Il teatro nel De architectura di Vitruvio

 

LIBRO QUINTO

 

Paragrafi 1 - 9

 

(tratto da Vitruvio, Architettura, libro V, paragrafi 1 -10, nella traduzione di Silvio Ferri), Bur 2002

 

Prefazione . 1 - Quegli scrittori, o Augusto, i quali svolsero in più ampi volumi le meditazioni e i dettami dell’ingegno conseguirono ai loro scritti grande e famosa autorità. Vorrei anch’io che l’argomento dei nostri studi permettesse, con una maggiore amplificazione, una maggiore autorità, ma ciò non è agevole, come si potrebbe credere; infatti, non si scrive di architettura come di storia o di poemi epici. Le storie attraggono di per sé i lettori perché tengono sempre l’immaginazione sospesa verso cose nuove; e d’altra parte i metri e i piedi dei poemi, e l’elegante disposizione delle parole, e il dialogo tra diversi personaggi sono tutte cose che dilettando e allettando conducono la mente dei lettori, senza alcuna scossa, fino al termine dell’opera.

2 - Ma questo non può verificarsi nei trattati di architettura, perché i vocaboli tecnici, nati per la stretta necessità dell’arte, colla loro astruseria, danno oscurità al testo. Essendo quindi la materia trattata di per sé stessa difficile, e i suoi nomi inconsueti, accadrebbe che se i testi, anziché restringersi ed esprimersi in brevi e chiare sentenze, divagassero e si diffondessero per lungo e per largo, la mente dei lettori risulterebbe confusa Per il soverchio affollamento delle parole. Pertanto esporrò brevemente il mio assunto, continuando ad adoperare gli oscuri vocaboli tecnici, e le misurazioni proporzionali dei membri degli edifici, affinché siano imparate a memoria: così, meglio e più presto, potranno riceverle i lettori.

3 - Tanto più che vedo la città profondamente occupata in pubblici e privati affari; anche lo scriver poco permette a chi ha poco tempo libero di apprendere in breve.

E anche Pitagora e i suoi seguaci scrissero i lor precetti nei lor volumi secondo un sistema cubico, e costruirono un cubo di 216 versi e stabilirono che non se ne doveva trovar più di tre (di questi cubi) in un solo trattato.

4 - Ma il cubo è un solido equilatero a superfici piane eguali. Una volta gettato, sta fermo, purché non lo si tocchi, sulla qualsiasi faccia di posa: come i dadi che i giuocatori buttan sul tavolo. E pare che prendessero la similitudine proprio da questa proprietà: che quel dato numero «cubico» di versi, in qualunque mente cada, ivi resti nella memoria, stabile come un cubo. Anche i poeti comici greci inframmezzando i cantica corali divisero la trama della favola; e così, dividendo l’azione in ragione cubica, sollevano il dialogo degli attori cogli intervalli.

5 - Pertanto, seguendo il naturale esempio dei nostri maggiori, e ben sapendo che devo scriver cose inusitate e oscure per molti, ho deciso di scriver volumi brevi, onde siano più accessibili al senso dei lettori e alla loro intelligenza. E ho stabilito l’ordine della materia in modo che chi cerca non debba radunar quinci e quindi le varie nozioni separatamente, ma trovi le spiegazioni argomento per argomento tutte insieme in singoli volumi. Così, o Cesare, nel terzo e quarto volume trattai delle ragioni dei templi, in questo libro sbrigherò le disposizioni dei luoghi pubblici.

E in primo luogo dirò come bisogna stabilire il foro, dove si amministrano dai magistrati le ragioni delle cose pubbliche e delle private.

 

I. - I Greci sogliono stabilire i fori su pianta quadrata e li adornano di fitti colonnati con epistili marmorei o lapidei e sovra vi fanno un piano di passeggiata su travatura. Invece nelle nostre città italiche non si può far lo stesso, perché c’è la tradizione d’antico di dar spettacoli gladiatori nel foro.

2 - Pertanto, attorno, ai loggiati si distribuiscano intercolumni più larghi, e torno torno sotto i portici si collochino le botteghe dei banchieri, e sul piano superiore terrazzini, disposti, quelle e questi, con criterio per il buon uso e per facilitare le pubbliche contribuzioni.

Le dimensioni siano proporzionali agli abitanti, affinché l’area non risulti troppo piccola oppur troppo grande per poca popolazione. Si definisca la larghezza in modo che si utilizzino due parti delle tre della lunghezza. Così la forma del foro sarà oblunga, e la sua disposizione sarà utile allo scopo degli spettacoli.

3 - Le colonne dell’ordine superiore son da stabilirsi più piccole di 1/4 di quelle dell’ordine inferiore; e la ragione è perché quelle in basso debbono essere più robuste per il carico cui son sottoposte; e poi anche perché bisogna imitare la natura di ciò che nasce dal terreno, come gli alberi lisci e rotondi - abeti, cipressi, pini -, i quali non ingrossano dalla radice in su (Fl.), ma, al contrario, hanno i fusti restringentisi in alto per naturale rastremazione uniformemente fino alla cima. Pertanto, se la natura degli alberi così comporta, giustamente è stabilito che le parti di sopra siano, in larghezza e grossezza, più ristrette delle inferiori (B).

4 - Le basiliche bisogna porle attigue e congiunte al foro nelle parti più calde, onde permettere ai negoziatori di accedervi d’inverno senza timore del cattivo tempo. La loro larghezza non sia meno della terza parte della lunghezza né più della metà di essa, a meno che la natura del luogo lo impedisca e costringa a mutare le misure. Se poi il luogo eccede in lunghezza, si costruisca al margine estremo un calcidico, come nella Julia Aquiliana.

5 - Le colonne della basilica sembra che si debbano fare tanto alte quanto sono larghi i portici; il portico poi non ecceda la terza parte dello spazio intermedio libero. Le colonne superiori siano più piccole delle inferiori, secondo quanto è stato detto sopra. Il pluteo, o parapetto, fra le colonne superiori e inferiori sembra che debba essere minore - meno alto, cioè - delle colonne superiori di 1/4; in modo che quelli che passeggiano sopra il pavimento a travi non siano visti dai negoziatori in basso. Gli epistili, i fregi, le cornici si calcolino dalle misure delle colonne, come è detto nel terzo libro ...

 

II. - L’Erario, o Tesoro, il Carcere e la Curia debbono esser attigui al Foro, ma in modo che la loro grandezza e loro misure siano al Foro proporzionale. E specialmente la Curia deve esser fatta in modo degno dell’importanza della città e dei suoi abitanti. E se sarà su pianta quadrata, abbia l’altezza di un lato e mezzo; e se rettangolare si sommino lunghezza e larghezza, e l’altezza da terra al soffitto di lacunari sarà la metà della somma.

2 - Inoltre, i muri all’interno devono esser cinti a mezz’altezza da una cornice di legno o di stucco, altrimenti la voce di chi parla, perdendosi in alto, non potrebbe esser percepita dagli ascoltatori. Le cornici invece trattengono la voce dal basso in su, e gli orecchi la capteranno prima che si perda.

 

III. - Costruito il Foro bisogna scegliere un luogo saluberrimo per il teatro, destinato agli spettacoli di giuochi nelle feste religiose; ho già parlato della salubrità per la fondazione delle mura nel primo libro. Infatti, durante i giochi, gli spettatori, sedendo colle coniugi e con i figli, tutti presi dal piacere dello spettacolo, stanno immobili colle vene e muscoli rilassati, sicché nei pori del corpo si insinua l’aria infetta dai miasmi delle paludi e da altri luoghi malsani. Difetti, questi, che potranno evitarsi, se si sceglierà con cura il posto per il teatro.

2 - E anche bisogna provvedere che il luogo non soffra da mezzogiorno; infatti, se il calore del sole riempie la cavità del teatro, l’aria conclusa dallo spazio curvo e che non può muoversi, girando su se stessa, ribolle, e bruciando cuoce e indebolisce gli umori del corpo. Bisogna quindi aver gran cura nella scelta del luogo adatto.

3 - Il problema dei fondamenti del teatro è semplificato nelle regioni montane; ma se sia da costruire in piano o in zona paludosa, bisognerà fare consolidamenti e sottofondazioni, come è scritto nel terzo libro sulle fondazioni dei templi; e sopra le fondamenta si debbono fare in muratura le gradinate in pietra o marmo.

4 - Le praecinctiones debbono essere alte in proporzione all’altezza del teatro, e in ogni caso non più alte della loro larghezza, o degli itinera. Se le cinture fossero infatti più alte, respingerebbero e allontanerebbero la voce dai gradini superiori, sicché gli spettatori seduti sopra la precinzione non potrebbero percepire chiaramente le varie inflessioni delle parole. Bisogna, insomma, badare che una corda tirata dal gradino infimo al più alto tocchi tutti gli spigoli e tutte le estremità dei gradini stessi; così la voce non sarà impedita.

5 - E bisognerà anche disporre molte entrate e spaziose, e che quelle più alte non s’incontrino colle inferiori; e bisogna farle tutte dirette e continue senza gomiti o svolte, in modo che il pubblico uscendo non si pressi, ma possa andarsene liberamente da ogni parte con uscite indipendenti.

E bisogna anche diligentemente osservare che il luogo non sia sordo, e che la voce, al contrario, vi si propaghi quanto meglio possibile; questo scopo si raggiungerà se si scelga un luogo sonoro di natura sua.

6 - Giacché la voce è fiato d’aria che si muove, sensibile all’udito per urto. Essa si propaga per infiniti anelli concentrici, come quando nell’acqua ferma, gettata una pietra, nascono innumerevoli anelli che si ingrandiscono continuamente dal centro finché possibile, se la ristrettezza del luogo o qualche altro ostacolo non impedisca che quelle piccole onde si estinguano naturalmente. Pertanto, quando siano fermate da qualche corpo, accade che le onde più lontane tornando indietro disturbino e sconvolgano i contorni delle seguenti.

7 - Col medesimo principio la voce si muove in circoli o sfere concentriche; infatti, mentre nell’acqua gli anelli nascono un dall’altro orizzontalmente, la voce progredisce in larghezza, ma sale anche contemporaneamente e gradatamente in altezza. Pertanto, come nei circoli dell’acqua, così per la voce, se nessun corpo urti e impedisca la prima onda, questa non disturberà la seconda e le seguenti, e tutte, senza echi o disturbi di risonanza, giungeranno agli orecchi degli spettatori bassi e alti. Perciò gli antichi architetti, tenendo presenti le naturali proprietà della propagazione della voce, perfezionarono, sulla base di un regolare calcolo matematico e musico, che qualunque voce si pronunziasse sulla scena, arrivasse più chiara e soave agli orecchi degli spettatori. E così, come gli organi, costruiti in lamine bronzee o di corno, sono perfezionati fino alla chiarezza degli strumenti a corda, così gli antichi costituirono una teoria armonica della costruzione dei teatri onde accrescere gli effetti di voce.

 

IV. - L’armonica è una teoria musicale difficile e oscura, specialmente per chi non conosca il greco, in quanto bisogna adoperar parole greche per esporla, mancando i corrispondenti vocaboli latini. Cercherò pertanto di interpretarla il meglio possibile dalle scritture di Aristoxenos, e in fin di libro trascriverò il suo diagramma, e il quadro dei suoni coi loro valori, in modo che chi faccia attenzione possa capire più agevolmente.

2 - La voce, dunque, attraverso le sue mutazioni, ora diventa acuta, ora grave; e le sue mutazioni sono di duplice carattere, continuo e intervallato. La voce continua né si ferma agli intervalli, né altrove; passa da nota a nota impercettibilmente, e solo si sente il centro del tono, come quando diciamo parlando «sol, lux, flos, vox», e non si sente dunque né dove incomincia né dove finisce; si percepisce soltanto che la voce da acuta è diventata grave e da grave acuta. La voce intervallata procede al contrario; giacché, variando, essa si ferma via via nei limiti di una serie di suoni, e, facendo spesso avanti e indietro, viene percepita legata ed armonica; come succede nel canto quando, cambiando la voce, moduliamo i vari toni. Pertanto la voce appare distinta negli intervalli da nota a nota, e al principio e alla fine del pezzo musicale; invece il tratto di voce che sta in mezzo viene oscurato e coperto dagli intervalli.

3 - I generi di canto musicale sono tre: il primo è quello che i Greci chiamano harmonìa, il secondo chròma, il terzo diàtonon. Quella della harmonìa è una modulazione arrstica, e il canto assume grandiosità grave ed eletta. Il chròma per la raffinata virtuosità e frequenza di modulazioni provoca più soave diletto. Il diàtonon, in quanto è un sistema o scala naturale, ha più facile la serie degli intervalli. A seconda dei tre generi, son differenti le disposizioni dei tetracordi poiché la harmonìa ha due toni e due diesis (diesis è la quarta parte di un tono; un semitono ha quindi due diesis); nel chròma due semitoni di seguito e al terzo posto un intervallo di tre semitoni; il diàtonon ha due toni continuati e un semitono conclude la scala del tetracordo.

Pertanto in tutti e tre i generi i tetracordi hanno egualmente due toni e mezzo; ma, considerandone la disposizione relativa, troviamo una differente distribuzione di intervalli.

4 - Pertanto gli intervalli dei toni e semitoni e delle diesis nei tetracordi provvide già in origine la natura a determinarli nella voce, nella loro estensione, limiti, e quantità; di essi, con misure fisse intervallate, fissò quelle qualità, che i fabbricanti di strumenti musicali trasferiscono, all’uso pratico, negli strumenti stessi, raggiungendo i voluti scopi di perfetta armonia ...

V. 6 - Queste cose chi voglia studiarle a fondo guardi in fin di libro il diagramma musicale che Aristoxenos con grande vivacità di intelligenza ci lasciò colle varie modulazioni raggruppate secondo i generi. Seguendo attentamente questo grafico, il costruttore di teatri potrà raggiungere facilmente la perfezione e riguardo alle leggi naturali della voce, e riguardo al diletto degli uditori.

7 - Dirà forse qualcuno che molti teatri vengono ogni anno costruiti a Roma, senza alcuna osservanza di queste leggi musicali; ed è vero, ma erra su questo punto, che tutti i pubblici teatri di legno hanno molti piani di tavolati che necessariamente di loro natura risuonano. E questo si può capire anche dai citaredi, i quali, quando alzano il tono, si volgono verso le porte della scena, e trovano in esse un aiuto alla consonanza della voce. Quando invece i teatri sono fatti di materiale solido, ossia in muratura, o in pietra, o marmo, che di loro natura non risuonano. allora bisogna applicare il sistema dei risuonatori di bronzo.

8 - Se poi ci si domanda in qual teatro queste norme siano state applicate, a Roma non ne abbiamo nessuno da mostrare, bensì ve ne sono nelle varie regioni d’Italia, e in molte città greche. E abbiamo anche la testimonianza indiretta di Lucio Mummio, che, distrutto il teatro di Corinto, portò a Roma quei vasi-risuonatori bronzei, e li dedicò come decima della preda nel tempio di Luna. E molti valenti architetti, che costruirono teatri in piccole città, ottennero effetti eccellenti usando, per risparmio e come surrogati, dei vasi fittili scelti a quest’uso e disposti col dovuto criterio.

 

VI. - La conformazione del teatro deve farsi così che, quanto grande sarà per essere il perimetro sul terreno, se ne stabilisca il centro, e si conduca una circonferenza; nella quale si inscrivano quattro triangoli equilateri che toccheranno coi vertici la circonferenza stessa a distanze eguali. La stessa disposizione la adoperano gli astrologi nella rappresentazione dei dodici segni dello zodiaco teorizzando sulla concordanza musicale degli astri. Si consideri quello dei triangoli il cui lato sarà più vicino e parallelo alla scena: là dove esso lato tocca la circonferenza, quivi sia il limite del fronte della scena. Si tiri poi una parallela a questo lato attraverso il centro della circonferenza; questa linea separerà il pulpitum del proscenio e la regione dell’orchestra.

2 - Così il pulpitum sarà più largo che nei teatri greci, perché, da noi, tutti gli artisti agiscono sulla scena, e nell’orchestra invece sono disposti i sedili per i senatori. E l’altezza del pulpitum sia non più di cinque piedi, in modo che coloro i quali siedono nell’orchestra possano vedere tutti i gesti degli attori. I cunei della cavea vengano divisi in modo che a ciascun vertice dei triangoli inscritti nella circonferenza massima corrispondano le salite e le scale fino alla prima cinta o praecinctio; sopra invece, a passaggi alterni, i cunei superiori occupino l’asse centrale.

3 - Quei vertici che dirigono le scalinate in basso saranno perciò sette; i cinque restanti appartengono alla scena, e quel di mezzo corrisponde alla porta regia, quelli a destra e sinistra designano il posto delle porte laterali, o porte degli ospiti, gli ultimi due guarderanno la linea delle «versurae». Le gradinate degli spettatori, dove son gli sgabelli, non siano più basse di un piede e un palmo, né più alte di un piede e sei dita; la loro larghezza si stabilisca di non più di due piedi e mezzo e non meno di due piedi.

4 - Il tetto del portico in cima alla scalinata appaia a livello coll’altezza della scena, poiché così la voce, irradiandosi, arriverà contemporaneamente e in egual misura in ambedue i luoghi. Infatti se l’altezza non sarà eguale, la voce, arrivando prima dove l’altezza è minore, si dileguerà portata via.

5 - Fissato il diametro dell’orchestra al gradino più basso, se ne prenda la sesta pane, e ai corni di qua e di là si dispongano gli ingressi su queste misure, tagliando perpendicolarmente i gradini più interni; dove è stato fatto il taglio, all’altezza del taglio, si pongano i sopralimitari, o sopraccigli, degli aditi, le cui volte, così, avranno sufficiente altezza.

6 - La lunghezza della scena deve essere doppia rispetto al diametro dell’orchestra. L’altezza del podio, compresa la cornice e la gola – o lysis –, sarà la dodicesima parte del diametro dell’orchestra. Sopra il podio le colonne, compresi i capitelli e le basi, saranno alte la quarta parte dello stesso diametro; trabeazione e ornamenti la quinta parte dell’altezza delle colonne stesse. Il pluteo, o parapetto di sopra (cioè del secondo ordine di colonne), con l’onda - o zoccolo - e cornice, la metà del pluteo inferiore. Sopra il pluteo dell’ordine mediano le colonne siano minori di quelle inferiori di una quarta parte; trabeazione e ornamenti siano la quinta parte (dell’altezza) delle colonne. Se poi ci sarà una terza epìskenos, o ordine di colonne, il pluteo sarà la metà del pluteo mediano; le colonne meno alte di una quarta parte di quelle mediane; la trabeazione colle cornici avrà la quinta parte dell’altezza di queste colonne.

7 - Ben s’intende però che queste regole simmetriche non valgono per tutti i teatri; ma occorre che l’architetto giudichi con quali proporzioni applicare le commisurazioni e adattarvi la natura del luogo o la grandezza dell’edificio. Vi sono infatti cose che, dato il loro uso, bisogna far di una stessa dimensione tanto in un piccolo che in un grande teatro, come i gradini; ma per i diazomata o precinzioni o cinte, i plutei, le vie di accesso, le salite, i pulpita, le tribune o palchi, e altri elementi se capitano, in cui la necessità costringe ad abbandonare la simmetria per non distruggere l’uso, e così pure se, verificandosi scarsità del materiale, come marmo legno o altro, le scorte vengano a mancare: in tutti questi casi non sarà proibito aumentare o diminuire un poco le misure, purché ciò non sia fatto avventatamente, ma con avvedutezza: vale a dire quando l’architetto sarà pratico del mestiere e d’ingegno versatile e pronto.

8 - Le scene poi sono così sistemate in modo che le porte di mezzo abbiano l’ornato regio, quelle di destra e quelle di sinistra siano invece destinate agli ospiti estranei - e perciò son dette hospitalia o xenokomèia - e in corrispondenza alle porte vi siano dei luoghi con ornamenti adeguati, luoghi che i Greci chiamano perìaktoi, dal fatto che quivi sono macchine a prisma triangolare e girevoli, ciascuna con tre facce decorate diversamente, le quali macchine quando avvengano le catastrofi o peripezie nelle tragedie, o l’intervento degli dei, con tuoni repentini girano e presentano un’altra faccia con decorazione diversa. Lungo questi luoghi vi sono angoli, o spigoli, che sporgono in fuori e formano l’ingresso alla scena, una dal foro, e l’altra dall’esterno della città.

9 - Tre sono i generi delle scene; uno, che è detto tragico, l’altro comico, il terzo satirico. I loro ornamenti sono diversi e diversamente distribuiti, poiché nella scena tragica si concretano colonne e fastigi e statue e altre cose regali; nella comica appaiono aspetti di edifici privati e di ballatoi e avancorpi disposti a mo’ di finestre, ma sempre come edifici comuni; invece nella satirica sono figurati alberi, spelonche, monti, e altre scene agresti a mo’ di paesaggio travisato.

 

VII. - Nei teatri dei Greci non tutto è da farsi colle stesse norme, perché, in primo luogo, mentre nel teatro latino sono inscritti 4 triangoli nella circonferenza base, in questo la stessa circonferenza è toccata dagli spigoli di tre quadrati; e il lato del quadrato che taglia la circonferenza più vicino alla scena, in quel punto designa i limiti del proscenio. Da questo luogo si traccia una parallela e si prolunga fino a toccare la circonferenza esterna, e questa segna il fronte della scena; si traccia poi un’altra parallela dal proscenio sul centro della circonferenza, che è anche il centro dell’orchestra, e si prolunga fino a tagliare la circonferenza interna, ai corni dell’emiciclo, a destra e a sinistra. Quivi fatto centro al destro corno si traccia una circonferenza dall’intervallo sinistro fino alla parte sinistra del proscenio; e analogamente facendo centro al coma sinistro si traccia un arco dall’intervallo destro alla parte destra del proscenio.

2 - Su questi tre centri è costruita la pianta del teatro greco, che ha così un’orchestra più grande, e una scena più arretrata, e un pulpitum, o palcoscenico, di minor larghezza; questo pulpitum lo chiamano loghèion perché in Grecia gli attori tragici e comici agiscono sulla scena, ma altri artisti operano nell’orchestra: onde i due nomi distinti di scenici e thymelici. L’altezza di esso deve esser di non meno di dieci piedi non più di dodici. Le gradinate delle scale fra cunei e seggi siano dirette contro gli angoli dei quadrati fino alla prima precinzione, di lì in su si pongano in mezzo in modo che a ogni precinzione si raddoppia il numero delle scalinate.

 

VIII. - Ora che tutto è stato spiegato con cura meticolosa, bisogna anche diligentemente aver attenzione a scegliere una località dove la voce arrivi dolcemente, e non rimbalzi indietro tumultuosamente confondendo i suoni agli orecchi. Vi sono infatti alcune località che di natura loro impediscono i movimenti dei suoni: per esempio, i luoghi «dissonanti» in greco katechùntes, «circumsonanti» o periechùntes, «resonanti» o antechùntes, «consonanti» o sunechùntes. Sono dissonanti quelli in cui la voce, appena pronunziata, alzandosi, urta in un corpo solido sito in alto e, rimbalzando indietro, torna in basso e opprime la salita della seconda voce (B);

2 - circumsonanti quei luoghi nei quali la voce, vagando attorno come costretta, si dissolve e fa sentire soltanto il centro della parola perdendo le sillabe finali, onde il significato della parola resta incerto; resonanti, nei quali la voce percotendo un solido rimbalza creando echi e raddoppiando le ultime sillabe; consonanti, quando la voce, aiutata dal basso, cresce in intensità salendo e arriva agli orecchi con eloquente chiarezza. Pertanto, se nella scelta dei luoghi vi sarà prudente attenzione, l’effetto della voce nei teatri risulterà migliore e meglio utilizzato. E i disegni delle piante si riconosceranno a questo particolare: che i teatri disegnati su quadrati sono secondo l’uso greco; i latini su triangoli equilateri. E chi seguirà queste prescrizioni costruirà teatri perfetti.

 

IX. - Dietro la scena si costruiscono dei portici che possano servire di riparo al popolo quando qualche acquazzone interrompa lo spettacolo; servono anche ai registi per i vari preparativi. Così sono i Portici di Pompeo, e ad Atene il Portico di Eumene, e il tempio di Padre Libero, e a sinistra dell’uscita del teatro l’Odeon, che Temistocle, su colonne di pietra, coprì con le antenne e gli alberi delle navi persiane catturate - Odeon poi bruciato nella guerra mitridatica e ricostruito da Ariobarzane. Ancora, a Smirne lo Stratonikeion; a Tralles dall’una e dall’altra parte della scena sopra lo stadio; e in tutte le altre città, le quali ebbero architetti intelligenti, vi sono portici e ambulacri intorno ai teatri.

2 - Tutti questi portici debbono essere doppi, e aver all’esterno colonne doriche con gli epistili e gli ornamenti prescritti e proporzionati. La larghezza poi tra fila e fila di colonne sia misurata sull’altezza delle colonne esterne nel senso che quanto sono alte esse tanta sia la distanza tra la fila delle colonne estreme (esterne) e quella mediana; nonché tra questa e la parete terminale. Però le colonne mediane devono essere un quinto più alte delle esterne, e appartenere all’ordine ionico o corinzio.

3 - Le proporzioni poi di queste colonne non possono essere le stesse che per i templi; nei quali esse debbono avere una gravità assai diversa dalla sveltezza richiesta nei portici e altre strutture del genere ...

 

X. - … ora seguiranno le dimostrazioni sulla disposizione delle terme. Anzitutto scegliere un luogo caldo al più possibile, cioè riparato da tramontana. I calidari poi e i tepidari prendano luce dall’occidente invernale, e se la natura del luogo lo impedisca, almeno da mezzogiorno. Giacché per lo più il tempo del bagno è fissato da mezzogiorno a sera. E anche bisogna attendere che i calidari per uomini e per donne siano attigui e collocati nelle stesse regioni onde siano comuni ad ambedue le vasche e il riscaldamento. Le caldaie sopra la hypokausis, o focolare sotterraneo, devono essere tre: calidario tepidario frigidario; disposte in modo che quanta acqua calda esca dal tepidario nel calidario, altrettanta ne entri (di fredda) dal frigidario al tepidario, e le volte degli alveoli (di questi tre vasi) siano riscaldate dal focolare comune.

2 - Le «suspensurae» dei calidari devono essere costruite cosicché anzitutto il suolo sia coperto da mattoni di un piede e mezzo e inclinato verso il focolare, sicché una palla gettata là non possa star ferma ma rotoli di per sé alla bocca del forno; così la fiamma circolerà meglio nell’intercapedine. E si costruiscano pilastrini con mattoni di otto once disposti in modo da poter sostenere mattoni quadrati di due piedi, e siano fatti di argilla impastata con peli, e sopra si pongano i bipedali che sosterranno il pavimento (mosaico).


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