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L'anno 1492 è un anno decisivo per le sorti nazionali della Spagna: con la presa del Regno di Granada anche l'ultima presenza islamica nella penisola viene scalzata e si pone termine alla reconquista; un decreto regio ordina l'espulsione dal territorio nazionale di tutti gli ebrei; il Nuovo Mondo scoperto da Colombo sotto la bandiera dei Re cattolici spagnoli offre infinite risorse economiche e apre un nuovo, sterminato fronte alla campagna di diffusione della fede cristiana. Proprio sulla comune natura religiosa di questi tre eventi si sofferma lo storico Giorgio Spini in alcune pagine della sua Storia dell'Italia moderna, mettendo in evidenza come i sovrani spagnoli debbano ricorrere al richiamo della fede per cementare l'unità tra regni culturalmente e istituzionalmente diversi come quelli di Catalogna, Aragona, Castiglia e León.
Non dissimilmente da quanto è avvenuto in Francia, il regime monarchico si è imposto in Spagna come incarnazione delle esigenze dei ceti produttori e in particolar modo delle cittadinanze, come ben dimostra la funzione di primo piano avuta dall'Hermandad [lega cittadina fedele alla Corona] cittadina nella creazione del regime stesso e nella sua vittoria sulle turbolenze nobiliari. Quantunque infinitamente più povera e men popolata della Francia, quantunque ben lontana dalla dinamica economia dei grandi centri d'affari italiani, tedeschi o fiamminghi, la Spagna del primo Cinquecento è infatti un paese in visibile rigoglio di forze produttive. Se i porti della Catalogna sono stati ridotti a una funzione subordinata dalla preponderanza genovese e fiorentina nel Mediterraneo occidentale, i porti atlantici sulla costa basca, asturiana e andalusa pullulano di un'ardita marineria, che sciama a settentrione verso le coste fiamminghe e inglesi o si avventura sulle orme di Colombo verso l'America. Se il cuore della penisola è formato dai deserti di sterpi e di petraie della Meseta, da questo stesso altopiano partono ogni anno gli sterminati greggi transumanti di ovini, che costituiscono l'orgoglio della Meseta, il grande consorzio cioè dell'allevamento ovino, e danno alimento alle non trascurabili industrie laniere della Castiglia. Se finanzieri e mercanti di Genova sono ormai avvezzi a trovare largo campo per le proprie manovre nelle risorse minerarie e nelle piazze di affari della Spagna, le fiere di Medina del Campo occupano un posto notevole nel mondo internazionale, con l'ingente volume delle loro transazioni finanziarie. Da Toledo al Regno di Valenza e all'Andalusia, l'impronta dell'ammirabile laboriosità degli antichi dominatori musulmani della penisola è ben visibile nelle huertas moresche [terre fertili delle regioni costiere meridionali] coltivate ad agrumi, cotone e canna da zucchero, negli ampi oliveti levantini, nelle botteghe artigiane da cui escono i cuoi di Cordova, le sete e le lame di Toledo, o le ricche platerias [argenterie] filigranate. E, dal canto loro, anche le fiere cittadinanze di Castiglia, di Asturia e di Guipuzcoa, indurite tra i rischi del mare e la guerriglia dell'Hermandad, oppure quelle dell'Aragona e della Catalogna, orgogliose dei propri fueros [statuti commerciali], sono ben coscienti di costituire la spina dorsale della nazione e capaci, all'occasione, di parlare un linguaggio coraggioso di fronte ai loro stessi sovrani. Ma in questo Stato spagnolo v'è fin dalle origini un problema capitale. L'unità spagnola non è retaggio di secoli, ma frutto di una contingenza dinastica, come il matrimonio di Ferdinando e di Isabella, da cui non sono state abolite per niente le diversità di fisionomia o di istituzioni dei vari Regni, che quella unità sono entrati a comporre. Castiglia, Aragona, Valenza, Navarra, pertanto, continuano come prima ad avere proprie Cortes, con le quali il monarca è costretto a trattare separatamente, ogni volta che ha bisogno di contributi finanziari. [...] Se tra Castiglia e Aragona si è creato un solido cemento unitario, ciò si è dovuto alla capacità dei Re Cattolici di perseguire una politica estera dagli obiettivi interessanti in eguale maniera le due metà dei loro domini: l'eliminazione del Regno di Granada; l'espansione verso il Nord-Africa; la difesa del Mediterraneo occidentale dall'imperialismo francese; la conquista dell'Italia meridionale; il consolidamento della linea dei Pirenei mediante l'annessione del Rossiglione e della Navarra. Per forza di cose, come per calcolata volontà di Ferdinando, l'unità spagnola si è creata attorno alla politica estera, cioè in funzione della guerra, allorché la Castiglia ha sentito il bisogno di assicurare alla propria fame il grano siciliano, controllato dalla Corona aragonese, e di guadagnare alla sua tradizionale politica anti-francese, la collaborazione dell'Aragona, mentre l'Aragona, dal canto suo, sentiva la necessità di fare difendere il suo Impero mediterraneo dalle fanterie dell'altopiano castigliano contro gli eserciti francesi e di assicurare le proprie coste, dalla pirateria musulmana, appoggiando la Castiglia contro i Mori. [...] Poiché la Castiglia è quella che in maggior copia fornisce soldati alla guerra, coi suoi bellicosi pecorai della Meseta, avvezzi a patire ogni disagio e a sopportare un clima di rara inclemenza, o coi suoi piccoli nobili e hidalgos [nobili cavalieri senza rendite] in cerca di pane senza lavoro, è proprio la Castiglia che si avvia a primeggiare tra tutti gli altri Regni iberici, come Stato-guida della confederazione spagnola. All'interno della Castiglia stessa, l'elemento militare sta crescendo d'importanza e di orgoglio, fino a mettere in seconda linea l'elemento economicamente più produttivo. Quel fatale disprezzo per il lavoro e il commercio, che Francesco Guicciardini già nota nel suo viaggio attraverso la Spagna ai primi del secolo XVI, è bene il riflesso delle circostanze in cui è maturata l'unificazione politica della penisola. D'altra parte, la guerra ha bisogno non solo di soldati, ma anche di denaro e la Spagna è naturalmente povera e irta per di più di fueros e di Cortes, che rendono lento e complicato alla Corona il trarre denaro dai propri sudditi. Il Cattolico perciò ha risolto il problema finanziario accentuando il carattere crociato della sua politica estera, facendosi concedere, con l'ottima giustificazione della guerra ai Moros, il diritto di esigere dai propri sudditi, clero compreso, la cruzada, cioè lo speciale contributo finanziario che i pontefici sogliono imporre in occasione di imprese contro i musulmani, e soprattutto di amministrare i maestrazgos, vale a dire gli immensi beni terrieri degli ordini monastico-cavallereschi, istituiti nel Medioevo per lottare contro gli arabi. Fino dalle sue origini, cioè, la causa dell'assolutismo monarchico in Spagna è stata costretta al binario obbligato della politica crociata. La guerra contro i Mori non impediva alla Spagna medievale di lasciar vivere un'ampia popolazione musulmana o israelitica nelle proprie città e nelle proprie campagne, con tale larghezza da rasentare l'indifferenza pura e semplice. [...] Ma la nuova Spagna cittadina è animata da un nazionalismo iracondo, che ben si incontra col bisogno della Corona di identificare la propria causa con la crociata contro gli Infedeli. Il clima di tollerante indifferenza di un tempo cede a un'atmosfera di guerra, il cui sbocco logico è la persecuzione dell'infedele o del cristiano di tepida e sospetta fede, come nemico al tempo stesso di Dio, del re e della nazione. Ai primi del secolo XVI la Spagna è già diventata il paese dell'Inquisizione e l'Inquisizione è già diventata la colonna e il simbolo della Spagna monarchica e crociata. L'Inquisizione ha per scopo la salvezza delle anime e in primo luogo delle anime degli stessi eretici: ogni mezzo quindi è lodevole, purché serva a indurre l'eretico a confessare il suo peccato e a pentirsene. Ciò significa che ogni credente che si accosti alla confessione non può essere assolto dai suoi peccati, se prima non ha svelato tutti i casi di eresia che siano giunti a sua conoscenza, quand'anche ciò lo obbligasse a denunziare il parente più stretto o l'amico più caro. Nessuno dunque, che nutra opinioni difformi dall'ortodossia cattolica, può essere sicuro che un giorno, magari sul letto di morte, uno dei suoi cari non sia indotto a tradirlo. Se il reo, nonostante le prove raccolte contro di lui, si ostina a non confessare il proprio delitto di opinione, si manifesta con ciò stesso impenitente e quindi meritevole di essere mandato al rogo. Se invece confessa, è condannato legittimamente come eretico a pene più o meno gravi, cui si accompagna solitamente la confisca dei beni. Poiché il suggello della penitenza e della confessione è impresso su tutto il processo inquisitoriale, il Sacro tribunale agisce nel più impenetrabile segreto. E poiché i Re Cattolici hanno ottenuto che il Tribunale dell'Inquisizione sia messo alle loro dirette dipendenze nei regni della Spagna, in Sicilia e in Sardegna, talché il Consiglio dell'Inquisizione costituisce uno dei dicasteri più importanti dello stato spagnolo, è facile immaginare quale strumento di pressione politica e di rapina esso rappresenti per la Corona e le sue finanze, specie nei confronti dei ricchi moriscos [arabi convertiti al Cristianesimo] o marranos [ebrei convertiti al Cristianesimo]. Il legame tra Corona e Inquisizione di Spagna si traduce poi in alleanza fra la Corona e quell'altra grande potenza iberica che è l'ordine di S. Domenico, cui è affidato appunto il carico dell'Inquisizione. La rete dei conventi domenicani, coi loro maestri di teologia dominatori delle università e coi loro pulpiti dominatori delle folle, è posta così al servizio dell'autorità del re, persecutore degli eretici e propagatore della fede. Ogni vittoria della monarchia è una vittoria dell'Inquisizione e quindi della Fede: ogni attentato alla Corona s'identifica, nella coscienza popolare, con l'attentato alla fede e con l'eresia. Tra persecuzione inquisitoriale e potere della Corona spagnola si stabiliscono legami talmente intimi, che l'una non può essere più messa in discussione senza trascinare l'altra con sé nella rovina. D'altra parte, è proprio questa intolleranza inquisitoriale che, assieme alla politica di guerre e crociate, ha consolidato l'unità nazionale. Se il clero, per ovvie ragioni, è favorevole all'intolleranza religiosa, anche il ceto medio trova nell'Inquisizione un eccellente strumento per liquidare la concorrenza molesta dei mercanti, degli artigiani, degli agricoltori di origine israelitica e musulmana. Nonostante i suoi progressi economici, la Spagna è ancora fondamentalmente un Paese povero, di piccole città provinciali, di piccoli commercianti di mezzi ristretti e di prospettive ancora più ristrette, di hidalgos in lotta quotidiana con la miseria, di licenciados [laureati] di università che sognano soltanto un posto nella burocrazia regia o nel clero, di plebi fameliche e stracciate: in altre parole, un Paese costituzionalmente malato di rancori e di complessi d'inferiorità e quindi predisposto a quelle espressioni tipiche di inferiorità che sono lo spirito razzista e la speranza di arricchire con poca fatica, portando via l'altrui. Ogni pitocco si sente men povero quando può trovare nella sua condizione di cristiano viejo una ragione per disprezzare il vicino più intraprendente, nelle cui vene scorre sangue infedele, e si considera vendicato delle proprie strettezze quando può vedere la spoliazione del bottegaio ebreo dal commercio bene avviato o del proprietario terriero moresco delle huertas lussureggianti. Non ci si contenta di sorvegliare i discendenti di mori e di ebrei attraverso i cento occhi dell'Inquisizione ma si impone la prova della limpieza de sangre [purezza di sangue], cioè della purità razziale, come canone discriminatorio nell'accesso a ogni carica, comprese le stesse dignità della Chiesa. Così la borghesia spagnola, che ha appoggiato ieri la nascita del regime monarchico, per averne la protezione contro i suoi nemici, comincia, senza accorgersene, a scavarsi la fossa con le proprie mani. A parte il fatto che la maggioranza degli ebrei cacciati alla fine del secolo XV dalla Spagna, si è riversata verso il Nord Africa e l'Impero Ottomano, cioè è andata a irrobustire dal punto di vista economico e tecnico quel mondo islamico di cui gli spagnoli son nemici giurati, la persecuzione degli ebrei ha portato a screditare altresì quelle attività e professioni cui si dedicavano tradizionalmente gli israeliti. Quella tendenza al disprezzo per il lavoro e il commercio, che già cominciava a insinuarsi nella mentalità spagnola, in conseguenza dello sviluppo del prestigio dei militari, si rafforza sempre più. Il cristiano viejo si convince che un uomo onorato non può essere tale se lavora con le sue mani, quanto invece nell'entrare in quelle carriere per cui è richiesta esplicitamente la limpieza de sangre, cioè il clero, l'esercito, la burocrazia: "iglesia, mar o casa real", come dirà tra breve un diffuso adagio.
Giorgio Spini, Storia dell'età moderna, vol. I, Einaudi, Torino 1965. |