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Riflessioni
sulla rappresentazione dellopera Outis di Luciano Berio
al Teatro alla Scala (ottobre 1996)
Outis
si è proposto ai nostri occhi, in quellottobre di qualche
anno fa, come la rappresentazione, la teatralizzazione, per
così dire, dellimmaginario collettivo delluomo occidentale
di un XX secolo che ormai si è consumato.
E un vortice di idee, immagini, paure, manie, ossessioni, figure,
che appartengono a ciascuno di noi.
In Outis non cè storia.
La
trama è stata disintegrata, polverizzata, proseguendo fino agli
esiti estremi su una strada che qualcuno di nome Svevo o Pirandello volle
spianare, allinizio del secolo che ci siamo da poco lasciati alle
spalle, in letteratura, lasciando delle tracce su cui altri potessero
porsi: un discorso aperto da proseguire.
Luciano Berio svuota e libera sul palcoscenico la coscienza (e linconscio)
dellOccidente, che si materializza in un caleidoscopio vorticante,
una concentrazione straordinaria di teatralità.
Nella struttura a pannelli di Outis, ogni scena si apre, non a caso, con
levento con cui solitamente, nella narrativa tradizionale
occidentale, noi vediamo chiudersi un racconto: la morte del protagonista,
che posta invece allinizio schiaccia lo svolgimento ed elimina la
conclusione, aprendo questi spazi ad altro.
Berio
dunque non racconta, ma allinea oggetti teatrali di fronte a noi, che
non abbiamo una trama da seguire ma veniamo coinvolti, attirati entro
i confini dello spettacolo.
Questo perché tutti possiamo riconoscerci in Outis, anche solo
per un piccolissimo frammento di ciò che vediamo.
Ecco allora la Grecia antica, le nostre radici, il nostro più remoto
passato.
Ecco Outis, che è sì Ulisse, uno dei nostri mitici padri,
ma è anche Nessuno. Nessuno è il protagonista di Outis.
Questo consente a ciascuno di noi di pensare ad un protagonista e di costruire
la trama, posto che noi lo si voglia fare.
Infatti potremmo anche decidere di fruire di questo spettacolo così
come è stato concepito, come serie di quadri che ci propongono
frammenti della nostra coscienza.
In
questo senso Outis è più interattivo dei giochi interattivi,
è un gioco interattivo al quadrato, poiché lascia
a noi persino di decidere se giocarlo o no. Però se
lo lasciamo inattivo non rimane privo di senso, dato che il suo senso,
mi si permetta il gioco di parole, può essere il non-senso.
Ecco la favola, il gioco, il fantastico-grottesco, così profondamente
scandagliati da Freud.
Ecco il viaggio, lavventura, il mare, che poi sono ancora Ulisse.
Ecco la guerra, la morte, la distruzione, sfondo contro cui si staglia
lincomprensione infantile.
E poi, forse soprattutto, la parola. Greca, latina, inglese, tedesca,
antica e nuova, misteriosa e muta, eloquente e dispiegata, compatta e
frammentaria
ma sempre universale e musicale.
La
dimensione eterna delluomo, con i suoi dubbi e le sue paure, (Non
ti ho conosciuto mai, detto milioni di volte alla madre, al figlio,
allamante
), e la dimensione presente e contingente di un 900
frenetico e inquietante per noi, che ne siamo stati gli stessi attori,
si sovrappongono e si intrecciano. Perché noi siamo fatti del passato
e dellora, di eternità e di contingenza ardente.
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