Monte Amiata
Il monte Amiata è una maestosa cupola di origine vulcanica
che si innalza
in posizione dominante nella Toscana meridionale. Il vulcano
spento è il
più grande e il più recente tra le varie e numerose
manifestazioni magmatiche
che, dall'isola di Capraia alla rupe di Radicofani, hanno interessato
la regione.
LA STRUTTURA
Attivo durante il Pleistocene superiore, tra 400000 e
200000 anni fa, presenta
un edificio costruito da più eventi separati nel tempo,
al cui interno si possono distinguere
quattro complessi. Il primo, costituente la porzione inferiore
e
affiorante soprattutto nella zona periferica basale, è
composto da ignimbriti
deposte da nubi ardenti. Il secondo è formato da quarzolatiti
distribuite in
una larga fascia che attraversa per intero la montagna dal versante
di ponente
a quello di levante e culminanti in varie cupole di ristagno:
le due maggiori
coincidono con i rilievi più alti, la Montagnola m 1571
e la vetta sommitale
m 1738; appartengono a questo complesso i grandi blocchi dalle
sfumature
rossastre che si incontrano salendo verso la cima. Il terzo è
il prodotto di
colate laviche riodacitiche, la maggiore delle quali si è
allargata a partire
dal corno di Bellaria, sul versante meridionale nelle immediate
prossimità
della vetta, fino a raggiungere e oltrepassare il margine delle
ignimbriti
sottostanti. Il quarto è limitato a due colate andesitiche:
la più piccola nei
pressi di Pian delle Macinaie, la seconda, più estesa,
allungata dal culmine
verso Abbadia San Salvatore.
L'ATTIVITA MAGMATICA
L'edificio vulcanico poggia su un basamento costituito da alcune
delle
componenti sedimentarie tipiche della struttura appenninica:
vi
predominano formazioni dal carattere argillitico, arenaceo e
marnoso,
da cui emergono i blocchi calcarei del monte Zoccolino, incombente
su
Campiglia d'Orcia, e del più lontano monte Rotondo, affacciato
ai margini dell'altopiano
tufaceo laziale. Sul lato orientale la struttura appenninica
cede
subito il posto, in superficie, alle ondulazioni collinari e
ai calanchi che
modellano i depositi argillosi lasciati dal mare pliocenico;
questi, attraversati
in verticale dal minore episodio vulcanico di Radicofani, sono
estesi fino alla
dorsale del monte Cetona e drenati dall'Orcia verso nord e dal
Paglia verso
sud. Il confine tra la massa magmatiea e il basamento corre,
nella metà
orientale, a quote più alte, comprese tra gli 800 e i
1000 m, mentre in quella
opposta è disposto a quote più basse, in media
tra i 700 e i 600 metri.
Le conseguenze dirette dell'attività magmatica sono varie:
mineralizzazioni,
risalite idrotermali; tra quelle indirette va ricordato che nei
laghetti periferici
creati dalla morfologia vulcanica l'accumulo di minuscoli scheletri
silicei
di Diatomee ha prodotto una sabbia dalla grana finissima detta
<terra di luna>
o farina fossile, utile in molte lavorazioni industriali.
GLI INSEDIAMENTI
L'effetto di maggior rilievo per l'uomo dipende dall'elevata
porosità delle
rocce magmatiche che, a contrasto con la diffusa impermeabilità
del
basamento, ha determinato una copiosa distribuzione di sorgenti
lungo
il margine esterno dell'edificio vulcanico (da qui l'etimo <ad
meata>, alle
sorgenti). Ciò ha influenzato la formazione dell' insediamento
storico:
i centri medievali sono sorti sulle spianate (Castel del Piano,
Abbadia
San Salvatore, Piancastagnaio) o sulle lingue marginali (Santa
Fiora e
Vivo d'Orcia); solo Arcidosso sta all'esterno, ma tuttavia nelle
immediate
prossimità. E' interessante osservare che gli insediamenti
della seconda
cerchia, che circonda a maggiore distanza la cupola vulcanica,
hanno
scartato le formazioni argillitiche e hanno scelto, come Arcidosso,
i solidi
blocchi arenacei di <pietraforte> (Seggiano, Montegiovi,
Montelaterone,
Monticello) o calcareo-marnosi affini all'<alberese> (Campiglia
d'Orcia,
Roccalbegna, Castell'Azzara). I centri medievali della zona sono
il frutto
di un popolamento crescente a partire dalla crisi del mondo antico,
quando
furono sempre più abbandonate le aree costiere, preda
delle incursioni
piratesche e della malaria, e il perimetro amiatino divenne luogo
privilegiato
di insediamenti che fino al IX secolo dovettero avere carattere
precario e sparso.
IL FEUDALESIMO
Con il X secolo iniziò un processo di accentramento e
fortificazione,
espressione architettonica e urbanistica di un continuo e complicato
confronto
tra poteri feudali in lotta tra loro in un'area attraverso la
quale si fronteggiavano
le influenze imperiali a nord e quelle papali a sud. Spicca il
questo contesto
il ruolo della Badia di S. Salvatore, attorno alla quale si stringe
il centro
omonimo, documentata dal secolo VIII e a lungo detentrice di
un potere
feudale dominante in una zona estesa per un certo tempo dalla
costa di
Talamone alle terre della Valdichiana. Tra le famiglie feudali
la maggiore
e più duratura fu quella degli Aldobrandeschi, conti di
Santa Fiora, i cui vari
rami signoreggiarono anche su Piancastagnaio, Arcidosso, Castel
del Piano,
Castiglione d'Orcia oltre che su una vasta zona della Maremma
grossetana,
mentre i Visconti dominavano dalla parte di Campiglia d'Orcia.
Anche se
nella Toscana meridionale l'impianto feudale resse più
a lungo che nelle
zone imperniate sulle città, non mancò nell'area
amiatina lo spirito
dell'autonomia comunale, conquistata nel XII secolo proprio ad
Abbadia
San Salvatore contro il potere del'abate. Nel XIII secolo Siena
estese
progressivamente la sua crescente influenza su tutta l'area,
e anche quando
a metà del '500 essa dovette sottomettersi a Firenze l'amministrazione
delle terre senesi rimase di fatto separata nella forma istituzionale
dello
<Stato Nuovo>, affiancato allo <Stato Vecchio> fiorentino.
LO SFRUTTAMENTO DELLA MONTAGNA
Nel
nuovo contesto,
l'Amiata, isola di maggiore popolamento in mezzo a terre più
difficili e
inospitali, svolse una funzione di sostegno demografico alle
regioni costiere
dove la malaria mieteva vittime, benché la cautela dei
lavori stagionali
riducesse la permanenza estiva nelle zone infette. Sulla montagna
le terre
erano divise in poche grandi proprietà e in un gran numero
di piccole e
piccolissime, spezzate sui versanti in tanti lotti separati da
seminativo,
pascolo e bosco, moltiplicati dalle divisioni ereditarie. La
massa dei piccoli
proprietari insieme ai braccianti senza terra traeva una parte
del proprio
sostentamento dall'uso delle terre comunitarie, su cui vigeva
il diritto di
legnatico, di pastura e, con alcune limitazioni, anche di semina.
L'abolizione, nella seconda metà del '700, di questi usi
civici assieme
alla vendita dei beni ecclesiastici precipitò nella miseria
i popoli amiatini, incrementando
la spoliazione del manto forestale. Questa proseguì anche
nel secolo successivo a causa sia del deciso ampliamento dei
seminativi
nudi sia della richiesta di pali di sostegno per le gallerie
delle miniere in cui
si estraeva il cinabro, o solfuro di mercurio, la cui mineralizzazione
è
connessa alle manifestazioni magmatiche.
LE MINIERE
Giacimenti cinabriferi erano stati individuati e sfruttati nell'antichità
da
Etruschi e Romani, né mancano tracce di un loro sfruttamento
tardo-medievale; dalla metà dell'ottocento nuove miniere
furono aperte
con criteri industriali: la maggiore fu, dal 1897, quella di
Abbadia San
Salvatore che, fino agli anni '60 del Novecento, è stata
la seconda
produttrice mondiale di mercurio. La chiusura delle miniere ha
confinato
la parentesi industriale nel passato di questo distretto, dal
tradizionale
carattere rurale, che cerca oggi nuove risorse in un turismo
colto, attirato
anche dai luoghi dove le risalite idrotermali sono state incanalate
nei Bagni
(Vignoni, San Filippo). L'energia geotermica sprigionata dall'edificio
vulcanico viene utilizzata per il riscaldamento di abitazioni
e serre.
IL PAESAGGIO. L'aspetto attuale della montagna è il frutto
di una
particolare combinazione di elementi naturali e di effetti dell'azione
umana.
Vi si possono distinguere tre fasce fondamentali. La più
bassa coincide
con il basamento prevulcanico; i botanici la attribuiscono al
dominio del
bosco quercino (roverella e cerro), ma essa è stata trasformata
da intense
millenarie pratiche agrarie e pastorali sicché presenta
soprattutto sul
versante settentrionale un mosaico di prati-pascoli, di coltivi,
vigne e oliveti
(celebri quelli di Seggiano). Negli ultimi decenni i rimboschimenti
artificiali
e l'avanzamento naturale del bosco hanno riguadagnato qua e là
spazi
abbandonati dalle attività umane. Tra la prima e la seconda
fascia i centri
storici sono stati accerchiati da espansioni edilizie incongrue
alle tradizioni
locali. La seconda fascia corrisponde alla porzione inferiore
dell'edificio
vulcanico ed è dominata dal castagno, anche se non vi
mancano, soprattutto
sul lato meridionale, estesi rimboschimenti di conifere, tra
cui l'antico
Pigelleto di Piancastagnaio e del monte Civitella. Mentre in
molte zone
appenniniche il castagno è stato introdotto, qui la sua
presenza ha origine
naturale: esso infatti predilige i suoli vulcanici. Ma a causa
della
fondamentale importanza nelle economie del passato il bosco di
castagno
è stato rimaneggiato da tagli, scelte selettive, piantate.
Ogni comunità aveva
le sue selve da frutto, con castagni ben distanziati, i suoli
ripuliti dal
sottobosco e tenuti a prato, e il suo bosco da taglio infoltito
dalla
straordinaria capacità di rigetto dei giovani polloni.
I BOSCHI
Soprattutto sul versante meridionale la selva ha lasciato il
posto alla diffusione
dei cedui. Le selve da frutto più tipiche sono ancora
diffuse sul versante nord-occidentale,
dove coincidono in sostanza con le terre della comunità
di Castel del Piano e dove discendono anche al di fuori dei terreni
vulcanici.
Fino all'800, al di sopra dei castagneti si apriva una striscia
di terreni, gli
scopeti, in cui si esercitava il pascolo e si seminava la segale;
oggi essa è
stata riassorbita dall'ampliamento del bosco. La terza fascia
abbraccia il
duplice cono sommitale ed è il regno della faggeta, interrotta
un tempo solo
dai due antichi prati della Contessa e delle Macinaie, oggi anche
dagli
impianti di risalita, sorta di "relitto" di un'attività
dismessa per l'ormai
cronica assenza di innevamento. Anche la faggeta ha subito profonde
modificazioni a causa dei tagli per la produzione di carbone
e di pali da
miniera e per l'uso di falegnameria. Già all'inizio del
'900 era difficile
osservare boschi composti da individui secolari; negli ultimi
decenni la
riduzione delle ceduazioni ha favorito l'avviamento a bosco d'alto
fusto,
ma le fustaie odierne vanno considerate tutte piuttosto giovani.
Il culmine
è affollato di ripetitori televisivi, installati senza
adeguata attenzione
all'impatto ambientale.
IL GIRO DELLA MONTAGNA
Il percorso, di 64.3 km , circolare con partenza e rientro ad
Abbadia San
Salvatore, compie il periplo dell'Amiata in un contesto naturale
e paesistico
spesso di grandiosa bellezza, entro il quale gli insediamenti,
ancora nell'800 decisamente
appartati rispetto alle comunicazioni e all'economia regionale, custodiscono
intatti valori ambientali sui quali solo marginalmente ha agito
la recente valorizzazione della montagna. I borghi di pietra,
al margine
dei vastissimi boschi di castagno e faggio che hanno costituito
risorsa
fondamentale dell'area almeno fino allo sfruttamento minerario
ottocentesco,
si dispongono ad anello sulle pendici del massiccio vulcanico,
condividendo storicamente
forme e modalità insediative tra le quali emerge tuttora
evidente
nei manufatti come nell'impianto urbanistico la comune origine
di nuclei
fortificati. Il presidio esercitato su questo territorio, peculiare
anche
morfologicamente nell'ambito della Toscana centrale, dai tre
maggiori
protagonisti della storia medievale amiatina - il potente monastero
di
S. Salvatore, gli Aldobrandeschi e il Comune di Siena - ha lasciato
segni
evidenti nelle pievi negli eremi e nelle rocche che tuttora formano
le
principali coordinate territoriali, fissate in età medicea
e non scompaginate
dalla storia recente in bilico fra arcaicità, sviluppo
industriale e, infine,
vocazione turistica.
ABBADIA SAN SALVATORE
Situata tra folti castagneti a mezza costa sul versante orientale
dell'Amiata,
è centro di villeggiatura m 822, ab. 7165 (8519), con
antica tradizione
mineraria (mercurio) , esercitata già nell'antichità
e a scala industriale
dal secolo XIX fino agli anni '60 del Novecento. Formatasi attorno
all'abazia
di fondazione altomedievale, ben esemplifica il processo di incastellamento
dell'area amiatina tra X e XIII secolo, guidato dal monastero
quale centro
di ordinamento e di governo di un vasto territorio in una fase
di espansione
economica e di riorganizzazione della società rurale.
L'insediamento
comprendeva un nucleo primitivo castellano cui si affiancò
a sud, forse
dal XII secolo, un borgo cinto da mura. Le successive edificazioni
hanno
in gran parte inglobato o cancellato, salvo alcune porte, il
sistema difensivo
dell'antico <Castrum de Abbatia>, di cui invece rimane,
appartato e
pressoché intatto, il borgo medievale di notevolissimo
interesse urbanistico
e ambientale, sul quale continua a vigilare il complesso abbaziale
di
S. Salvatore. Avvicinandosi alla cima, si fanno frequenti, nel
bosco,
gli insediamenti turistici (villette, qualche albergo) legati
allo sviluppo
del turismo estivo e invernale che si avvale, in tutto il comprensorio,
di quindici impianti di risalita e di una rete attrezzata di
sentieri. Al termine
della strada, a quota 1651 dove si trovano alberghi e ristoranti,
si può
continuare a piedi per guadagnare in breve la vetta del monte
Amiata m 1738,
costituita da um cumulo di massi nudi di peperino rossastro e
segnalata da
una Croce monumentale in traliccio di ferro (1910). Dalla cima,
isolata,
si domina un vastissimo e solenne *panorama: a nord fino all'Appennino
modenese; a est fino alle vette dell'Appennino umbro-marchigiano
e
umbro-abruzzese; a sud fino ai monti Cimini; a ovest. fino al
Tirreno e all'Elba.
PIANCASTAGNAIO
. Quasi 5 km di saliscendi verso sud, a tratti fra castagni,
separano Abbadia
San Salvatore da Piancastagnaio m 772, ab. 4449 (4697), luogo
di soggiorno
tra bellissimi boschi, a dominio della valle del Paglia. Il paese
è preceduto
dal convento francescano di S. Bartolomeo, fondato nel 1278 e
oggi di
proprietà privata salvo la chiesa, che mostra, nonostante
i restauri
novecenteschi, l'impianto tipico dell'architettura francescana
di fine
Duecento, a una navata con cappella terminale voltata a crociera
ogivale e
tetto a capanna con capriate lignee.
L'INTERNO di S. BARTOLOMEO
dopo gli interventi dei secoli XVII e XVIII appare fortemente
trasformato
in chiave barocca con l'aggiunta degli altari laterali e il rinnovamento
degli
arredi, pur conservando significativi avanzi della decorazione
più antica:
il controfacciata , S. Bernardino e storie della sua vita, di
pittore senese
non lontano dai modi del Vecchietta; alla parete sin. , Madonna
col
Bambino di scuola senese della seconda metà del Trecento
; dietro il
coro ligneo (1735) Strage deqli innocenti, riconducibile a un
artista
umbro-marchigiano della fine del '300. Al l1° altare d. ,
Tratnsito di
S. Giuseppe di Apollonio Nasini. Nel chiostro del convento, affresco
assai deperito con S. Francesco stimmatizzato di Francesco Nasini
e,
nell'aula capitolare, ciclo di affreschi di soggetto mariano
della prima
metà del '400. Piancastagnaio si sviluppa su un vasto
castello di pianta
circolare, documentato dal secolo XII, che dovette avere importanza
nel sistema castellano dell'anello amiatino se fu a lungo conteso
tra
l'abbazia di S. Salvatore e gli Aldobrandeschi, infine ambito
da Siena
cui passò nel 1416. Si entra nel caratteristico borgo
per una porta merlata,
sulla sinistra dei poderosi avanzi della rocca degli Aldobrandeschi,
con
possente ma elegante torrione e profondo cortile, oggi adibita
a museo con
arazzi, cimeli e arredi d'epoca. Nella centrale piazza Matteotti,
l'antico
Palazzo pretorio mostra avanzi di una facciata con bifora di
stile gotico senese.
Di forme gotiche trecentesche è anche la vicina pieve
di S. Maria Assunta,
fondata nel secolo XII (all'interno, altari barocchi e fonte
battesimale in
trachite di manifattura senese del '500) . Al termine di via
Garibaldi affaccia
a sinistra, su una panoramica piazza, il palazzo Bourbon del
Monte, edificio
di gusto manieristico (1604-11) con elegante scalone interno.
Uscendo verso
Santa Fiora si rasenta il grazioso santuario cinquecentesco della
Madonna
di S. Pietro, accompagnato da un piccolo campanile e decorato
internamente
da affreschi di Francesco Nasini (1640) ; sugli altari, tele
di Francesco
( crocifissione ) e Antonio (Sposalizio mistico di S. Caterina)
Nasini;
all'altare maggiore, l'affresco con l'immagine venerata della
Madonna
col Bambino di Martino d'Urbano da Celia (1583) .
SANTA FIORA
In dolce salita tra i castagni, con bellissimo panorama sul lago
di Bolsena e
oltre, fino ai monti Albani e all'Appennino abruzzese, la strada
supera il
piccolo colle di Saragiolo m 901 ; continua sinuosa, quindi scende
ripida,
km 16.3, a Santa Fiora m 687, ab. 2951 (3710), centro con spiccata
vocazione
turistica tra i più integri dell'area amiatina. Il borgo
antico, ricco di qualità
ambientali, si è sviluppato ai piedi del castello degli
Aldobrandeschi, che
ne fecero la sede della loro contea (secoli XI-XV) estesa, prima
delle
conquiste senesi (secolo XIV) , su quasi tutta l'odierna provincia
di Grosseto.
Lasciata a destra, al bivio per Castell'Azzara , la chiesetta
di S. Rocco, con
portale rinascimentale e piccolo rosone nella facciata, si entra
nell'abitato,
attestato sull'orlo del dirupo. La centrale piazza Garibaldi
si apre sull'area
del castello, i cui avanzi sono riconoscibili nella torre con
doppia merlatura
e, più addentro, in una torre mozza; segue il palazzo
Cesarini Sforza, ora
Municipio, pure costruito sui resti della fortezza, a tre ordini
di finestre.
In fondo a sinistra la via Carolina scende all'antica Pieve (Ss.
Fiora e Lucilla) ,
con facciata aperta da un rosone romanico e da un portale di
gusto tardo-cinquecentesco.
INTERNO DELLA PIEVE
A tre navate la mediana con soffitto a capriate , si adorna di
un notevole
complesso di opere da ascriversi tutte ad Andrea della Robbia:
al 1° altare d. ,
grande dossale in forma di trittico con S. Girolamo penitente,
incoronazione
di Maria e S. Francesco stimmatizzato ; nella navata d. , Crocifisso,
della
bottega; nella navata centrale, pulpito con tre bassorilievi
(Comunione degli
apostoli, Ascensione, Risurrezione ) ; alla parete della navata
sin., altro
grande dossale con l'Assunta tra anqeli; segue , sopra il fonte
battesimale ,
una terracotta con Battesimo di Gesù .
A destra della piazzetta, per una porta sormontata da finestrella
si attraversa
un angiporto e si scende a sinistra nel caratteristico borgo
murato, che
conserva atmosfere e case medievali. Presso l'oratorio della
Madonna delle
Nevi (sulla porta, le Ss. Fiora e Lucilla, bassorilievo della
bottega di Andrea
della Robbia) è la Peschiera, costruita nel 700 per imprigionare
le limpide
sorgenti del fiume Fiora.
CASTELL'AZZARA
al km 19.4 in direzione sud-est, lasciando a destra, km 5.7,
la breve diramazione
per il convento della SS. Trinità o della Selva, entro
bellissimo bosco che per
l'interesse naturale floristico e vegetazionale è classificato
dalla Regione
Toscana tra i biotopi degni di tutela: domina l'abete bianco,
associato al
castagno, al tiglio, al faggio, al carpino bianco e a varie specie
di querce.
Il complesso, fondato da Bosio II Sforza el 1508, conserva nella
chiesa,
su un altare a destra, Crocifisso con, cherubini, terracotta
robbiana; su uno
a sinistra, Assunzione, tavola centinata di Girolamo di Benvenuto.
La strada rasenta le pendici occidentali del monte Calvo m 930,
quindi lascia
a destra un tronco che in circa 3 km va a Selvena m 658: vi si
trovano,
su un colle vicino a dominio della valle del Fiora i ruderi della
rocca Silvana,
che ebbe rilievo strategico come testimoniano gli assedi dell'imperatore
Federico II e le mire di possessione dei Comuni di Siena e Orvieto.
La strada aggira da nord il monte Civitella m 1107 di pregio
naturalistico
per l'ampia estensione boschiva dell'abetina del Pigelleto (da
<pagello>,
nome locale dell'abete, o dal latino <picea>), con abeti
bianchi faggi,
castagni, cerri, frassini, aceri, carpini che si dilatano fino
al massiccio
dell'Amiata. Sul fianco orientale del monte si trova affacciato
in magnifica
posizione sulla depressione del Paglia, Castell'Azzara m 815,
ab. 2020 (2974) ,
nel Medioevo feudo della famiglia Baschi, oggi piccolo centro
di villeggiatura
estiva. Pochi chilometri a oriente dell'abitato si trova la degradata
villa
Sforzesca, costruita attorno al 1580 dal cardinale Alessandro
Sforza per
ospitare il papa Gregorio XIII e la sua corte.
ARCIDOSSO
Da Santa Fiora si prosegue sul versante occidentale dell'Amiata
dove
l'industria mineraria era attiva a Bàgnore m 780, ora
piccolo nucleo termale
con una sorgente di acqua bicarbonato-alcalina. Al km 24, sull'insellatura
che separa l'Amiata dal monte Labbro sta Arcidosso m 679, ab.
4185,
raccolto a semicerchio attorno al castello degli Aldobrandeschi,
assediato
e conquistato nel 1331 da Guidoriccio da Fogliano. La bella porta
dell'orologio, costruzione gotica a tre arcate sormontata da
un campaniletto,
dà accesso al borgo antico, un tempo racchiuso entro due
successive cerchie
murate (oggi difficilmente riconoscibili), entro cui si dipanano
viuzze tortuose e scoscese
fiancheggiate da scure e serrate costruzioni. Scendendo a destra
si
va, tra vecchie e caratteristiche case, alla chiesa di S. Leonardo,
fondata nel
secolo XII, ingrandita nel 1300, trasformata nel secolo XVI;
l'interno è
arricchito da altari tardo-rinascimentali: sul 1° a sin.,
Decollazione di
Francesco Vanni (1589) ; ai lati del maggiore, S. Andrea, e S.
Processo,
belle statue lignee del '500. Dalla parte opposta sovrasta l'abitato
la Rocca aldobrandesca,
oggi adibita a manifestazioni culturali (vi sale la via Cavour, sottopassando
una merlata porta-torre tre-quattrocentesca), imponente
complesso di costruzioni medievali in parte diroccate, tra le
quali spicca
una torre munita di merli. Al margine sud-occidentale del paese,
all'inizio
della strada per Montelaterone e Pagànico, si eleva da
una gradinata la
bella chiesa della Madonna Incoronata, eretta dopo la peste del
1348,
rimaneggiata alla fine del '400, con interessante interno rinascimentale.
VERSO CASTEL DEL PIANO
Si continua il periplo del massiccio in un paesaggio caratterizzato
dalle
colate laviche di trachite: sotto l'azione disgregatrice degli
agenti atmosferici,
esse si trasformano in ottima terra vegetale che nutre l'immensa
corona di
castagneti attorno all'Amiata; anche da lontano è così
possibile riconoscere
la natura eruttiva del suolo, osservando il bosco di castagno
inoltrarsi fino
alle estremità delle colate. Fuori dalle trachiti il terreno
è costituito di marne
e di alberese, che alimenta magri pascoli. Si scende a varcare
il torrente
Ente per risalire, con bella vista a sinistra di Arcidosso e
poi di Montelaterone,
l'altro versante della valle. Al km 27.7 si entra nell'antico
borgo di Castel del
Piano m 637, ab. 4404 (4610) , che, con gli altri dell'Amiata,
condivide le
origini fortificate e il conteso possesso dei potenti medievali:
l'abbazia di
S. Salvatore gli Aldobrandeschi e infine Siena. Le attività
turistiche si
avvalgono di un moderno abitato con ampi viali alberati, al quale
si
affianca il nucleo antico di un qualche interesse urbanistico
perché suddiviso
a sua volta in un quartiere prevalentemente cinquecentesco, ai
lati della
strada principale, e in un borgo medievale attestato poco più
in alto.
Originari di Castel del Piano erano i Nasini, di cui rimangono
alcune opere
nella prepositurale dei Ss. Niccolò e Lucia: Madonna col
Bambino
(2° altare sinistro) e Natività della Vergine (altare
maggiore) di Giuseppe
Nicola, Madonna in gloria e sani (a sinistra del presbiterio)
di Francesco;
inoltre, Miracolo di S. Cerbone (2° altare destro) di Domenico
Manetti.
La torre dell' Orologio immette nel borgo più antico,
dove si notano palazzi tardo-rinascimentali
e case di impianto medievale tra le quali sorge la
chiesa di S. Leonardo, di fondazione quattrocentesca.
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