LA STORIA DELLA CHITARRA CLASSICA

            

Già nei primi decenni dell'ottocento la chitarra si presentava in una forma vicinissima a quella della moderna chitarra classica ( "la moderna chitarra classica ": non fa ridere?). Ulteriori modifiche saranno poi apportate da Torres (Antonio de Torres Jurado, 1817-1892, Torres per gli amici) che porteranno la chitarra alla sua forma attuale. Dove stanno le principali differenze?

Come potete vedere anche dalle immagini qui sotto, le chitarre del primo ottocento conservano ancora alcuni tratti tipici degli strumenti più antichi:

 

 

 

Ecco qua tre strumenti costruiti dai signori Vinaccia, Guadagnini e Staufer rispettivamente nel 1764 nel 1823 e nel 1829.
Una cosa che non si può vedere dalle immagini qui sopra sono le dimensioni ancora un po' ridotte rispetto agli strumenti moderni: lo strumento è ancora un po' più corto e stretto e anche un po' più piatto, il diapason (questa parola indica per i liutai la lunghezza del tratto vibrante delle corde) è ancora leggermente più ridotto (640-650 millimetri, contro i 650-660 delle chitarre moderne). Altra differenza immediatamente evidente è la sostituzione dei bischeri (sto parlando dei piroli di legno che servono per tendere le corde, come nel violino, non dei chitarristi meno intelligenti) con le cosiddette "meccaniche", cioè con un sistema di tensione formato da un ingranaggio mosso da una vite senza fine. In realtà non so se le meccaniche costituiscano un vero progresso: sono solo un po' più comode da usare ma se non sono di qualità più che ottima sono solo una ulteriore fonte di problemi e complicano inutilmente la costruzione, mentre i bischeri sono semplicissimi ed efficaci, anche se richiedono un po' più di perizia. Credo che in questa preferenza c'entri qualcosa la propensione del secolo XIX per le macchine: si è creduto infatti a lungo che costruire una macchinetta in grado di fare qualcosa per noi piuttosto che sviluppare qualche abilità in più fosse un progresso.
Si nota il fatto che la tastiera, mentre nella chitarra di Staufer è, come negli strumenti moderni, sovrapposta sia al manico che alla cassa, nelle altre due chitarre è più corta e posta alla stessa altezza della tavola armonica, sulla quale sono anche incollate direttamente le ultime sbarrette. Questo in conseguenza, credo, del fatto che le note più acute, verso ed oltre il dodicesimo tasto, ormai non sono più un fatto eccezionale, e quindi una tastiera più lunga è necessaria. Anche il fatto che così essa sia sopraelevata rispetto alla tavola armonica rende meglio accessibili le posizioni oltre il dodicesimo tasto. Un'altra differenza rispetto alle chitarre più tarde è la forma del ponticello, che passa da tipi più arcaici, simili a quelli del liuto, a quello moderno nel quale la presenza dell'ossicino consente una più precisa regolazione dell'altezza delle corde sulla tastiera.

Sarà invece verso la fine del secolo che Torres, oltre a recepire le innovazioni dei suoi predecessori, introdusse alcune modifiche importanti, miranti soprattutto a rendere lo strumento più sonoro e proiettivo. Si possono riassumere così:

  • Aumento delle dimensioni della cassa armonica e quindi anche della tavola armonica.
  • Sviluppo dell'incatenatura, cioè della struttura di quei sottili listelli detti catene posti sotto la tavola armonica, aventi la funzione di modificare in modo selettivo la rigidità della tavola armonica al fine di controllarne meglio la risonanza.

Torres infatti fu il primo ad intuire la possibilità di controllare la vibrazione della tavola armonica mediante l'uso esteso delle catene (ne usò cinque o sette, disposte a ventaglio, mentre le chitarre più antiche usavano solo una o due catene longitudinali, derivate da quelle degli strumenti ad arco).
Credo si possa dire che tutti i costruttori posteriori non abbiano fatto altro che lavorare sulle idee di Torres, sviluppandone le conseguenze più logiche (uso asimmetrico delle catene sui due lati dello strumento, per migliorare la resa di suoni gravi e acuti, ricerca di nuovi schemi di incatenatura, ecc ecc.)

Che si suonava con questi strumenti? Le più antiche chitarre a sei corde risalgono agli ultimi decenni del XVIII secolo, ma è solo nei primi anni dell'ottocento che lo strumento riscuote grandi consensi: diventa uno strumento alla moda nelle grandi capitali europee (Parigi e Vienna, soprattutto) dove grandi virtuosi (Sor, Giuliani, Carulli, per citarne solo alcuni) si esibiscono con successo. Lo stile musicale che imperversa è caratterizzato da tratti assolutamente mozartiani, e le opere più riuscite di questo periodo sono davvero belle. Nel frattempo si sta preparando una nuova ondata di chitarristi che scriveranno cose veramente straordinarie: Regondi, Mertz, Diabelli (che non era chitarrista, ma ha scritto delle belle cosine), Matiegka e altri. E proprio sul più bello, la chitarra passa di moda. Nella seconda metà dell'ottocento l'interesse per la chitarra subisce un forte calo. I motivi non mi sono del tutto chiari: probabilmente lo strumento non riesce ad affermarsi con successo in veste di solista, forse a causa delle sue limitazioni nella dinamica, fattore che diventa critico con l'ingrandirsi degli spazi destinati ai concerti: non più il settecentesco salotto ma il grande teatro, o forse per lo scarso interesse dimostrato dai grandi compositori dell'epoca. Sta di fatto che, per esempio, un concertista del calibro di Giulio Regondi a un certo punto della sua carriera decise di lasciar perdere la chitarra e di dedicarsi alla concertina.
Tra ottocento e novecento due grandi chitarristi terranno vivo l'interesse per lo strumento: Francisco Tàrrega (1859-1909) e Miguel Llobet (1878-1938); ma bisognerà lasciar passare le due guerre per vedere tornare l'interesse del grande pubblico, con Andres Segovia, che con parecchia intelligenza, oltre alla sua grande arte, troverà le strade giuste per risollevare le sorti dello strumento.



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