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Relazione della professoressa Maria Luisa GIAMPIETRO (responsabile della Delegazione romana del C.L.E.) |
Prima di addentrarmi nel tema della mia relazione, desidero ringraziare a nome mio, dell’intero CLE e del suo presidente, il prof. Rainer Weissengruber, tutti i partecipanti a questo convegno: il preside del liceo “B. Croce” prof. S. Cicatelli che ancora una volta con impagabile cortesia ci ospita e ci onora con la sua presenza, i relatori che si avvicenderanno nel corso di questa giornata, i docenti di questo e degli altri licei che hanno contribuito alla realizzazione del certamen prima e del convegno oggi, la Commissione giudicatrice delle prove di traduzione, le proff. M.G. Iodice (presidente), Giuseppina Gaspari e Giovanna Peroni, gli allievi che hanno partecipato alla gara, nonché quelli che hanno partecipato alle esercitazioni didattiche, i colleghi proff. Daminato, Plataroti e Toscano del comitato organizzativo, e tutto il pubblico qui presente. Un ringraziamento particolare alla Banca di Credito cooperativo di Roma che ha offerto i premi per i tre migliori elaborati del certamen e il dott Fattori per il suo sostegno al CLE.
Come molti di voi già sapranno, questo è il V convegno che la delegazione romana del CLE organizza sulla lingua e la cultura latina, e in particolare è il terzo dedicato agli aspetti del latino della scienza e della tecnica, un campo di studio, per la verità, piuttosto trascurato dai programmi scolastici. Probabilmente retaggio del ruolo secondario tradizionalmente assegnato alla prosa scientifica, eppure, come giustamente e già da tempo sottolineava Della Corte, “il latino è vissuto per tanti secoli e vive ancora come lingua universale, non tanto in grazia ai suoi poeti, ma ai suoi prosatori e non ai migliori, aurei modelli di bello stile, ma agli umili e modesti scrittori di opere utili e indispensabili a chiunque si avventuri nel campo della scienza, dell’erudizione, della storia.” 1)
Sulla base di questa convinzione e con l’auspicio di proporre nuovi contenuti per i curricula di latino nei licei, abbiamo ideato il Certamen romanum, giunto alla sua terza edizione, e il relativo convegno, che negli anni precedenti hanno trattato dell’agricoltura e dell’acqua. Quest’anno, come era stato annunciato già nel convegno dello scorso anno, è la volta della medicina, anzi, per essere più precisi, della “Medicina e cosmesi”, giacché nei testi degli antichi il confine tra indicazioni di tipo medico e cosmetica è molto sottile (è il caso, ad es. dei rimedi per la cura della pelle, dei capelli, dei denti etc.), in quanto gli elementi primari di ogni preparato, sia in medicina che in cosmesi, erano costituiti da sostanze vegetali, minerali e organiche. Tuttavia non dobbiamo dimenticare che la scienza medica antica aveva tracciato, già con Galeno, i confini tra una cosmesi buona (kosmetiké techne)che protegge la bellezza naturale e una cattiva (kommotiké techne) che è innaturale e procura una bellezza falsa come il maquillage o la tintura dei capelli: “Lo scopo dell’arte del trucco è quello di procurare una bellezza acquistata, mentre quello della cosmetica che è parte della medicina, è di conservare nel corpo tutta la sua naturalezza, a cui si accompagna una naturale bellezza.” 2) Su “Medicina e cosmesi”, in particolare nell’opera di Ovidio, ci parlerà successivamente la prof. Iodice; inoltre una delle relazioni quella degli allievi della IV D del Liceo Croce, ci mostrerà la toiletta di una dama romana intenta al maquillage e all’acconciatura dei capelli, l’ornamento forse più caro alla vanità femminile; “plurimam autem temporis partem consumit textura capillorum” ci informa con disappunto lo Pseudo - Luciano (Amores, 38).
Tocca a me dunque il compito di introdurre il tema in generale, non certo con la pretesa di esaurirlo, data la sua vastità e complessità che certo neanche l’intero convegno può esaurire. Per chi voglia approfondire l’argomento segnalo due testi abbastanza recenti: il primo è La medicina dei Greci e dei Romani di Innocenzo Mazzini del 1997 edizioni Jouvence , un volume che fa parte della collana di Guide allo studio della civiltà romana dirette da S. Calderone e S. D’Elia, e la sezione sulla Medicina , curata da S. Sconocchia, che sarà qui con noi nel pomeriggio, all’interno dell’opera Letteratura scientifica e tecnica di Grecia e Roma a cura di I. Mastrorosa e A. Zumbo per i tipi della Carocci.
Dunque mi limiterò a sottoporre alla vostra attenzione alcuni aspetti relativi al tema che mi sembrano particolarmente interessanti e che possono offrire spunti per approfondimenti e ricerche in sede didattica.
Si potrebbe innanzitutto partire dalla storia della medicina, che costituisce un affascinante aspetto della civiltà antica, e della sua letteratura, e mi riferisco ovviamente alla sola medicina greco-latina . Mi limito a ricordarne le origini mitiche: fondatore si dice sia stato Asclepio, nato da una mortale, Coronide, e da Apollo; la giovane, rivelatasi infedele, fu uccisa , ma Apollo volle salvare suo figlio dal ventre della madre (una sorta di parto cesareo ante litteram). Venne poi affidato al centauro Chitone, grande conoscitore di procedimenti terapeutici, che ne curò l’educazione. Sarebbe morto colpito dal fulmine di Zeus perché con la sua arte medica sapeva addirittura resuscitare i morti. Ad Epidauro, nel Peloponneso, venne costruito un santuario capostipite di tutti gli altri del mondo greco-romano. Nei suoi santuari, dove i pazienti accorrevano numerosi, si accumulavano la saggezza e le conoscenze dei sacerdoti e dei raccoglitori di erbe, vi si utilizzavano procedimenti terapeutici non disgiunti da fenomeni di suggestione e di autosuggestione. Di quanto avveniva in questi santuari una divertente testimonianza ce la offre la commedia di Aristofane – Pluto – rappresentata ne 388 a.C. che racconta coma Pluto il dio della ricchezza, cieco, riacquisti la vista grazie ad Asclepio e distribuisca quindi le ricchezze in modo più giusto.
Pare che Asclepio abbia avuto numerosi figli tutti specialisti in questo o quel ramo della medicina: due di questi, Podalirio e Macaone, seguirono l’esercito greco nella spedizione contro Troia. Interessante sarebbe rileggere il poema omerico per cogliervi i riferimenti relativi al nostro tema.
Dobbiamo giungere al V sec. a. C. per trovare una medicina autonoma, laica e razionale; è Ippocrate di Cos il medico a cui si devono la registrazione e classificazione delle malattie, nonché l’elaborazione di teorie generali basate sull’analisi di tali malattie.
Celso, nel proemio al suo De medicina, ci dice che fu discepolo di Democrito e che fu il primo a separare la medicina dalla filosofia: “primus quidem,ex omnibus memoria dignis, ab studio sapientiae disciplinam hanc separavit”. Sotto il suo nome ci sono giunte moltissime opere che costituiscono il cosiddetto corpus ippocraticum. La fortuna di Ippocrate è stata assai grande sia nell’antichità che successivamente: ancora oggi i medici prestano il giuramento da lui fatto, che tranne per alcune modifiche è sostanzialmente quello antico (Potete leggere le due versioni, quella antica e quella moderna, sulla porta d’ingresso di questa sala).
Tralascio la cosiddetta “medicina ellenistica” , termine con il quale si designa il periodo che va dalla fondazione di Alessandria alla nascita di Galeno, e che vede un gran fiorire di sette mediche che poi influenzeranno la medicina trapiantata a Roma. Voglio però ricordare un fatto importantissimo per gli sviluppi della futura medicina: il permesso dato ai medici di sezionare i cadaveri.
E veniamo dunque alla storia della medicina romana che ci interessa più da vicino e che si è soliti dividere in tre periodi . Il primo, caratterizzato da influenze italiche ed etrusche, non conosce, secondo quanto ci narra Plinio ( Nat. Hist.,XXIX), la figura del medico professionista. Della salute della famiglia si occupava il pater familias, che si avvaleva di procedimenti empirico-razionali non privi di elementi di superstizione popolare: tesori di una medicina domestica che si tramandava di padre in figlio e che trovano sistemazione nelle raccolte enciclopediche a partire da quelle di Catone. I perduti Praecepta ad filium erano suddivisi in 4 sezioni (de medicina, de agri cultura, de retorica, de re militari) e dovevano configurarsi, in verità, più come una raccolta di precetti di carattere gnomico tendenti all’enciclopedismo. Ma lo stesso trattato De agri cultura può considerarsi una piccola “ enciclopedia “, dove oltre all’agricoltura, cui è dedicato solo un quarto dell’opera, sono presenti altri campi del sapere tecno-pratico. Interessante quindi rileggere il trattato catoniano sulle tracce delle indicazioni e delle prescrizioni utili per curare uomini e animali disseminate nell’opera. Imparerete come si prepara il vino per smuovere l’intestino (115) o quello che faccia orinare (122), vi troverete rimedi per le coliche e contro i vermi intestinali (126), per la dispepsia e la stranguria (127), apprenderete le proprietà curative del cavolo (156-157) o addirittura formule magiche come l’incantesimo contro la lussazione (160) 3).
Il secondo periodo, cosiddetto di transizione, durante il quale l’elemento indigeno lascia il posto alla penetrazione greca, va dall’arrivo a Roma del primo medico greco Arcagato nel 219 a.C. fino alla metà del I sec. a.C. Continua tuttavia sia la medicina domestica di stampo catoniano sia quella ieratica, praticata dai sacerdoti nei templi e alla quale era stato dato un forte impulso a partire dal 292 a.C. anno in cui era stato costruito sull’isola tiberina il tempio dedicato ad Esculapio, dio della medicina, a cui accorrevano folle di malati (ricordo che ancora oggi l’isola è sede dell’ ospedale “Fatebenefratelli” che sancisce una straordinaria continuità con il passato). I medici che giungono a Roma sono sia uomini liberi, costretti in quanto stranieri ai margini della società, sia schiavi o liberti, a volte disprezzati o irrisi o persino cacciati vuoi per la loro incompetenza vuoi per la loro avidità ( si vedano a questo proposito i capitoli introduttivi del libro XIX della Naturalis Historia di Plinio ); altre volte apprezzati per la loro bravura e umanità , come Antonio Musa, medico personale di Augusto. Della figura del medico, in particolare a Roma nel I sec. d. C. , ci parlerà questo pomeriggio il prof. Sergio Sconocchia, mentre gli allievi della 5G di questo liceo ci illustreranno i giudizi , alcuni positivi altri negativi, di autori latini non medici sulla scienza medica attraverso la lettura di passi tratti dalle loro opere.
Il terzo periodo è quello del fiorire delle scuole sorte sotto l’influsso delle diverse teorie mediche greche.
Ricordiamo la scuola “metodica” fondata da Temisone di Laodicea, che raccoglie l’eredità di Asclepiade di Prusa: le malattie deriverebbero da un eccesso di costrizione o dilatazione delle particelle elementari costituenti l’organismo, che sarebbero separate dai pori. Inizialmente seguì questa scuola anche Antonio Musa, a cui abbiamo fatto cenno prima, e la cui terapia si fondava soprattutto sulla dieta, sul sonno, sull’assunzione equilibrata di bagni, di esercizi fisici. I principi terapeutici di questo medico traspaiono dal modus vivendi di Augusto quale ci è narrato da Suetonio (vita Aug. ,81-83). Della scuola “metodica” fece parte anche Sorano di Efeso che esercitò in Roma sotto Traiano, ritenuto il fondatore della ginecologia e della ostetricia scientifiche. La sua opera più nota, Sulle malattie delle donne, indirizzata alle ostetriche, fu considerato un testo base fino al Rinascimento. Su questa parte della medicina ci parlerà questo pomeriggio la prof. Silvia Bordoni.
L’altra scuola importante che si sviluppa nella I metà del II sec. d.C. è la “pneumatica”; fondata da Ateneo di Attalea, riprende sostanzialmente la dottrina umorale di Ippocrate nella quale introducono lo pneuma, principio generatore di vita. La salute è frutto dell’equilibrio tra lo pneuma e le quattro qualità del freddo, caldo, umido e secco. Ma sulla medicina e il corpo vi parlerà con maggiore competenza e profondità subito dopo di me il prof. Fabio Stok.
Vorrei infine ricordare che nel II sec. d.C. abbiamo l’altro grande e famoso medico dell’antichità, l’autore più citato dalla medicina successiva, tardo-antica e medievale in lingua greca, latina e araba: Galeno che fu medico personale di Marco Aurelio. Dante lo ricorda nel IV canto dell’Inferno insieme ad Ipocràte e Avicenna (v.143). Egli ci presenta un nuovo ideale di medico che è insieme filosofo ed educatore, il cui metodo si fonda sull’esperienza, ma non ignora la teoria, senza seguire pedissequamente il dogmatismo di questa o quella scuola.
Veniamo ora alla letteratura in lingua latina che ci interessa più da vicino: dobbiamo menzionare innanzitutto Aulo Cornelio Celso vissuto al tempo dell’imperatore Tiberio. Seguendo il modello enciclopedico già sperimentato da Catone, di cui abbiamo già detto, e da Varrone (autore dei perduti Disciplinarum libri, uno dei quali dedicato alla medicina), anche Celso scrive una enciclopedia delle artes , di cui il De medicina è l’unica parte sopravvissuta. L’opera si presenta come un compendio di tutta la scienza medica di matrice greco-ellenistica; vi compaiono informazioni specifiche e considerazioni generali, alcune delle quali ancor oggi attuali. Basta leggere ad es. il prologo delVII libro là dove Celso traccia il profilo del perfetto chirurgo: “Il chirurgo bisogna sia giovine, o almeno non tanto in là con gli anni; di mano forte, ferma, che non gli tremi mai, e che si serva bene non men della sinistra che della destra; di vista acuta e netta; coraggioso, pietoso sì, ma in modo da non pensare ad altro che a guarire il suo malato, senza che per le grida di lui sia spinto né a far più presto del dovere, né a tagliar meno del necessario, come se a quei lamenti rimanesse in tutto e per tutto indifferente.” 4) La prosa di Celso, definito il Cicerone dei medici, è secondo Parroni “il miglior esempio di prosa tecnica latina” 5). Già Quintiliano (Inst.,XI,124) definì la sua lingua non sine cultu ac nitore, pur riferendosi alla sua produzione filosofica. E Leopardi in una lettera a P. Giordani del 12 febbraio 1819 scrive: “I miei studi, giacché me ne domandate, sono gli ordinari. Questi ultimi giorni ho voluto leggere la Medicina di Celso che m’è piaciuta assai per quella chiarezza, e sprezzatura elegante, e facilità di esprimer cose difficilissime a dare ad intendere”. 6) Successivamente in un passo dello Zibaldone (2729) del 30 maggio 1823 definisce Celso “vero e forse unico modello del bello stile scientifico-esatto” e aggiunge “Col quale si potrà forse mettere Ippocrate”. 7)
Certo è che Celso ha dovuto affrontare e risolvere un problema non da poco: la trasposizione della cultura medica dalla lingua greca a quella latina; come afferma Sconocchia, “tra i primi ha posto le basi di uno strumento duttile e policromo, la prosa scientifica latina”. 8)
Di poco successivo a Celso è il già citato Plinio il vecchio con la cui Naturalis Historia si raggiunge l’apogeo dell’enciclopedismo. Si occupano di medicina i libri dal 20 al 32;” si tratta di una mole immensa di annotazioni, ricette, prescrizioni, medicamenti semplici e composti, ecc, insomma un misto di medicina scientifica e popolare, un cumulo di informazioni, non sempre ordinate secondo una logica espositiva consolidata, non sempre coerenti nemmeno con lo schema enunciato, un continuo sovrapporsi di digressioni dal tema principale” secondo Mazzini. 9) Tuttavia la fortuna di Plinio medico è stata grande sia nella tarda antichità che nel basso Medioevo, spesso fonte per antologie di carattere essenzialmente farmacologico e di grande diffusione , quali ad es. le Medicinae di Gargilio Marziale, il Liber medicinalis di Sereno Sammonico, l’Herbarius dello pseudo Apuleio, ecc. E proprio a Plinio si deve un profilo di storia della medicina che, dopo aver rapidamente illustrato l’esperienza fondamentale di Ippocrate e di altri medici e scuole greche, si sofferma sullo sviluppo dell’arte medica a Roma grazie all’arrivo dei medici greci nei confronti dei quali Plinio ricalca le posizioni misoelleniche di Catone: “ Discunt periculis nostris, et experimentis per mortes agunt: medicoque tamen hominem occidisse impunitas summa est.”(29,18) (“Apprendono l’arte a nostro rischio e pericolo e fanno esperienza attraverso la morte dei pazienti; è suprema impunità solo per un medico aver ucciso un uomo)” 10)
Un’ altra tipologia testuale, oltre quella enciclopedica, che la medicina utilizza è quella del trattatazione manualistica più o meno direttamente derivata dai testi greci. Il più antico di questi manuali che noi conosciamo è quello di Scribonio Largo, la cui opera Compositiones, contenente 271 ricette, è dedicata a Giulio Callisto, liberto dell’imperatore Claudio: primo trattato di farmacologia da cui, tra l’altro, è stato tratto il passo oggetto della prova del Certamen romanum di quest’anno.
L’interesse per questo autore si è riacceso in anni abbastanza recenti a seguito dell’edizione critica fondata sulla base di un manoscritto (il Toletano) scoperto proprio dal prof. Sconocchia a cui si deve l’edizione critica (Teubner, 1983). Oltre alla fortuna che le Compositiones avranno nei secoli successivi fino ad epoche abbastanza recenti sia direttamente che indirettamente (si pensi ai vari Ricettari – dotaria – in uso nei Monasteri), il testo di Scribonio è importante anche dal punto di vista linguistico. Il latino di Scribonio presenta caratteri latino-greci e volgari ed è documento utile per lo studio dell’evolversi della lingua e naturalmente del linguaggio specifico della medicina. Infine l’epistola dedicatoria evidenzia una concezione filantropica della medicina e una deontologia sorprendentemente moderna. Curare e alleviare le sofferenze del malato è compito proprio dei medici che fanno questo spinti non da sete di denaro o di gloria (ducti pecuniae aut gloriae cupiditate) quanto piuttosto dalla conoscenza della stessa medicina (ipsius artis scientia) (Epist., 11).
Tacerò degli altri scrittori e delle altre opere successive: lungo sarebbe l’elenco e risulterebbe noioso e anche inutile. La letteratura medica in lingua latina ha vita lunga arrivando fino alla metà del ‘700. Citerò solo il Regimen sanitatis, il testo più noto e diffuso della Scuola medica salernitana, scuola che tra alti e bassi ha funzionato per circa mille anni dall’alto Medioevo al 1811 quando fu soppressa da Gioacchino Murat. Su questo argomento ci intratterranno gli allievi della 5C di questo liceo.