tratto da " Bell'Italia"
LA
MANHATTAN DELL'ANNO MILLE
San Gimignano e le
sue tredici torri
sono la testimonianza di un passato affascinante
che ancora oggi continua a stupire
C'era una volta un re, c'era
una volta un castello, la storia di San Gimignano comincia come
una fiaba
ed è tutta da raccontare, anche se nel maniero non vive
- come sarebbe d'obbligo - la bella principessa innamorata ma
un sant'uomo di nome Adelardo
che è vescovo di Volterra e ha ben altri pensieri, trovandosi
da queste parti
in questo novecentoventisettesimo anno dalla morte di Nostro
Signore.
Se il re Ugo di Provenza gli
ha regalato il castello è perché vuole disporre
di una base avanzata lungo la vecchia
strada longobarda che dalla capitale del regno, Pavia, raggiungeva
Roma attraversando Piacenza, Fidenza,
il monte Bardone - mons Longobardorum, non ancora passo della
Cisa -, Lucca, Altopascio ed Acquapendente.
Forse è troppo chiamarla
strada, perché più che altro è una pista
dove si va a piedi o a cavallo e solo a tratti
coi carri, per quanto alte abbiano le ruote: ma è molto
più lunga e importante.
Verso il nord, infatti, prosegue
per Vercelli, Ivrea e Aosta. Di qui, superato il passo del Gran
San Bernardo,
scende su Losanna e continua per Besançon, raggiungendo
Calais, cioè ancora Dover, Londra e le vie consolari romane
che si spingono fino alla Scozia. Da Roma, la strada va per sud
e sud-est su quanto resta dell'Appia-Traiana,
arrivando a Brindisi e a Bari, cioè all'imbarco per tutti
i porti dell'oriente.
Non si sa quanto abbia fatto
Adelardo di Volterra per non deludere le speranze del re.
Certamente, intorno al castello
di San Gimignano comincia a crescere un borgo che nel 994, quando
Sigerio vescovo
di Canterbury vi sosta nel viaggio di ritorno da Roma in Inghilterra,
appare già munito e operoso anche se i tempi
non sono mai stati più tristi e difficili: sarà
bene ricordare che mancano appena sei anni alla fine del mondo
e la gente sgomenta si flagella o si ubriaca, aspettando il giorno
del giudizio.
Ma la grande paura passa e la
vita riprende, avidamente dura e gagliarda.
Con le Crociate, la strada che
ora comincia a chiamarsi Francigena diventa l'asse portante di
tutto il sistema
delle comunicazioni europee.
Altre strade vengono dal nord
e dall'ovest.
Una parte da Tolosa e raggiunge
Briançon attraversando Nîmes e Avignone.
Di qui passa il valico del Moncenisio
e arriva a Vercelli dove si innesta sulla Francigena
insieme con una seconda via che viene da Parigi, per Nevers e
Lione.
Una terza vi è già
confluita, a Losanna: questa scende da Haarlem, in Olanda, passa
per Colonia, Coblenza
e Worms - dove è raggiunta da una quarta proveniente da
Aalborg, all'estremo nord della Danimarca -
per raggiungere Strasburgo e di qui Basilea.
Una quinta, infine, arriva da
Lubecca per Eisenach, Augusta, Innsbruck, il Brennero, Bolzano,
Verona,
Bologna, Firenze: e anche questa finisce nella Francigena, all'altezza
di Siena.
Il borgo di San Gimignano viene
a trovarsi cosi al vertice di un triangolo che, come il delta
di un immenso fiume,
si allarga nel Centro e nel Nord dell'Europa: con il vantaggio
che il fiume, in andata e in ritorno,
porta tutte le migliori occasioni della economia medievale.
Naturalmente porta anche dei
rischi, e se non basta fatiche e sofferenze.
Ma l'uomo del Medioevo ha straordinarie
risorse nel fisico e nello spirito.
La fede sorregge i pellegrini
sotto il sole e sotto la pioggia, tra gli assalti dei briganti
e le insidie del Diavolo
che li aspetta sui ponti da lui stesso costruiti nella notte
per impossessarsi delle anime loro.
Ancora la fede, e forse più
il bisogno di una rivincita spinge i cadetti delle nobili famiglie,
esclusi dai diritti
dei primogeniti, a cercare la gloria e la fortuna nell'avventura
della Cavalleria.
Nel 1099 nasce l'Ordine dei Gioanniti,
la cui tradizione verrà continuata dai Cavalieri di Rodi
e dai Cavalieri di Malta.
Nel 1119 Ugo de Paynes fonda
l'Ordine religioso militare dei Templari.
Nel 1202 Alberto da Riga istituisce
quello dei Porta Spada, che si uniranno ai leggendari Cavalieri
Teutonici.
Tra tutti, l'Ordine dei Templari
è il più forte, il più dinamico e il più
disponibile nel conciliare gli interessi
del Cielo con quelli della Terra : non a caso, nel volgere di
appena un secolo, i sette cavalieri di Ugo de Paynes
diventano più di quindicimila, padroni di immense ricchezze,
di castelli e di terre in tutta Europa e in Oriente.
L'organizzazione militare e amministrativa
è perfetta.
I Templari custodiscono i tesori
dei re, dei feudatari, dei più grandi mercanti, riscuotono
con i loro inflessibili
elemosinieri crediti e imposte per conto di privati governi,
fanno prestiti su pegno, costituiscono pensioni e rendite
e inventano persino la prima credit-card della storia, perché
il pellegrino non sia depredato durante il viaggio:
ancora non è un caso se i Templari costruiscono addirittura
tre delle loro Magioni a San Gimignano,
che alla invidiabile posizione strategica unisce la straordinaria
intraprendenza dei suoi abitanti, i quali proprio
sulle prime joint-ventures con i Cavalieri del Tempio fonderanno
le loro favolose fortune.
Le risorse non mancano. Tra il
Mille e il 1200 l'economia è soprattutto agricola ma fiorente.
San Gimignano è libero
comune nel 1150, ha una abbondante produzione di cereali ed esporta
un vino
già famoso, la Vernaccia: per parte sua, il comune ne
acquista le botti migliori
- come ci rivela un registro delle spese pubbliche - per farne
omaggio non certo disinteressato a politici,
ecclesiastici e personalità comunque influenti di altri
Stati.
Con il XIII secolo nascono le
industrie e la stessa agricoltura ne assume la dimensione.
Si coltiva razionalmente lo zafferano,
così prezioso in tintoria da valere anche come moneta.
Si coltiva il gelso per le prime
seterie.
Si compra lana greggia a Lione
e a Londra per tingerla, tesserla ed esportarla.
Si lavora il cuoio, le concerie
hanno tanta attività che il comune deve emanare più
d'una legge contro l'inquinamento.
Così si lavora e si esporta
vetro, ceramica, ferro, rame, in ogni caso promuovendo le vendite
con una pubblicità sempre accorta e penetrante.
Un così grande volume
di traffici, necessariamente, deve contare su adeguate strutture
di trasporto.
Anche queste non mancano. La
via Francigena è stata più che raddoppiata, e assicura
una larghezza media
di almeno tre metri lungo tutto il percorso: aperto adesso anche
ai carri.
Il numero degli ospizi si è
moltiplicato - da Brindisi a Calais i soli Templari dispongono
di duecento Magioni - ma soprattutto è migliorata l'assistenza.
Gli ospizi sorgono a una giornata
di marcia l'uno dall'altro, offrendo sempre un riparo per la
notte.
Si dorme su sacconi di foglie - le donne tassativamente separate
dagli uomini - e quando si è in troppi
bisogna dividere il giaciglio in tre, anche in quattro persone:
se anche questo non basta si dorme all'aperto,
ma accanto e sopra il forno del pane, per profittare di un ultimo
tepore.
Ci sono però sempre coperte,
cuscini e per gli ospiti di riguardo persino i caput tergia,
gli asciugamani.
Il cuoco serve orzo e fagioli,
minestre di farro e verdura, cinghiale e altra selvaggina - costa
poco,
il bosco ne è pieno - anatre, polli, piccioni.
C'è un medico, o almeno
un chierico che sa qualcosa di medicina.
C'è il maniscalco, al
cambio dei cavalli e dei muli.
E c'è anche qualche principio
di segnaletica.
Per esempio al passaggio del
tremendo Arno nero, una zona di palude vicino ad Altopascio,
è la campana
dell'ospizio che guida i viandanti nelle nebbie; per questo la
chiamano La smarrita,
quando non c'era ne morivano a centinaia, in quella trappola
di fango.
Per quanto migliorato, tuttavia,
il trasporto via terra non potrebbe bastare a quelli di San Gimignano,
ormai abituati a muoversi soltanto in grande.
Ed ecco che scoprono il mare.
Accorti come sempre, non si improvvisano
armatori, ma si servono delle navi delle città marinare,
che impegnano con rigorosi contratti di nolo e di assicurazione,
riservandosi di aprire uffici
e magazzini nei porti: e questi li gestiranno direttamente.
Nascono così i fondaci
di San Gimignano a Pisa, a Talamone, a Marsiglia, ad Algeri e
a Ceuta, di fronte a Gibilterra.
Passate in Atlantico, le navi
al servizio dei mercanti di San Gimignano battono la rotta del
nord
fino a Londra e ai porti del Baltico, mentre altre navi collegano
il fondaco di Brindisi
con quelli dell'Egitto e della Terrasanta.
Sull'onda di tanti commerci,
il borgo cresce in prepotente bellezza.
Alla prima cinta di mura che
circondava il castello del vescovo se ne aggiunge - tra la fine
del XII
e gli inizi del XIII secolo - una seconda entro la quale si aprono
le piazze e sorgono i maestosi palazzi del centro.
Ma la popolazione aumenta ha
raggiunto i 10 mila abitanti, presto passerà i 12 mila
- e lo spazio non basta più,
anche se il comune cerca di farne la più stretta economia
con leggi severe quanto, non di rado, ingenue.
Il cittadino, ad esempio, può avere una sola casa: undici
braccia - cioè circa sette metri -
come massimo in larghezza sul lato della strada, ventuno braccia
in profondità.
Tuttavia nessuno gli impedisce
di costruirne una seconda, subito accanto,
se ufficialmente può intestarla a un figlio, a un fratello
o a un amico fidato.
Sempre per legge, le due costruzioni
dovranno essere divise da un vicolo (è detto il Chiasso
del Malvicino)
e per ulteriore prudenza non possono avere i piani e le finestre
allo stesso livello.
Però la larghezza del
vicolo non è precisata, e dunque si può ridurre
anche a pochi centimetri, mentre non si può
proibire che si passi da una abitazione all'altra: in caso di
guerra, è una delle prime misure di sicurezza.
E allora il cittadino si farà
anche il passaggio, compensando il dislivello dei pavimenti con
pochi gradini,
e avrà due case restando in regola con la legge.
In altezza, poi, la costruzione
ha solo un limite: non può superare le 86 braccia (circa
51 metri) della Rognosa,
la prima torre del comune e questo perché nessuno si monti
la testa.
Ma anche quì la maestà
della legge è messa in crisi dalla beffarda irriverenza
dei cittadini.
Se non si può costruire
una torre più alta di quella del comune, se ne costruiscono
due appena più basse,
come fecero le famiglie più potenti del borgo, gli Ardinghelli
e i Salvucci: i quali ultimi mandarono anche
a dire al podestà che la seconda delle loro torri aveva
la base uguale alla sommità della prima,
così che avrebbero potuto anche metterle l'una sopra l'altra.
Beffe e polemiche, tuttavia,
non intaccano il prestigio del comune dove si alternano uomini
di opposte fazioni,
ma sempre decisi a favorire il progresso della città.
E' il comune che tutela l'istruzione,
mantenendo gli studenti che meglio promettono alle università
di Pisa,
Firenze e persino di Parigi, dato che conoscendo le lingue si
guadagna di più, ed è ancora il comune
che fa venire da fuori - senza badare a spese - maestri d'arte
come Lemmo di Filippuccio e Lippo Menni,
allievo e cognato di Simone Martini, perché le attività
dello spirito vanno avanti a quelle lucrose''.
Nobile principio, ma ben difficile
da mettere in pratica nella San Gimignano del XIII e della prima
metà
del XIV secolo, ormai così ricca che il comune deve frenare,
con leggi suntuarie, almeno lo scialo più sfrontato.
Uomini anche di bassa condizione,
si legge nelle cronache del tempo, portano cinture con fibbie
d'oro
e d'argento massicci, le ragazze si avvolgono i capelli in finissime
reti d'oro trapunte di perle,
le donne ostentano mantelli di ermellino e persino diademi tempestati
di gemme, "spazzando le strade
con strascichi di seta e di broccato"lunghi anche più
di tre metri.
Una legge impone che lo strascico
non seta e di broccato superi il metro e 70 e che, per strada,
sia raccolto
sul braccio, ma le belle signore di San Gimignano non se ne curano
troppo: molte di loro, del resto,
sono proprio le mogli o le amanti dei notabili che governano
questa città del successo e del privilegio.
Ma anche della fazione e dell'odio.
Il giro sempre più grande
e veloce degli affari ha moltiplicato la necessità dei
prestiti e l'insaziabile avidità
degli usurai, a cui la legge consente un interesse massimo di
quattro soldi a libbra, seta e di broccato
cioè del 25 per cento l'anno: di fatto, però, si
presta denaro anche a sei soldi e non più sulla distanza
di un anno,
ma a quattro, a tre e talvolta, se il business è ricco
ed urgente, addirittura a un mese.
E' così che i beni dati
in garanzia passano di mano da un giorno all'altro, in una partita
troppo crudele
per non innescare la perversa reazione a catena della vendetta.
Basterà un pretesto.
Può essere l'aver patito
un affronto pubblico, come camminare per strada e vedersi gettare
da una finestra un coniglio morto tra i piedi: a San Gimignano
è un'offesa riconosciuta dalla legge
come provocazione grave, ma i conigli si sono sempre sprecati.
Oppure, con più nobile
apparenza, può essere il parteggiare per i Guelfi o per
i Ghibellini: tutto serve,
quando c'è da regolare un conto, e specie quelli aperti
da troppo tempo.
Il conto tra gli Ardinghelli
guelfi e i Salvucci ghibellini è ancora in sospeso, da
almeno cent'anni, nell'estate del 1352.
Il primo agosto, sotto l'accusa
ingiusta di aver attentato alla vita del priore Michele di Pietro,
il Capitano
del popolo Benedetto Strozzi arresta Rossellino e Primerano Ardinghelli.
Il 19 dello stesso mese, i due
fratelli lasciano la testa sotto la mannaia del boia e i Salvucci
scatenano la sommossa
contro la famiglia rivale: scorre il sangue, le proprietà
sono confiscate, gli Ardinghelli
sono cacciati dalla città nella notte del 20 settembre.
La vendetta è tremenda.
Le case e le fattorie dei Salvucci
sono date alle fiamme, uomini, donne e bambini sono scannati
in un massacro
di tanta ferocia che lo stesso Bernardo Ardinghelli, rimasto
a capo della casata,si rende conto di essersi messo,
con tutti i suoi, in una situazione ormai insostenibile. A San
Gimignano, perché finisca la faida, non resta
che chiedere il protettorato di Firenze: a Firenze non aspettano
altro, sono anni che soffiano nel fuoco
delle discordie, pur di arrivare a mettere le mani sulla libera
e ricca città.
L'ipotesi è discussa in
Consiglio, qualcuno si oppone con l'antica irruenza, altri sono
già rassegnati.
Si va alla votazione per scrutinio segreto, chi vota per Firenze
lascia cadere nell'urna
una fava nera, chi vota contro mette una fava bianca.
La conta è drammatica,
bianco e nero sono in pari fino alla fine.
Ma l'ultimo punto è nero:
nero come i giorni che verranno sotto il governo di Firenze,
quando gli uomini
di San Gimignano non cercheranno più l'avventura per terra
e per mare, e le loro donne non porteranno
mantelli d'ermellino sotto i diademi tempestati di gemme, quando
non ci sarà bisogno della legge
perché i poveri non abbiano scandalo nel vedere uno strascico
di seta lungo anche sei braccia.
un
mio commento
Sono anni che vado a San Gimignano,
mio figlio studia musica nella filarmonica e banda del paese.
Non mi sono mai stancato ne saziato minimamente di guardare i
particolari di questo nucleo unico nel suo genere.
La magia delle stradine, dei tanti vicoli silenziosi non si perde
neppure nelle strade più importanti
piene di gente e di negozietti che puntuali aprono ogni giorno
le porte ai tanti turisti increduli e stupiti di tutto il mondo.
Angoli bui ed umidi lasciano il posto a piazze e larghi pieni
di storia e di ricchissima arte niente è abbandonato,
niente deve morire in questo paese che crede alla sua origine,
alla sua storia sempre in primo piano.
La notte diventa unica in questi borghi discreti ed austeri,
le campane che segnano il passare del tempo sono le stesse di
tantissimi anni fa.
Rivedo i nostri avi che vivevano qui come io vivo questi momenti,
un cane che passeggia solitario non è randagio ma solo
libero di andare, come tutto il resto vive autonomo qui.
Le mura che cingono le case più antiche sono ripari dal
vento freddo d'inverno
e riparo anche per i tanti piccoli orti ricavati con maestria
maniacale da sembrar giardini.
E le Torri ...
che dire di questi monumenti unici : maestose signore di sempre
guardano austere dall'alto
e allungano ombre severe sui tetti più bassi, sulle piazzette
romantiche e su di me che osservo estasiato.
Nei vicoli il profumo di legna che brucia, di cibi in cottura
semplici ed unici, il profumo della storia,
dell'uomo che invecchia e rimane a guardare curioso il futuro
che arriva e la gente che passa.
Il pozzo che regna padrone nel centro di una piazza che sembra
un salotto, raffinato disegno di architetti mai morti.
Passeggio e sorrido in questo posto che resta isolato, ma resta
anche il cuore di un sistema perfetto
costruito dai nonni dei nostri nonni , dove i bambini crescono
sicuri, abituati alla bellezza alla serenità al freddo
pungente,
e dove gli anziani restan bambini anche loro almeno nel cuore
ed ospitali
con lo stesso entusiasmo organizzano feste, pranzi e balli tra
loro o per tutti quelli che li conoscono e li condividono,
mai stanchi di urlare arrabbiati durante una partita a carte
tra amici,
ne di ridere alle battute piccanti e pronte che riempiono ogni
loro serata insieme.
Non basta il progresso, il traffico di oggi a turbar la pace
che si respira in questo regno di bellezza,
ogni artista vorrebbe restare, ogni persona normale, ogni bambino,
ogni turista che vedo ha entusiasmo negli occhi,
ad ogni angolo nuovo un sussulto di gioia di stupore,
il posto perfetto per far mille foto, per dipingere un quadro,
per scriver poesie
o come capita spesso un posto speciale per suonare qualcosa :
c'era una dama in costume con un'arpa una sera che vibrava,
che donava dolcezza aumentando il fascino, la magia di un posto
incantevole ed incantato,
un paese che riesce a cambiare senza perdere nulla, il compagno
ideale di ogni tipo di sentimento e di passione.
Giò |