere. Successivamente la valle fu dominio di alcuni signorotti; ne segui malcontento e battaglie fra i Comuni per questioni di confini e pedaggi. Finalmente nel 1577 i Savoia liberarono la valle dai diritti di pedaggio,cosicché il ferro fucinato nell'alta valle potè avere libero sbocco alla pianura attraverso la valle di Chy. Nonostante la violenta epidemia di peste del 1630, i comuni di Vico e Brosso continuarono a contrastarsi per più di cento anni e a queste lotte si aggiunsero le orribili devastazioni delle milizie mercenarie. Dopo la morte di Amedeo I, la Val Chiusella fu occupata dalle truppe francesi che imposero gravi contribuzioni. Nel XVIII secolo ci fu un periodo di pace, a parte le liti fra i Comuni, che favorì la coltivazione delle miniere e L'espansione delle industrie siderurgiche. Inoltre, la basca Val Chiusella, ossia la valle di Chy, fu ancora interessata al movimento antifrancese noto come la "Rivolta degli Zoccoli" (primi anni del 1800). La Val Chiusella partecipò ai moti del 1821 nei quali si distinsero: L'avvocato Giuseppe Chialiva di Traversella, il notaio Pietro Vola di Brosso, i notai Pietro Fontana-Rava e Gian Giacomo Gillio e L'avvocato Pietro Giuliano Gillio, cospiratori di Vico, condannati a pene severe che riuscirono ad evitare riparando in Svizzera e in Francia. I carbonari si radunavano nella casa dell'avvocato Gian Giacomo Bertarione; dopo il fallimento  dei  moti questi fuggì  a  Parigi,  dove  morì su  una barricata a Montmartre nel 1830. In tempi più recenti la Val Chiusella perse, nelle due guerre mondiali, molti dei suoi uomini, come testimoniano i monumenti ai caduti presenti in ogni Comune. Durante la Resistenza, la valle fu teatro di combattimenti e di fatti luttuosi come la fucilazione di tredici partigiani, avvenuta il 1 5 ottobre 1944 sulla piazza di Traversella per mano dei nazifascisti. A ricordo di quei tragici tempi gli abitanti di Traversella conservano con orgoglio la scritta che il comando tedesco fece scrivere sul muro della prima casa, ben visibile dal ponte sul Bersella: “Acthung Bandengefahr!”, (attenzione pericolo di banditi).
 

La Val Chiusella nella preistoria
(a cura di Ivo Ferrero, del Gruppo Archeologico Canavesano) 
La preistoria delle vallate alpine nord-occidentali è di recente scoperta. II  paziente   lavoro  di  appassionati  e  ricercatori  ha  messo  in  luce numerosi stanziamenti, particolarmente in Valle dell'Orco e in Valle d'Aosta. II panorama che ne scaturisce è quello di un popolamento ininterrotto dalla fine dell'ultima glaciazione (più o meno 8.000 anni fa) alla conquista romana. In questo panorama di ritrovamenti numerosi (e di giorno in giorno crescenti) nelle due vallate, tra le quali si incunea la Val Chiusella, quest'ultima, pur ricca di indizi, manca ancora della scoperta di un insediamento preistorico completo che una volta scavato ed esaminato ci possa illuminare sulla cultura e sull’identità etnica dei suoi antichi abitatori, Liguri o Celti o Salassi che fossero, briganti, come ce li dipinsero gli agiografi dell’Impero Romano (“e molte altre piccole tribù di briganti senza risorse, che abitano questa zona delle Alpi...”, Strabone, Geografia), o eroici difensori della loro indipendenza, come la tradizione popolare ce li ha tramandati.
 

Il villaggio palafitticolo di Alice
Nella torbiera di Alice Superiore, a fine 1800 vennero notati alcuni tronchi appuntiti. Si trattava probabilmente dei resti di un villaggio su palafitte, appartenente alla cu Itu ra fiorita in Eu ropa intorno al 1 500 a.C., nell'età detta del Bronzo. Importanti ritrovamenti di questo tipo vennero fatti, sempre alla fine del secolo scorso, nella torbiera di San Giovanni dei Bocch i e in tempi molto recenti (le ricerche sono tuttora in corso) nei laghi di Viverone e Bertignano, per citare esempi situati in Canavese. Pochi anni fa, I'impresa che lavorava la torba ad Alice rinvenne una punta di lancia in bronzo perfettamente conservata, attualmente presso la Sovrintendenza di Torino. I pali visti dal Gastaldi sono invece andati perduti.
 

II menhir di Lugnacco
Appoggiato lungo il muro del cimitero di Lugnacco, posto in prossimità della bella chiesa romanica dal caratteristico campanile centrale, giace un blocco di pietra di forma allungata con una serie di profonde incisioni sul fianco visibile dalla strada. Si tratta probabilmente di un menhir (dal bretone men hir, pietra lunga), un monumento preistorico costituito da pietre di forma naturalmente allungata infisse nel terreno. II blocco in questione misura circa 4 metri di lunghezza con una circonferenza che varia da 1 ,2 a 1 ,1 metri ed il suo peso viene stimato in 1 .000 chilogrammi circa. I stato notato e studiato dal Gruppo Archeologico Canavesano. Una pietra di caratteristiche molto simili è stata recentemente scoperta a Mazzè, nell'alveo della Dora.
 

Arte rupestre
Nel panorama vario e complesso di incisioni diffuse lungo tutto l’arco alpino, la Val Chiusella occupa una posizione importante. Anche se lontana dai tradizionali santuari dell’arte rupestre ( il monte Bego nelle Alpi Marittime e la zona tra il Garsa e la Val Camonica) la frequenza e la varietà dei petroglifi in essa presenti è veramente notevole. Alcuni complessi di incisioni si trovano in posizioni dominanti e suggestive, come quelli del "Sentiero delle Anime" e la "Pera dij Cros", e questo fa pensare ad un significato religioso, talvolta perpetuatosi fino ad oggi, come ci dimostra la cappella a fianco dell'antropomorfo di Cappia. Mo Ito schematica mente, i petroglifi della Val Chiusella possono essere divisi in tre grandi gruppi:
a) coppelle: sono incisioni emisferiche più o meno profonde, talvolta collegate da canaletti, diffuse in tutta Europa fino alla Scandinavia, di significato ed epoca ascai incerti. Se ne conoscono di sicuramente preistoriche, come quelle sulle lastre di copertura delle tombe megali- tiche del 2.500 a.C. di Saint Martin de Corleans, vicino ad Aosta; ma quelle sulla soglia di molte baite valchiusellesi sono certo assai piU recenti. Simbolo solare o della fecondità, il loro significato pagano di buon augurio si è spinto fin sui gradini di molte chiese, come a Chiara e Tallorno. I massi coppellati in Val Chiusella si contano ormai a centinaia, e ne vengono segnalati dei nuovi. 
b) cruciformi: i cruciformi pongono altri problemi di datazione e interpretazione. II "Sentiero delle Anime" ne raccoglie un numero cospicuo, che al momento non ha eguali in tutte le Alpi. L'interpretazione oggi più diffusa è che risalgano al lungo e probabilmente difficile processo di cristianizzazione delle vallate alpine. Sarebbero cioè una forma di esorcismo contro il culto pagano della pietra, e difatti alcuni cruciformi si sovrappongono a precedenti incisioni a forma umana stilizzata. II "Sentiero delle Anime" (il cui nome deriva dalla leggenda secondo la quale per questo itinerario passavano le anime dei morti) ha tutte le caratteristiche di una via sacra. Va percorso preferibilmente da Cappia a Traversella nelle ore del tramonto, con il sole alle spalle, per poter meglio distinguere le incisioni e apprezzarne la naturale scenografia. 
c) antropomorfi: gli antropomorfi attualmente noti si trovano ai Piani di Cappia, alla fine del "Sentiero delle Anime", e alla "Pera dij cros", nel vallone del Dondogna. Quello di Cappia si può ricondurre in parte al tipo detto dell'orante (con le braccia alzate in segno di preghiera o di invocazione), diffuso nelle Alpi durante il Neolitico (4000 a.C.); quelli della "Pera dij cros" appartengono al tipo "schematico", che alcuni studiosi situano nell'età del Bronzo (1500 a.C.). La "Pera dij cros" è il masso inciso più importante di tutte la Alpi nord-occidentali, Alcuni studiosi propongono suggestive interpretazioni dei petroglifi, legando alcuni di essi in vere e proprie scene complesse.
 

Muri Salassi
Lungo il sentiero (n.15) che porta al Colle dei Corni, poco prima della sua biforcazione e immediatamente sotto I'Alpe dei Corni Inferiore, si notano imponenti resti di muri. Uno di essi presenta verso il sentiero uno spigolo ben squadrato costruito con pietre di dimensioni ragguardevoli. La tecnica costruttiva e la posizione rendono poco plausibile l'ipotesi che si tratti di resti di baite; anche un terrazzamento a scopo di sostegno del versante (o di guadagno di qualche metro di terreno utilizzabile) sembra poco probabile. Bovis e Petitti (autori del documentatissimo libro, ormai introvabile, ValChiusella archeologica) avanzano a questo punto l'ipotesi che si tratti di muri di fortificazione posti a guardia del transito verso la valle di Champorcher, ove la tradizione colloca il luogo dell'ultima disperata difesa dei Salassi contro i Romani. 
 

Miniere salasse a Balma Bianca
II nome indica un imponente masso strapiombante molto chiaro, ben visibile da Traversella; si raggiunge partendo dal punto ove il sentiero del Chiaromonte (n.7) si stacca dalla carrareccia proveniente da Traversella, in località Cascine Costa. Invece di seguire il sentiero, si sale direttamente lungo il pendio che porta al canalone a destra della Balma Bianca. Nel canalone un sentiero ripido e malagevole porta, immediatamente al di sopra della Balma Bianca, ad alcuni antichi ingressi di miniere che la tradizione fa risalire ai Salassi. Di qui, proseguendo per poche decine di metri fino ad un vasto prato pianeg- giante percorso da un basso muro a secco, si riprende sulla destra il sentiero del Chiaromonte. Anche se è stato dimostrato che le caratteristiche del minerale di Traversella ne rendevano impossibile lo sfruttamento prima del Medioevo (Berattino,  Le miniere dei Baduj di Traversella), è interessante notare che il toponimo "Balma", di antichissima origine ligure e significante "riparo" è legato sovente a stanzia- menti preistorici; così come è giusto ricordare che secondo le fonti classiche l'attività mineraria costituiva la principale occupazione dei Salassi, e la cosa ha trovato conferma da ritrovamenti archeologici in Valle d'Aosta.
 

Ponte romano di Vistrorio
I sito nel comune di Vistrorio, a valle del ponte per Vidracco, sulla sinistra orografica del Chiusella. Poco prima del ponte (a sinistra provenendo da Vistrorio) si segue una strada sterrata per un centinaio di metri. Ci si imbatte, ancora sulla sinistra, in un ponte in pietra che varca un prato senza alcuna visibile traccia di alveo fluviale. II ponte appare assai antico, interamente costruito in pietre a secco poco o punto lavorate. La lavorazione molto rozza rende poco probabile l'attribuzione romana; più attendibile un'età medioevale.

<<<INDIETRO