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Impressioni
sulla mostra al PAC del marzo 2003
Non
ho la pretesa di scrivere un commento critico alla mostra di Chen Zhen
che in questi giorni è possibile vedere al PAC di Milano.
Le mie sono solo delle riflessioni e delle considerazioni personali, perché
le opere di questo artista cinese mi hanno veramente molto colpito e la
visita alla mostra si è rivelata unesperienza rara, per intensità
e godimento estetico ed intellettuale.
Il
lavoro di Chen Zhen, lo si avverte sin dal primo contatto con le sue opere
esposte al PAC, può vantare entrambe le peculiarità del
lavoro di ogni grandissimo protagonista dellarte, ossia: da una
parte, uno straordinario impatto visivo e una superiore finezza estetica,
dallaltra, una grande densità concettuale, che poi significa
consapevolezza del reale, legame profondo dellartista con il reale.
Dal
punto di vista di ciò che si vede, è evidente il riferimento
forte alla cultura orientale e cinese, nella scelta dei colori come dei
materiali, e naturalmente nel ricorrere degli ideogrammi (elemento, questultimo,
con il quale già ci spostiamo sul piano dei contenuti, che esaminerò
successivamente): il rosso e il nero, il legno, le vernici scure e lucide,
i pigmenti puri di colore che si usano nellarte calligrafica cinese,
lacqua e la vegetazione, che a loro volta rimandano allidea
del giardino Zen (e infatti una delle opere, Zen Garden, del 2000, rappresenta
proprio un giardino Zen in miniatura, un progetto che lartista aveva
fra laltro pensato per una realizzazione in Toscana).
Ma sempre dal punto di vista della percezione visiva, si notano molte
altre cose interessanti e coinvolgenti: la vivacità cromatica di
diversi lavori, spesso associata allutilizzo delle cere colorate
delle candele (ad esempio Human Tower, del 1999, o Beyond the Vulnerability,
del 1999/2000), la delicatezza e/o impalpabilità di alcuni materiali,
come il vetro di Crystal Landscape of Inner Body (2000), o la carta velina
di Prayer Wheel (un altro materiale ricorrente nella cultura millenaria
dello scrivere e del leggere in Cina), o ancora i tubi di plastica trasparente
che formano i bozzoli di Lumière innocente (2000), illuminati da
una fievole e poetica luce di vita proveniente dal loro interno
Questo
piano, il piano visivo e, più in generale, sensoriale, si intreccia
fortemente con quello concettuale, dei contenuti.
Chen Zhen rivela, attraverso le sue opere, una sensibilità profonda
e delicata, un atteggiamento umanistico che conduce lartista a parlare
di sé senza trascurare gli altri, lo rende attento testimone dei
travagli e delle contraddizioni della storia moderna del suo Paese e della
sua cultura senza per questo ignorare lOccidente, anzi soffermandosi
e ragionando sugli intrecci e i contatti fra i due mondi, e sulle problematiche
complesse di tali intrecci.
Si sviluppa allora, allinterno del suo lavoro, un filone che approfondisce
appunto lincontro/scontro fra Oriente e Occidente, fra natura e
tecnologia, fra tradizione contadina e modernità. Tutte istanze
che lOriente di oggi mette a confronto al suo stesso interno, con
esiti oscillanti fra conciliazione e contraddizione, talvolta addirittura
paradossali.
La
capacità di sintesi di Chen Zhen rispetto a tali complesse tematiche
emerge, a mio avviso, con particolare chiarezza ed efficacia in Bibliothèque
musicale (2000), opera affascinante costituita da un accostamento di vasi
da notte cinesi, simbolo pregnante di vita contadina, e componenti elettroniche
assemblate in modo fantasioso e casuale. Aggiunge un elemento di particolare
finezza il sottofondo musicale registrato, che riproduce il rumore ipnotico
delle spazzole che le contadine cinesi utilizzano ancora oggi tutte le
mattine per pulire i vasi.
Ecco dunque unattenzione costante e concentrata sulla dimensione
del sociale e sulle sue inquietanti evoluzioni, unanalisi che comprende
tutti gli aspetti più universali della vita umana:
la nascita, la morte, linvecchiamento, la quotidianità, il
rapporto che in tale quotidianità viene ad instaurarsi fra luomo
e gli oggetti, la libertà di pensiero ed immaginazione.
E da questultimo elemento che si diparte la riflessione critica
di Chen Zhen nei riguardi della dittatura maoista nel suo Paese, in particolare
sulla manipolazione e sulla censura dellinformazione. Si veda, al
proposito, soprattutto la prima opera esposta, Bibliothèque (1992),
sorta di personale ed ironica interpretazione del Tazebao: una bacheca
di vetro in cui giacciono sotto vuoto ritagli bruciati di giornali cinesi,
simbolo della parola schiacciata e vilipesa dalla tirannia.
Lattenzione
dellartista per loffesa alla libertà e alla dignità
dellessere umano lo porta anche fuori dai confini del suo Paese,
e lo mette a diretto contatto con analoghe esperienze di sofferenza in
altre, lontanissime parti del mondo. E commovente lesperienza
di Chen Zhen con i bambini delle favelas brasiliane, unesperienza
degli anni 1999/2000 in cui egli propone laboratori creativi per i ragazzi,
li fa lavorare con le candele, fa loro creare delle case in miniatura
che rappresentano le abitazioni dei loro sogni e poi le dispone su un
lungo tavolo di vetro, in una coloratissima successione ininterrotta di
fantasia finalmente liberata, al di là della povertà, della
fame, della disperazione: Beyond the Vulnerability, appunto.
Un
altro tema fondamentale della poetica di Chen Zhen è poi quello,
come poco fa accennavo, della sensibile auscultazione della propria, individuale
e personalissima vicenda umana, segnata dal confronto doloroso e sofferto
con la malattia. Unesperienza che ancora una volta porta lartista
a riflettere sulle diverse modalità di comportamento delluomo
occidentale e di quello orientale. In Balaì-serpillière
(1998) inquietanti aghi da siringa sbucano inaspettatamente dalle estremità
dei tubi di gomma che sono serviti a creare una gigantesca scopa appesa
al soffitto, un oggetto di uso quotidiano apparentemente innocuo e inoffensivo.
Inoltre, gli stessi tubi di gomma evocano limmagine dei lacci emostatici.
Invece in Obsession of Longevity (1995) il riferimento è alla maniera
orientale di affrontare la malattia e il dolore fisico, al suo approccio
naturale, antitetico rispetto a quello chimico e artificiale dellOccidente:
si tratta di uninstallazione che rappresenta due camere affiancate,
in una cè un materasso da cui spuntano chiodi acuminati,
riferimento diretto e toccante al dolore, in quella attigua ci sono tanti
scaffali e un tavolino, ingombri di barattoli e vasi pieni di polveri,
erbe ed estratti vegetali, gli antidoti orientali al dolore stesso.
Colpisce
di questopera anche il titolo, che contrasta, nel suo forte impatto
comunicativo con lo spettatore, con la delicatezza e la moderazione con
cui Chen Zhen tende a trasmettere il suo pensiero e le sue idee. Ma forse
il tema della malattia induce lartista a soluzioni più forti
e provocatorie proprio per lintensità emotiva con cui egli
lha vissuto a titolo personale.
Unultima riflessione riguarda invece il rapporto di interscambio
e interazione che alcuni noti lavori di Chen Zhen stabiliscono con il
pubblico, in una maniera molto diretta e fisica, cioè
attraverso il suono, la musica.
In
diverse opere egli si è servito di oggetti vari (soprattutto sedie)
trasformati attraverso un semplice intervento in rudimentali strumenti
a percussione, che gli spettatori possono suonare servendosi di appositi
bastoni, o bacchette e simili. Laspetto interessante è che
questi oggetti sono collocati allinterno di una stessa stanza o
assemblati a formare strani monumenti, per cui attirano nello stesso momento
lattenzione di più persone, che si uniscono, più o
meno consapevolmente, in un concerto spesso straordinariamente armonioso.
E si ha forte la sensazione che lartista voglia suscitare una riflessione,
oggi più che mai attuale e doverosa, su quanto sia più felice
e costruttivo stare insieme in armonia piuttosto che procedere individualmente
sulla propria strada di isolamento umano e culturale, o, peggio ancora,
cedere alla tentazione della violenza prevaricatrice sullaltro da
sé.
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Nato
a Shanghai nel 1955, Chen Zhen è considerato a ragione uno
dei protagonisti del nostro tempo, che ha fatto della sua opera
un esempio di pluralismo nell'arte, condensando nella nozione di
'transesperienza' il fulcro del suo lavoro.
Formatosi
nel periodo della Rivoluzione Culturale Cinese, Chen Zhen ha vissuto
e lavorato fra Shanghai, New York e Parigi, città nella quale
si è trasferito dal 1986, muovendosi sempre, senza barriere,
tra il pensiero orientale e quello occidentale, nell'ottica della
sintesi piuttosto che in quella della scelta e delle rigide classificazioni.
Il
suo linguaggio artistico, che affronta molte questioni, dalla politica
internazionale alla vita in sé, lo ha condotto a cercare
una sintesi visiva della sua arte dove fosse riconoscibile, innanzitutto
da un punto di vista estetico, il bisogno di farsi comprendere in
un mondo dalle prospettive diverse da quelle che lo avevano circondato
e cresciuto, di mescolare il sapore della sua Cina con i paesi che
andava conoscendo. Un progetto che Chen Zhen ha sempre portato in
giro per il mondo. Proprio per questo Chen Zhen, inizialmente orientato
sulla pittura, si è concentrato successivamente su installazioni
di grandi e medie dimensioni, cominciando ad assemblare oggetti
tratti dalla vita comune come letti, seggiole, tavoli, vasi da notte,
culle e materassi, allestiti in composizioni che li privano della
loro originaria funzione.
Chen
Zhen ha spesso condotto progetti in luoghi e contesti atipici, coinvolgendo
direttamente le popolazioni locali: con i bambini di Salvador de
Bahia, nei quartieri neri poveri di Houston o con gli shakers del
Maine. Al centro della sua ricerca anche l'indagine sul diverso
approccio alla medicina in oriente e occidente che emerge in alcune
opere incentrate sulla figura del corpo umano e degli organi interni.
In particolare, fra le opere in mostra, saranno esposte alcune grandi
installazioni ricche di fascino realizzate fra il 1991 e il 2000
con tavoli, sedie, polistirolo, ventilatori, registratori di cassa,
tessuti e candele colorate, come:
Obsession
of Longevity, 1995
Un-interrupted Voice, 1998
Human Tower, 1999
Zen Garden, 2000
Lumière innocente, 2000
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Fra
le più importanti esposizioni internazionali di Chen Zhen
vanno ricordate:
The
New Museum of Contemporary Art, New York, 1994
Center for Contemporary Art, Kitakyushu, Giappone, 1997
Guggenheim Museum Soho, New York, 1998
Biennale di Venezia, 1999
Ludwig Museum, Colonia, 1999
GAM, Torino, 2000
Serpentine Gallery, Londra, 2001
Institute of Contemporary Art, Boston, 2002
PS1, New York, 2003
La mostra nasce da una collaborazione fra il PAC di Milano, il CCC
di Tours e il Westfälisches Landesmuseum für Kunst und
Kulturgeschichte di Münster.
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