STORIA DELLA FAMIGLIA RAMIREZ
(Liutai)
I protagonisti,le
tecniche e i segreti di una leggenda nata a Madrid più di cent’anni fa.
Ecco la storia del loro successo.
Bella, elegante ed in più
spagnola. Un sogno per l'appassionato e una certezza per il musicista che si
esibisce in pubblico. Grazie all'elevato standard costruttivo e all'impiego di
tecniche tradizionali è riuscita a conquistare una quota di mercato da far
invidia a molti marchi industriali. Stiamo parlando della chitarra Ramirez. Se
il cliché chitarra e Spagna ha fatto la fortuna dello strumento a sei corde,
dando vita a un binomio storico, paragonabile al mandolino napoletano o al corno
francese, lo è stato ancor di più per la dinastia dei guitarreros Ramírez, un
nome che da oltre un secolo è nell'empireo delle
firme più prestigiose.
Ramirez ha contribuito con
i propri strumenti ad accrescere il prestigio e l'universale approvazione della
chitarra classica e a sostenerne l'ingresso nelle sale da concerto. Suo grande
merito storico è quello di aver saputo costruire al momento giusto una chitarra
di
riferimento per almeno un paio di generazioni di interpreti. Alla sua scuola si sono inoltre formati decine di artigiani che, in seguito, hanno dato vita a produzioni autonome.
La chitarra Ramirez è
stata la più imitata e discussa del nostro secolo, termine di paragone, di
studio e confronto per
costruttori ed interpreti. Grandi concertisti come Andrés Segovia, Cristopher
Parkening, Oscar Ghiglia, Kazuhito Yamashita e Maurizio Colonna ne hanno
accresciuto il mito. L'organizzazione della bottega artigianale Ramirez si rifà
alla tradizione
delle antiche corporazioni
di arti e mestieri, con la sua marcata differenziazione nelle tre categorie di
'apprendisti', 'specialisti' e 'maestri'. La dipendenza delle prime categorie
dai maestri della guitarreria Ramirez è insieme di tipo economico,
sociale e anche morale, con caratteristiche di vero e proprio vassallaggio. Solo
a questi ultimi è lasciata per tradizione la missione di insegnare, controllare
e correggere, anche con fermezza, se è necessario.
Una sorta di direttore
lavori, il maestro, che trasmette l'esperienza e promuove la
conoscenza, supervisiona
il lavoro e crea nuovi modelli. D'altra parte ciascuna tradizione
costruttiva liutaria
sviluppa caratteristiche proprie per offrire risposte alle varie esigenze
musicali e tecnico-esecutive. Anche la splendida arte di Don Antonio Torres
Jurado (1817-1892), artefice, con altri, di quella che agli studiosi è nota
come la "terza rinascita" della chitarra, sarebbe rimasta un fatto locale e
dilettantesco, se una nuova e più forte tradizione, appunto quella dei Ramirez,
non si fosse affacciata alla ribalta,
abbracciando terre di
almeno tre continenti (Europa, America-latina,Russia e Giappone).
Il fenomeno Ramirez
e in generale quello della costruzione della chitarra, sebbene di tradizioni
meno nobili dell'arte liutaria del violino, possono comunque vantare illustri
predecessori, tra cui è possibile citare lo stesso Antonio Stradivari e meritano
l'attenzione degli appassionati del settore.
La storia della famiglia
madrilena Ramirez ci viene narrata direttamente da José Pepe III, negli
scritti raccolti nel volume En torno a la guitarra, pubblicato nel 1993 e
divenuto, a due anni dalla morte del grande liutaio, il suo testamento
spirituale. Si riconosce in José Pepe il più innovativo costruttore della
famiglia. Nessun altro componente è stato tanto caparbio nella ricerca ed attivo
nel mostrarne i risultati. Il capostipite della famiglia è José I
Ramírez,
figlio primogenito di tal José Ramírez de
Galarreta, benestante Proprietario terriero. è il 1870 quando il piccolo José decide di
compiere il suo tirocinio nel laboratorio di chitarre di Francisco Gonzalez
(1830-1880). Passano circa una dozzina di anni prima che José I riesca a fondare
a Madrid la sua prima bottega
indipendente, ad El rastro. La sede viene traslocata nel 1890 a
Concepción Jeronima 2, la stessa in cui i suoi discendenti si trovano
ancora oggi.
Dei suoi tre fratelli, solo il più giovane
preferisce la sicura carriera di allevatore di bestiame, mentre Manuel, nato nel
1864 in Alhame de Aragon, lo segue in un commercio ritenuto già allora in via
di estinzione e di scarse
prospettive economiche: la costruzione delle chitarre. «Se un costruttore di
chitarre non muore in un ospedale di assistenza sociale, è perché non ha i mezzi
per accedervi» ripete al figlio José II, nato nel 1885.
Davvero un personaggio irrequieto Manuel: cambia 3 officine a Madrid, applicandosi altrettanto bene alla chitarra classica, per la quale riceve gli elogi di Francisco Tárrega e, unico caso nella famiglia costruisce anche violini, divenendo Liutaio ufficiale del Reale
Conservatorio di Madrid. I riconoscimenti
arrivano puntuali, come la medaglia alla
mostra di Chicago del 1893. Poi, invece di
fondare un laboratorio all'estero con l'ausilio del fratello, preferisce tentare
la fortuna da solo, aprendo una bottega concorrente a Madrid, a Cava Baja
24.
Nasce così un tenace antagonismo tra i due fratelli che li accompagnerà fino
alla fine dei loro giorni, conoscendo momenti di grande
tensione.
L'INCONTRO CON SEGOVIA
Quando José I crea per l'arte
flamenca la chitarra detta tablao, con cassa armonica ingrandita ma fasce
strette per unire la massima
maneggevolezza ad un maggiore volume di suono, questa conosce solo pochi anni di gloria finchè
Manuel è capace di perfezionarne la tecnica sviluppandone un modello nuovo, poi
rimasto in auge tra i flamenchisti praticamente fino allo scorso decennio.
Nel 1912 Manuel incontra il
giovane e ancora sconosciuto Andrés Segovia e, fiutando il talento del ragazzo
andaluso,gli regala la sua migliore chitarra, costruita originariamente per il
celebre chitarrista cieco Gimenez Manjon. Non sorprende quindi che proprio
questo
suoi specialisti inducono lavedova a continuare a mantenere illaboratorio sottoil nome di Viudade Manuel Ramírez, a pattoche ogni costruttore stampasse le proprie iniziali all'angolo del cartiglio, l'etichetta posta all'interno dello strumento. Anche José I ha molti allievi: tra questi vanno ricordati Enrique Garcia, stabilitosi definitivamente a Barcellona dove lascia l'eredità a Francisco Simplicio, seguito poi dal figlio Miguel. Un altro allievo, Julian Gomes Ramírez, sebbene senza nessun legame di parentela con la famiglia, si
stabilisce a Parigi.
Antonio Emilio Pasqual Viudez, educato con José I, ultimo discendente di una
famiglia liuteria Levantina si stabilirà a Buenos Aires e Rafael Casana a
Cordoba.
José II è il più anziano
di quattro fratelli e l'unico ad essere coinvolto nella chitarra. Parallelamente
al lavoro in officina, inizia a
studiare lo strumento, facendosi apprezzare in gruppi folcloristici
tradizionali. è in questa veste che a 20 anni è invitato a partecipare in un
tour in America latina. Nonostante il padre sia contrario, si imbarca per un
viaggio di
pochi mesi che si
trasforma in una permanenza di
oltre 19 anni. Gira per tutta l'America meridionale, stabilendosi, infine, a
Buenos Aires dove si sposa e nel 1922 ha un figlio: José III.
La morte del padre nel 1923 lo riporta però in patria
dove il richiamo della tradizione familiare lo induce a riprendere il
laboratorio, all'epoca ben avviato da specialisti come
Manuel Rodriguez. Nel
1926, scoppia la Guerra civile spagnola, l'attività viene
sospesa. José III
(1922-1994) ha 18 anni quando inizia
a lavorare da apprendista
nella bottega del padre.
Dopo due anni è già autonomo. È
convinto però che la chitarra,trovandosi ad un punto morto del suo processo
evolutivo, giaccia nell'attesa di subire grandi cambiamenti. Così i suoi primi
strumenti hanno tutti un progetto originale, basato su tecniche innovatrici che
a volte spazientiscono il padre che lo invita alla moderazione. Intanto siamo
nel periodo del dopoguerra e le
ristrettezze economiche si riflettono nell'impossibilità di ottenere buoni
legni. è proprio la scarsità del buon Cedro dell'America Centrale (nome
scientifico Cederla Odoratta) usato tradizionalmente da oltre
300 anni per varie parti
della chitarra, a spingere il giovane José III a cercare nuovi materiali. Scopre
il cosiddetto cedro rosso (nome scientifico Thuja Plicata):
una gimnosperma
(sempreverde) che però non somiglia ai cedri, bensì all'abete tedesco. Con tale
legno si costruiscono normalmente pasta di legno per le cartiere e
l'imballaggio, nonchè le matite.
Adesso è usato
tradizionalmente per le casse di risonanza degli strumenti.
La sua chitarra De
Camera nasce dal problema del superamento delle cosiddette note lupo o "wolf
notes", caratteristiche di tutti gli strumenti a corde di legno. Queste note,
presenti soprattutto nello spettro acuto, hanno una
emissione più debole e
soffocata delle altre. Tanto migliore è lo strumento, tanto più sono evidenti.
La loro origine risiede nella tessitura irregolare del legno, che contiene nodi
e zone con scarsavibrazione. Tentativi usati per minimizzarne l'entità sono
vanificati dalla
"vendetta delle note
lupo", cioè dal fatto che dopo un certo periodo di tempo, per colpa dello stress
vibratorio del legno "corretto", riappaiono ancora più evidenti di prima. Un
raggio di speranza si apre a José nello studio del comportamento delle onde
sonore sferiche e del loro sviluppo. Utilizzando più l'immaginazione che i
calcoli, la sua intuizione lo porta a realizzare una camera interna al corpo
della chitarra, che cinge il contorno interiore della cassa e riesce a
minimizzare il problema.
Nel 1937 Andrés Segovia
utilizza ancora una chitarra tedesca di Hermann Hauser.
Per vederlo suonare con
uno dei suoi strumenti José II dovrà attendere il 1960 e trovare il segreto
delle nuove vernici. Solo a partire dal 1963 Segovia usa per lunghi periodi la
chitarra Ramírez, alternandola del resto a quella di un altro liutaio spagnolo
di Barcellona, Ignacio Fleta. Con José IV arriviamo ai nostri
giorni.
Nato a Madrid nel 1953, la sua formazione è simile a quella del padre: a 18 anni è apprendista nel laboratorio di famiglia assieme alla sorella Amalia. Diventa specialista nel
1976 e in soli tre anni è in grado di costruire una chitarra per Segovia che il Maestro impiega in molti dei suoi concerti con "completa soddisfazione". Ha 4 figli, due femmine e due gemelli, ultimi eredi della dinastia.
L'ossessione di arricchire
il suono della chitarra porta José III allo studio della viola d'amore,
uno strumento seicentesco obsoleto, una sorta di viola alto "da braccio" che si
suona sulla spalla con l'archetto, fornita di 7 corde melodiche di budello e 7
corde simpatiche, accordate di solito all'unisono con le principali, in ottone o
in acciaio, passanti sotto il cordiere e quindi attraverso il ponticello. Lo
strumento aveva raggiunto l'apogeo nel XVIII secolo, ad opera di compositori
quali il boemo Karl Stamitz, figlio di quel Jan Vaclav creatore dell'orchestra
moderna di Mozart e Beethoven. Ha una sonorità chiara, argentina, forte ed
armoniosa, esattamente quello che José III cercava per le suechitarre.
L'idea di applicare questo sistema implicò il
superamento di varie difficoltà che
Ne nacque una chitarra a
dodici corde. Segovia provò il primo prototipo, elogiandone il suono, ma al
tempo stesso scovandone l'intrinsco difetto: l'impossibilità di controllare la
durata dei suoni delle corde interne. Una soluzione a questo intricato problema,
data il noto distacco di Segovia da ciò che riguardava la tecnica costruttiva
del suo strumento, venne ricercata insieme a Narciso Yepes.
Ma prima che fosse
realizzata, Yepes chiese a José di porre invece le altre corde esternamente, con
la possibilità di smorzarle con la mano destra. Così ebbe origine la prima
chitarra a dieci corde Ramírez. In un incontro privato, Yepes la cominciò a
provare il nuovo prototipo con molto impaccio. Alla fine commentò solamente: "In
che meraviglioso
pasticcio mi sono
imbarcato!" Sembra che dopo soli cinque giorni fosse già in grado di impiegarla
in un concerto a Barcellona. La decacorde possiede un notevole incremento di
sonorità rispetto al modello tradizionale, ma per il nostalgico José Pepe è
ancora priva dell'inaccessibile magia della chitarra "simpatica".