1973: esce "The Dark Side of the Moon". Ed è subito un delirio. 2003: i protagonisti raccontano i segreti di una band che ha fatto la storia del rock

 

di Carol Glerk"

 

Erano in quattro in quel lontanissimo 1973. Il bassista (e leader della band) Roger Waters, il tastierista Richard Wright, il percussionista Nick Mason, il chitarrista David Gilmour.

E su tutti e quattro aleggiava gigantesca, l'ombra di Syd Barrett: il deus ex machi­na dei primissimi Pink Floyd. Ma se il genio non era fisicamente presente in sala di registrazione (afflitto da schizofrenia), la sua memoria era una sorta di spiritoguida nelle composizioni che la band stava mettendo su nastro: "The Dark Side of the Moon", una folgorazione fuori dal mondo e dal tempo, uno dei dischi che hanno fatto la storia del rock. Trent'anni sono passati da allora, e 30 milioni di copie vendute, 723 setti­mane di permanenza nelle classifiche americane, 350 in quelle inglesi, un successo senza pari nelle varie ristampe su cd uscite dal 1984 a oggi. E ora i prota­gonisti di quel volo sulla "Faccia oscura della luna" (che è anche un'esplicita al­lusione alla follia quotidiana si confes­sano per noi. Uno dopo l'altro.

 

Roger Waters, capelli argentati, aspetto distinto, ha un’aria autorevole. Al pari degli altri membri dei Pink Floyd, conserva scarsa memoria degli eventi che precedettero la realizzazione del loro famoso album.

E se gli chiedi di Abbey Road, dove venne registrato, ricorda più le partite di cricket che ha giocato contro la squadra locale che non lo studio in cui lavoravano.

Pensa e parla per immagini, in modo indiretto: insiste sui contenuti di questo album. Ed è pronto ad affrontare i grandi problemi, sorridendo raramente.

 

Qual è stata l'idea originale da cui ha tratto ispirazione?

«Ci incontrammo a casa di Nick Mason. E a un tratto dissi: "Ehi ragazzi, mi è venuta un'idea". Stavo pensando a tutte le difficoltà che ci ritroviamo di fronte nella vita e che ci mettono in ansia, e alle capacità che abbiamo di risolverle o di scegliere la strada da percorrere».

 

I suoi compagni come la presero?

«Sembravano tutti d’accordo».

 

Qualcuno ha detto che mentre lei tendeva a scrivere testi densi di significato, gli altri era­no meno interessati ai contenuti.

«Rick Wright dichiarò, in alcune interviste: "Noi non badiamo alle parole". Pensai allora: tu parla per te».

 

Waters: "abbiamo un solo colpo in canna. E possiamo rendere il mondo più luminoso o più buio"

 

Venne definito un album a tema, anche se ne trattava più d'uno: la follia, la tristezza, il tempo, la vita e la morte. Come riassumerebbe quel che ha voluto esprimere in "Dark Side of the Moon"?

«Se c'è un messaggio è questo: la vita non e un gioco. Abbiamo un solo colpo in  canna, e dobbiamo fare scelte basate sulla posizione morale, filosofica o politica che abbiamo adottato. Possiamo rendere il mondo un po' più luminoso o più buio. Ma a tutti è offerta l'occasione di trascendere le proprie tendenze egoistiche e la propria avidità, lasciando il segno sulla grande tela della vita. Siamo confusi dalla religione come dalla politica. E dobbiamo rendercene conto soprattutto in questo momento, nel 2003, mentre è in corso una nuova crociata, a 600 anni di distanza dal passato».

 

I testi alternano temi universali e problemi quotidiani. In "Us and Them" si parla dì un vecchio disperato che non ha i soldi neppure per una tazza di tè o di un generale che fa la guerra a tavolino...

«Tutti i problemi politici si possono ridurre a una qualche sorta di microcosmo. E’ certamente positivo riflettere e impegnarsi sulle grandi questioni politiche, ma alla fine tutto dipende dal modo in cui si vive e si trattano gli altri. Io faccio volentieri la carità, ma forse perché è molto facile. Quando vengo a Londra soggiorno in un albergo di lusso. Ci sono sempre un paio di persone che dormono davanti all'entrata. Ma se dormi in un androne, vuoI dire che non sai dove andare. Molti sono alcolisti. Penso che se mi trovassi nei loro panni e qualcuno mi desse una ventina di sterline, questo allevierebbe, almeno per qualche minuto, la mia pena.

 

In "Time" lei esortava i giovani a non sciupare anni preziosi e a darsi da fare. Non le sembra un po' buffo che un'intera generazione di hippies e di ribelli abbia passato mesi ad ascoltare "Dark Side of the Moon", sotto l'effetto dell'alcol o della droga?

«Non ci vedo niente di male seda ragazzi si esagera un po' con questa roba. A quell'età non si hanno particolari responsabilità. E va anche bene starsene stravaccati e storditi a sentir musica per un anno o due. Non è questo il problema che ho voluto affrontare con quella canzone. Mi riferivo invece all'importanza della propria autonomia. Vede, tutte le settimane me ne andavo a bivaccare lungo la banchina di Arsenal. Era un piacere. Qualcuno, invece, potrebbe dire che era una perdita di tempo. Ma a 29 anni mi resi conto improvvisamente che stavo incarnando la profezia di qualcun altro. Fin da piccolo sono stato cresciuto ed educato nella convinzione che avrei dovuto affrontare la vita più tardi. Nessuno mi aveva mai spiegato che in realtà la stavo affrontando momento per momento».

 

Sempre in "Time" lei dice: «Ogni anno diventa più breve, non trovo mai il tempo...". È una scoperta molto deprimente per un ventenne.

«Ho ancora questa sensazione. Ma adesso mi rendo conto che è illusoria. Molti scrittori dicono: "Mi devo alzare alle sei del mattino, devo scrivere 400 parole al giorno". Io non sono mai stato capace di lavorare in questo modo. Qualche volta me ne dispiaccio. Forse, avrei potuto produrre altri 20 album. Ma poi preferisco pensare che probabilmente alcune associazioni mi vengono spontanee perché ho voglia di andare a pesca, e allora lascio che le idee maturino lentamente.

 

Andare a pesca è una buona cosa. Ma il testo di "Breathe" sembra dire: non dimenticare di fermarti a odorare il profumo delle rose...

«Penso sia importante stimolare gli altri a riflettere su quel che accade. Temo che corriamo sempre più il pericolo di ritrovarci nel ovo Mondo" di Aldous Huxley. Siamo controllati attraverso le diete e la tv e con probabilità la vita in questo millennio sarà molto triste. Quando mai si è visto un McDomald’s  lungo gli Champs Ehlisèes? Che diavolo gli ha preso ai francesi? Sono l'ultimo bastione della qualità culinaria, eppure s’infilano lì dentro e comprano quella roba. Perché?».

 

La frase "Dark side of the moon" si riferisce al lato oscuro della mente che può scatenare la follia o vale per qualsiasi aspetto negativo della nostra personalità?

Ha un significato generico. Vuole suggerire l'idea di un cameratismo fra chi è disposto ad avventurarsi in questi luoghi pensando di essere solo. Non è così! Molti di noi sono pronti infatti ad aprire tutte queste possibilità. Perciò intendo dire che se credete di essere gli unici sembra dì essere pazzi perché tutto è follia, non siete soli. È come in “Star Wars”: la luce e l'oscurità sono in ciascuno di noi. Il bello del film di Lucas sta proprio nel fatto di essere riuscito a esprimere queste idee, che hanno rappresentato buona parte della fantascienza degli anni Sessanta e Settanta.

 

Il suo più famoso riferimento a Syd Barrett è "Shine On Your Crazy Diamond", dall'album successivo "Wish You Were Here". Ma il tema della follia di "Brain Damage" faceva allusio­ne proprio a lui...

«È stato un grande shock per me osser­vare la tragedia della schizofrenia così da vicino».

 

ll filo conduttore della follia che attraversa l'intero album è legato a quell'esperienza?

«E uno degli elementi principali. Non c'è modo di curare questa malattia. Almeno così e stato nel caso di Syd».

 

È ancora in contatto con lui?

«No. Syd non vuole ricordare i suoi trascorsi con il nostro complesso».

 

Perché "The Dark Side Of The Moon" è un disco che non è mai andato fuori mercato? I suoi contenuti sono eterni?

«Mi sono sempre più convinto che le sue qualità sonore e musicali esprimono in qualche modo i temi politici e psicologici contenuti. C'è una simbiosi fra questi due aspetti. C'è una parte del cervello che stabilisce collegamenti in apparenza ovvii una volta che sono stati fatti, ma che prima non erano evidenti. Scrivere significa questo. Ecco perché è così importante, e perché ci piace leggere dei buoni romanzi».

 

Non vi eravate accorti che stavate componendo una colonna sonora perfetta come accompagnamento all'esperienza della droga?

«Non ne eravamo consapevoli».

 

Richard Wright introduce nella sua casa a Notting Hill. Il salotto, ampio e confortevole, rispecchia la sua personalità: nessuna ostentazione. Il pavimento, in laminato di legno, è cosparso di tappeti, un paio di quadri alla parete e una modesta raccolta di cd stipata in uno scaffale. Richard (non Rick) è un pignolo: è deciso a difendere il suo ruolo nella storia di "The Dark Side of the Moon".

 

Roger Waters dice che la musica cattura tutto il contenuto emotivo dei versi. A cosa si devono questa emozione e questa magia?

«Alla spontaneità. La nostra creatività era all'apice. Quella con Roger non era una grande amicizia, ma il nostro rapporto di lavoro funzionava magnificamente. Roger esprimeva emozioni che noi tutti condividevamo. Rispecchiava la nostra vita itinerante, il distacco dalla famiglia, i ricordi dell'infanzia. Penso che musica e versi riuscissero a fondersi spontaneamente».

 

"Us and Them" lo avete scritto insieme.

«Probabilmente è la canzone migliore che abbiamo scritto insieme».

 

In origine non era stata scritta per "The Dark Side Of The moon"...

“Gli arrangiamenti dei ersi sono stati tratti da in pezzo che avevo scritto per "Zabriskie Point", il film di Michelangelo Antonioni del 1970. Antonioni, che in un primo momento si era detto d'accordo, successivamente decise che non gli piaceva e non se ne fece nulla».

 

Avevate una visione musicale dell'album prima di scriverlo?

No. Cominciammo nello studio o nella ala prove, dove ognuno di noi suonava qualcosa. Una volta partiti, con la band che si esalta, la cosa cresce da sola. E’ così che è nato "Dark Side"».

 

Le registrazioni? Ci furono contrasti in proposito?

Qualcuno, al momento dell'edizione. Di fatto in "Dark Side" le parole sono essenzialmente di Roger e la musica è mia di Dave Gilmour».

 

Negli anni Settanta l'album è diventato un inno al “fumo".

Non era nelle nostre intenzioni. In America si organizzavano addirittura party all'insegna di "The Dark Side Of the Moon". E Timothy Leary predicava: Bisogna lasciarsi coinvolgere, abbandonarsi". Per quanto mi riguarda, non sono d'accordo. La gente però ha il diritto di fare ciò che più le piace. E noi non ne siamo responsabili.

 

Ci sono ancora cose che bruciano?

No, anche perché sono diventato più vecchio. Roger, all'epoca, era probabilmente più saggio dei suoi trent'anni.

 

I punk aspiravano ad annientare band come i Pink Floyd. Dopo oltre vent'anni, ecco che "The Dark Side Of The Moon" è ancora musica d'ispirazione e le band tornano di moda. Una sorpresa?

«No. La musica esercita una enorme influenza. E non mi riferisco solo a "The Dark Side", ma a quello che ha significato l'avventura musicale di Syd Barret: il suono della chitarra e delle tastiere. La gente, oggi, tende a guardare indietro. Noi invece guardavamo avanti».

 

Nick Mason ha la casa in una squallida viuzza nei pressi di (Caledonian Road. Si entra da una porta blu. Una scala di metallo conduce a uno stanzone simile a un magazzino, suddiviso senza molta cura in vari scomparti. lì visitatore si ritrova davanti a una lucente Ferrari rossa da Formula Uno. Mason, grasso, un pò calvo, con i pantaloni color marrone, non ha certamente l'aria di un ex divo del rock.

 

Durante le registrazioni di “Dark Side" pren­deva droga?

«No. Eravamo sobri e credo che il disco lo rifletta. E un pezzo molto ben costruito. È incredibile: fin dagli esordì venivamo visti come il complesso psichedelico. Ma lo Psychedelic Kid (Syd Barrett) se ne andò dopo nove mesi. Iniziammo come complesso di professionisti solo nel marzo del 1967. E lui già si stava allontanando alla fine di quell'anno».

 

Vi era venuto il sospetto che "The Dark Side" potesse diventare parte della cultura della droga?

Non era stato concepito così. All'inizio degli anni Settanta molti ascoltavano qualsiasi musica in uno stato di altera­zione chimica»

 

L'album è stato realizzato molto rapidamente in confronto agli standard attuali.

«Ci lavorammo in tutto tre mesi".

 

A quanto pare vi sono state delle discussioni sul riconoscimento dei meriti.

Nessuno riscuote abbastanza merito quando si realizza un'opera che ha tanto successo. Ma tutto dipende dal punto di vista degli ascoltatori. Se si pensa che i contenuti abbiano un'importanza decisiva, allora Roger Waters non ha ricevuto tutti i riconoscimenti che gli spettano».

 

Pensa invece di avere ricevuto un giusto riconoscimento per il suo apporto?

Forse sono stato sopravvalutato.

 

David Gilmour ci ha invitati nel suo studio in riva al fiume nella splendida casa galleggiante, Astoria, sul Tamigi a Hampton. Per entrarci, attraversiamo la barca, li 300 metri quadri, costruita da un artigiano nel 1911 per un impresario di musical  Fred Karno  che ospitò, fra gli altri, Charlie Chaplin.

 

Si dice che "The Dark Side" è diventato il simbolo di un'epoca. È d'accordo?

«A me piace anche l'album successivo, poi ci sono stati altri momenti sublimi.

 

Roger Waters lamenta che il resto del gruppo non appoggiasse la sua visione filosofica e politica delle cose.

«Eravamo fortunati ad avere la forza trainante di Roger che ci spingeva verso i contenuti. Non mi pare ci fossero grossi problemi all'epoca. Insieme volevamo a tutti i costi creare dei pezzi magici. Il pezzo strumentale doveva possedere piccoli tocchi di magia ancora prima di farne un tutt'uno con il testo poetico. Poi, anche il testo s'adeguava a quello stato d'animo e ne prolungava l'effetto, oppure era la musica che arricchiva a sua volta il testo. Il conflitto che ne derivava creava qualcosa dì nuovo. Non era sempre così, però. Alla fine di "The Dark Side of the moon" c'erano uno o due momenti dove la forza della poesia era superiore alla musica che la sosteneva».

 

Waters dice che prima lo irritava veder trascurare i propri meriti, adesso ci passa sopra.

«Bugiardo. Proprio non mi va più di af­frontare l'argomento, ma il suo senso di giustizia subisce alti e bassi continui. Waters non è mai stato un vero socialista nel dividere le cose equamente. C'è stato un periodo, molto tempo dopo "The Dark Side of the Moon", in cui sosteneva sia per le tournée che per la vendita dei dischi, l'equità dei profitti per quanto riguardava i membri del gruppo, compreso lo staff e chiunque altro. In realtà ciò non avvenne mai. Poi qualcosa cambiò e lui si buttò dall'altra pane e non ho mai saputo in che misura funzionassero i meriti e le percentuali. E questa è stata sempre una fonte di amarezza e dì liti continue.

 

traduzione di Mario Baccianini

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