GLI DEI MINORI (si fa per dire...) |
Francois-André Duncan Philidor (Dreux 7/9/1726- 31/8/1795) |
Nato da una famiglia che, sin dal suo capostipite
Jean Philidor, aveva dato molti musicisti
alla Francia, Francois era figlio ultimogenito
dell'ormai settantanovenne André. Fu subito
avviato alla musica, come da tradizione di
famiglia, e già dodicenne esibiva alcune
piccole composizioni. Senonché nel coro della
cappella di Versailles si trovavano anche
musicisti che giocavano a scacchi (a tal
proposito ci sarebbe da trattare a lungo
su questa affinità elettiva che ha unito
moltissimi musicisti al gioco degli scacchi).
Essi insegnarono al giovane Francois a giocare
e fu amore a prima vista con Caissa.
Nel 1740, giunto a Parigi, Philidor frequentò
il Café de la Régence, noto quartier generale
degli scacchisti della capitale francese,
e qui rivelò la sua naturale abilità nel
gioco alla cieca.
Pur rimediando qualche soldino con gli scacchi
e le partiture, era costantemente perseguitato
dai creditori, sicché si decise a cambiare
aria e trasferirsi in Olanda. Qui consolidò
la sua fama e le sue finanze. Nel 1746 sbarcò
in Inghilterra. A Londra battè Stamma (siriano
di Aleppo, naturalizzato inglese ed autore
di note opere scacchistiche di quel tempo)
per +8 -1 pur dandogli il vantaggio del tratto.
Questo avvenimento gli spalancò molte porte
e soprattutto gli permise, col mecenatismo
del duca di Cumberland, di stampare nel 1749
il suo celebre manuale "L'Analyse du
jeu des échecs". L'importanza di quest'opera
è enorme se si pensa che fu tradotta in molte
lingue e che, stampata in decine e decine
di edizioni, fu un autentico testo di riferimento
per intere generazioni di scacchisti. Fu
il primo libro ad affrontare i temi strategici
del gioco. Celebre la sua affermazione: "I
pedoni sono l'anima degli scacchi.".
Per molti versi era un giocatore si assoluta
modernità ed anticipatore dei concetti posizionali
poi ripresi da Steinitz. Enunciò alcune analisi,
come quella del finale di Torre e Alfiere,
ancora oggi accettate. Nel 1770 si trasferì
definitivamente in Inghilterra attirato dagli
scacchi e si stabilì in pianta stabile a
London Chess Club, dove dava lezioni, si
esibiva e - nel tempo perso - insegnava anche
musica. Nel 1782 Diderot lo pregò di smettere
di giocare alla cieca e lo invitò a ritornare
alla musica, chiudendo la sua lettera con
alcune profetiche aparole: " ...quel
povero Philidor che ha perso il senno spingendo
pezzetti di legni sulla scacchiera."
L'autore di Ermelinda principessa di Norvegia
(che gli aveva fruttato un vitalizio dissoltosi
con la rivoluzione francese), padre dell'"Opera-comique"
nel cui genere compose circa venti lavori,
finì col mantenersi giocando a scacchi e
morì, forse primo di una lunga serie di maestri,
povero e solo in terra straniera.
Howard Staunton. ( Westmoreland aprile 1810-Londra 22/6/1874) |
Pare fosse un figlio naturale di Frederick
Howard, quinto Duca di Carlisle. Ebbe scarsa
istruzione da giovane a cui supplì con intelligenza
e caparbietà, tanto da diventare uno studioso
appassionato di Shakespeare (del quale peraltro
già recitava le commedie)arrivando a curarne
un'edizione di opere teatrali ch'ebbe vasto
successo.
Si autoproclamò campione del mondo dove aver
sconfitto Saint-Amant nel 1843. Padre e padrone
degli scacchi inglesi, aveva un caratterino
non propriamente angelico: scostante, iroso,
vendicativo. Verso il 1830 si affacciò, alto
e imponente alla porta del Chess Divan Club
di Londra, per ficcarsi nella sala degli
scacchi. In breve tempo conquistò la prima
scacchiera. Aveva una volontà pari alla sua
boria. Studiò e divenne un quotato teorico
tanto da arrivare a dirigere il Chess Player's
Chronicle (1841). Scrisse libri di letteratura
scacchistica la cui qualità fu riconosciuta
dallo stesso Bobby Fischer che lo definì
un acuto analista.
Divenne la "legge" e, come il giudice
Linch nel Far West, saettava giudizi sferzanti
con un linguaggio arrogante e sovente poco
urbano. Il Torneo di Londra del 1851, pietra
miliare nella storia degli scacchi e nel
quale si classificò quarto (fu Andressen
a vincerlo, fu una sua creatura. Staunton
seppe trovare buone scuse per la sua performance,
scuse che - con la stessa facilità - trovò
anche per evitare la sfida portatagli da
Morphy nel suo soggiorno londinese. Morì
il 22 giugno 1874 e Potter (unica voce stonata
nel coro delle prefiche) scrisse: "
il defunto spesso agiva anche con grossolana
ingiustizia verso chi lo aveva sconfitto
e gli appariva una possibile barriera tra
lui e il sole."
Per una esaustiva biografia su Staunton consultare
il seguente sito curato da Bill Wall:
http://markofwestminster.com/chess/staunton.html
Adolf Anderssen (Breslavia 6/7/1818 -13/3/1879) |
Professore di matematica al Friederich Gymnasium
di Breslavia, ottenne, pur iniziando tardi
l'attività agonistica, straordinari successi
scacchistici e fu considerato uno dei massimi
giocatori dell'epoca. Vincitore di numerosi
tornei, tra cui quello importantissimo di
Londra 1851 che di fatto gli conferì la nomea
di campione del mondo.
Persona oltremodo affabile e di buone maniere
era straordinariamente aggressivo nel suo
stile di gioco romantico e pirotecnico. I
suoi sacrifici suscitavano stupore e ammirazione.
La sua partita contro Kieseritzky, "l'immortale",
è pubblicata su centinaia di libri di scacchi
.
Alto e di corporatura massiccia, possedeva
uno sguardo bonario ed un sorriso gentile
che suscitava simpatia. Fu forse l'unico
giocatore di scacchi che non ebbe nemici.
Fino all'avvento di Morphy, da cui fu sconfitto
a Parigi nel 1858, e successivamente di Steinitz,
da cui fu sconfitto seccamente a Londra nel
1866, Anderssen non ebbe rivali. Fu considerato,
nel periodo che grosso modo va dal 1851 al
1866, il primo giocatore al mondo, oscurato
solo da Morphy.
Paul Morphy New Orleans 22/6/1837 - 11/7/1884 |
Figlio del giudice Alonzo Morphy e di una
creola francese, apprese le mosse dal padre
e giovanissimo divenne il più forte giocatore
della città. Si narra che Morphy regalasse
i suoi libri di scacchi, bastandogli averli
letti una volta soltanto. Si laureò in legge
a 18 anni col massimo dei voti e risulta
che riuscisse a ricordare a memoria l'intero
codice civile della Louisiana.
"Lo hanno chiamato a ragione l'Arcangelo
degli scacchi, perché con lui inizia il vero
culto della dea Caissa". Questo il commento
di Canal in uno splendido articolo su questa
luminosa figura degli scacchi di ogni tempo.
Nel 1850 a Lowental,esule ungherese, considerato
uno dei più forti giocatorei dell'epoca,
di passaggio a New Orleans fu proposta una
sfida col giovane Morphy su tre incontri,
sfida che l'americano si aggiudicò con due
vittorie ed una patta. Nel 1857 fu invitato
al torneo di New York. A chi non lo conosceva,
quella figurina esile e bassa,dal viso glabro
quasi femmineo e dalle piccole mani sempre
coperte da guanti di capretto grigio, ben
vestito e garbato non dovette suscitare una
favorevole impressione. Morphy travolse tutti
con signorilità giocando in assoluto silenzio
e senza darsi arie. Bravissimo anche nel
gioco alla cieca, la sua fama varcò l'oceano
e giunse in Europa dove Staunton (che si
riteneva il migliore scacchista del mondo)
non perdeva occasione di dichiarare che quel
giovane americano non era poi così forte
come si sosteneva. Nel giugno del 1858 Morphy
sbarcò a Londra dove ritrovò il vecchio Lowental.
Lo battè nuovamente, impressionando gli inglesi
per il suo gioco, così come travolse il forte
Bird. Ma Staunton non si faceva vedere. Morphy
si recò a Parigi e divenne una celebrità
del Café de la Régence. Qui demolì Harrwitz,
un borioso professionista che aveva avuto
la ventura di batterlo in due incontri su
cui forse aveva troppo pesato l'impatto della
dolce vita notturna parigina. Morphy si vendicò
rifilandogli cinque batoste consecutive in
seguito alle quali Harrwitz si rifiutò di
proseguire. Assiduo frequentatore dell'Opéra,
Morphy venne invitato una volt dal Duca di
Brunswick e dal Conte Isouard che lo sfidarono
mentre andava in scena il Barbiere di Siviglia
di Rossini. La partita che disputarono e
che Morphy vinse è tutt'ora considerata una
gemma e resta nella storia degli scacchi.
A Parigi, nell'Hotel de Breteuil dove alloggiava,
Morphy disputò un match contro Adolf Anderssen
(1818-1879) professore di matematica a Breslavia,
vincitore del Torneo di Londra del 1851 e
uno dei massimi giocatori del tempo.
Morphy vinse per 7 a 2 e Anderssen, da gran
signore qual'era, disse " Contro di
lui nessuno può sperare di vincere più di
una partita ogni tanto".
Dopo il match con Anderssen, Morphy tornò
in America dove fu accolto con onori degni
di Cesare. La sua fama era immensa ed i giornali
sprecavano i titoli per inneggiarne la gloria.
Ma da lì a poco Morphy cominciò a soffrire
di mania di persecuzione (sospettava che
il cognato volesse derubarlo tanto che lo
sfidò a duello e poi gli intentò una causa
che perse), diventò misantropo e si isolò
convinto che la gente volesse avvelenarlo,
smettendo perfino di parlare di scacchi.
Morì nella vasca da bagno stroncato da una
congestione cerebrale. L'Arcangelo degli
scacchi era ritornato in paradiso.
Siegbert Tarrasch Breslavia 5/3/1862 - Monaco 17/2/1934 |
Per uno strano scehrzo del destino Tarrasch
nacque nella stessa città che aveva dato
i natali ad un altro mito degli scacchi :
Adolf Anderssen (1818-1879) ed entrambi frequentarono
lo stesso Ginnasio Elizabeth. Il dottor Tarrasch
si laureò in medicina ed esercitò la professione
medica a Norimberga e Monaco, ma nel 1880,
durante gli studi universitari a Berlino,
prese a frequeentare il Café Royal ed il
Kaiserhof, entrambi ritrovo di molti scacchisti.
Tra lezioni di anatomia e scacchi al Re riuscì
a guadagnarsi più con i secondi che con le
prime fama imperitura . Lo stesso Steinitz,
dopo la vittoria di Tarrash al Torneo di
Manchester del 1900 scrisse: "Tarrasch
è forse il massimo talento mai esistito."
Era un ometto claudicante, dal carattere
ombroso ed irascibile. Si assunse il compito
di diventare il teorico per eccellenza, affrontando
tutto lo scibile scacchistico, razionalizzandolo
e postulando precetti che costituirono il
bagaglio teorico del gioco. Il "Praeceptor
Germaniae", come venive soprannominato,
postulò dogmi che furono accolti come versetti
biblici dai novizi del gioco: sviluppare
i Cavalli prima degli Alfieri, mai muovere
due volte lo stesso pezzo in apertura, occupare
il centro con i pedoni. "Ipse Dixit"
si mormorava ancora prima di spiegare perché
fossero importanti tali argomentazioni. Nella
sua opera Dreihundert Schachpartien espose
i suoi principi analizzando le trecento partite
ivi riportate. Vinse una impressionante serie
di tornei tra la fine dell'ottocento ed i
primi del novecento. Non gli riuscì però
di diventare campione del mondo. Prima del
1894 era considerato secondo solo a Steinitz.
Dopo il 1894 su messo in ombra da Lasker
con cui non ebbe mai buoni rapporti. Restò
celebre la sua frase rivolta al campione
del mondo: " Per voi dottor Lasker ho
solo tre parole: scacco e matto!". I
due infatti non perdevano occasione per beccarsi.
Tarrasch giocava con lo stile di un paladino
che tornei in una giostra: per amore dell'estetica
e della dama (Caissa). Lasciò ai posteri
una straordinaria eredità di precetti che
ancora oggi stanno alla base della disciplina
scacchistica.
Aaron Nimzowischt (Riga 7.11.1886 - Copenhagen 16.3.1935) |
Apparve sul'agone scacchistico internazionale
con l'aria di chi porta su di sé i mali del
mondo e opera per redimerlo. A moltissimi
suoi colleghi era decisamente antipatico
per il suo anticonformisco (si potrebbe anche
dire anarchia)e l'altrissima autostima di
cui non faceva mistero. Gli aneddoti su di
lui si sprecano. "Studia scacchi e gioca
giurisprudenza" disse un giorno Von
Bardeleben ironizzando sulla sua assidua
frequenza nella sala scacchi del Café Kaiserhof
di Berlino, città in cui s'era trasferito
per studiare legge al locale ateneo.
Aborriva l'alcol e detestava fino all'odio
i fumatori. Mieses racconta che in un torneo
chiede al direttore di intimare al suo avversario
Vidmar di non fumare. Alla risposta del direttore
"Ma non sta affatto fumando." Aaron
rispose con una delle sue frasi più celebri:
"Lo so, ma minaccia di farlo e la minaccia
è più forte della sua esecuzione."
La sua importanza nel mondo di Caissa è sotto
il profilo dottrinale enorme. La sua "
demoniaca forza combinativa", il suo
originalissimo stile di gioco, i suoi risultati
agonistici con l'apogeo raggiunto a Karlsbad
nel 1929 davanti a Capablanca e Spielmann)
passano perfino in secondo piano rispetto
al contributo teorico da lui dato agli scacchi.
La sua opera "Mein system" (Il
mio sistema) è da ritenersi ancora oggi,
per linearità espressiva, profondità e ricchezza
introspettiva, visione anticipatrice di concetti
nuovi in rottura con gli schemi dottrinali
imperanti al suo tempo, una autentica pietra
miliare della letteratura scacchistica.
Morì di polmonite a 49 anni, legando , tra
l'altro, per l'eternità il suo nome ad un'apertura:
" La Nimzo-indiana".
Akiba Kivelovic Rubinstein (Stawiak 12/12/1882 - Anversa 14/3/1961) |
Polacco, nato da famiglia modestissima nel
ghetto, trascorse un'infanzia di povertà
scandita dai ritmi di una stretta osservanza
religiosa. Iniziò gli studi della Tora (avrebbe
dovuto fare il rabbino)e parlava solo in
yiddish o ebraico, ma abbandonò gli studi
religiosi per gli scacchi.
Similmente a Steiniz, con cui per molti versi
condivise un analogo percorso di vita, gli
scacchi gli permisero di evadere dal ghetto.
Vi si dedicava in modo totale con un fervore
che aveva dell'incredibile, tanto che Reti
disse che era "un sacerdote della sua
arte."
E gli scacchi per Rubinstein erano un arte.
Prima dell'avvento di Capablanca fu il più
forte antagonista di Lasker.
Finalista di straordinaria efficacia, uno
dei migliori di tutti i tempi, riusciva a
ricavare posizioni vinte in un modo che aveva
del miracoloso. Ma così come intuiva combinazioni
incredibili con una naturalezza sconcertante,
parimenti era vittima di strane amnesie,
prodromo di quegli squilibri nervosi che
con gli anni si accentuarono terribilmente
spingendolo verso l'ospedale psichiatrico.
Anche in questo fu quindi simile a Steinitz.
E di Steiniz fu il seguace più diligente
e profondo, poiché solo Akiba, come nessun
altro, ne aveva compreso gli insegnamenti
e li aveva portati avanti con una straordinaria
freschezza d'idee. A tal proposito, ancora
Reti scrisse che Rubinstein "creò le
più perfette partite giocate all'epoca di
Steinitz".
Sfidò Capablanca ma non riuscì a raccogliere
l'ingente borsa che il cubano pretendeva
dallo sfidante. Capablanca in cuor suo stimava
e temeva quel polacco mite e silenzioso,
formidabile nei finali ed in grado di battere
chiunque.
Non mangiava in pubblico e non stringeva
le mani ad alcuno per non contaminarsi. Raggiunse
il successo e vinse numerosi tornei, ma non
diventò mai campione del mondo come sperava.
Finì i suoi giorni dimenticato da tutti,
in un ospedale, ma lasciò ai posteri una
raccolta di partite che ancora oggi riempiono
di ammirazione.
Richard Reti (Pezinok 28/5/1889 - Praga 6/6/1929) |
Boemo, dotato di grande talento, coltivava
molteplici interessi, ma era perdutamente
innamorato del gioco degli scacchi. Disputò
nella sua breve ma intensa vita (morì infatti
appena quarantenne per una banale scarlattina)
una sessantina di tornei ed una quindicina
di match: un totale di circa 950 partite
in poco più di vent'anni di attività agonistica.
Suo, per diverso tempo, fu anche il record
di partite alla cieca (S.Paolo del Brasile
7/2/1925) su ventinove scacchiere: +20 -2
=7. Fu Reti, nel 1924 a New York, a sconfiggere
Capablanca che non perdeva una partita da
otto anni. Alto, corpulento, mascella quadrata
e volitiva, buon gourmet (le malelingue sostenevano
fosse anche tirchio) Reti sprizzava felicità
quando sedeva davanti alla scacchiera. Il
temperamento era il suo tallone d'Achille:
grintoso e determinato contro i giganti,
oltremodo rilassato e svogliato contro i
mediocri. Ciò gli costò parecchi punti nelle
classifiche dei tornei.
Ma l'importanza di Reti fu enorme. Insieme
a Breyer (deceduto appena ventisettenne)
fu il padre dell'ipermodernismo: un nuovo
stile di gioco fortemente criticato dai contemporanei.
Non più l'occupazione del centro con i pedoni,
ma il suo controllo attraverso il fianchettamento
degli Alfieri. Rti compose anche numerosi
studi, tutt'ora ineguagliati per semplicità
e profondità d'idee. Pubblicò solamente due
volumi, di esclusivo contenuto didattico,
ma estremamente efficaci e splendidi per
il loro stile lineare. Per uno strano scherzo
del destino reti chiuse la sua carriera con
la vittoria nel Torneo di Vienna (1928) davanti
a Spielmann e Tartakower, torneo con cui,
nel 1909, vincendolo, aveva iniziato la sua
ascesa scacchistica. Fu proprio il suo amico
Tartakower a tesserne l'elogio più sincero
e misurato: " E'uno slovacco che non
ha niente in comune con la Slovacchia, un
buon matematico che non insegnerà mai matematica
e forse lo scacchista più dotato del mondo
che non diventerà mai campione del mondo."
Paul Keres (Narva 7/1/1916 - Helsinki 5/6/1975) |
Soprannominato l'eterno secondo, Paul Keres,
estone, fu uno dei più raffinati talenti
scacchistici che abbia attraversato la metà
del novecento. Diventato forzatamente cittadino
sovietico nel 1940 in seguito all'annessione
dei paesi baltici, era già Grande Maestro
nel 1937 (Semmering). Non gli riuscì mai
di giungere ad una finale per il titolo mondiale,
escludendo il torneo Avro del 1948 (in cui
emerse Botvinnik) indetto dalla Fide in seguito
alla morte di Alechin per designare il nuovo
detentore. In quella circostanza Keres si
intestardì a giocare su Botvinnik e si deconcentrò,
per sua stessa ammissione, finendo col perdere
punti preziosi. Negli anni successivi, per
ben cinque volte di seguito, arrivò alla
finale del torneo dei candidati, estromesso
da Bronstejn nel '53 a Zurigo, da Smyslov
nel '56 ad Amsterdam, da Tal nel '59 a Bled,
quindi nel '62 da Petrosjan a Curacao infine
da Spassky nel '65. Come si vede gli ultimi
quattro diventarono tutti campioni del mondo.
Keres, secondo lo storico Brandreth, fu il
giocatore che vinse più tornei internazionali
al mondo ed ha partecipato complessivamente
ben otto volte al torneo dei candiati (un
vero record). Dotato di una formidabile preparazione
teorica e di pregevolissima tecnica, peraltro
espressa in alcune sue lucidissime monografie,
vinse tre campionati Urss (1947,1950,1951)
e disputò dieci Olimpiadi. Davvero numerosissimi
i tornei vinti ed i piazzamenti nelle primissime
posizioni delle manifestazioni a cui prese
parte. Ha saputo conciliare come pochi la
giusta aggressività sulla scacchiera con
le maniere garbate e la sana sportività.
E' stato, quel che si dice, un gran signore:
affabile, equilibrato, disposto ad accettare
vittoria e sconfitta con la identica grazia.
Stroncato da attacco cardiaco durante il
trasferimento da Vancouver, B.C., Canada
in Finlandia. In Canada aveva disputato
il Canadian Open di Vancouver. Nell'ultima
partita della sua vita aveva battuto il GM
statunitense Walter Browne.