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"Quod
latet arcana non enarrabile fibra" (Persio)
La rosa è un fiore che ha sempre suscitato
un interesse particolare e intenso nei poeti, e non solo in loro. Ricordiamo
ad esempio i versi delicati di Ronsard sul declino della vita e il suo
assennato suggerimento "cueillez dés aujourd'hui les roses
de la vie"; oppure pensiamo a Malherbe che paragona le bellezza umana
al fulgido quanto effimero splendore della rosa che dura solo "l'espace
d'un matin". L'argomento, se visto con occhi contemporanei, sembrerebbe
essere sorpassato e tuttavia può essere degno di attenzione soffermarsi
su come due figure fondamentali della cultura del Novecento non siano
rimaste insensibili all'aura che sprigiona questo fiore: Borges e Heidegger.
Borges considera molte cose come simboli ed idee
eterne: la biblioteca, il labirinto, lo specchio, la spada, il pugnale,
la tigre, il giardino e, naturalmente, la rosa. Soltanto la rosa, pur
emanando colore e profumo, sa sottrarsi alle esili parvenze del mondo
sensibile per adagiarsi nell'invisibilità dell'idea. Suggestive
in tal senso le poesie: Un'altra poesia dei doni; La rosa;Una rosa e Milton.
Borges,
al pari dei poeti del lontano Oriente, subisce il fascino sia dell'aspetto
sensibile che della profonda essenzialità metafisica della rosa.
Nei suoi versi si avvertono echi di Attar, che ha fatto della poesia persiana
una "poesia di uccelli e di rose", di Hafiz e di Rumi per il
quale "ogni rosa, pregna di interno profumo, narra (...) i segreti
del tutto".
Tuttavia
la cecità che colpì l'autore argentino, pur facendogli svanire
la dimensione sensibile della rosa, gliene ha rivelato l'aspetto invisibile,
permettendogli di individuare il momento in cui "le rose cessano
d'essere le rose e vogliono essere la rosa".
In
conseguenza di ciò, non è importante sapere di che colore
è la rosa "lasciata nelle mani del defunto che mai saprà
se è bianca o rossa", o com'era "l'ultima rosa che Milton
vecchio e cieco avvicinò al proprio volto senza vederla".
Borges con la veggenza dei ciechi coglie la rosa delle rose, unica e solitaria,
il giovane fiore platonico, perenne e irraggiungibile, già mirabilmente
ripreso da Novalis.
La
rosa come idea è assai distante dal suo aspetto sensibile: è
silenziosa, misteriosa, invisibile e tenebrosa. Ha una maggiore potenza
rispetto alla rosa reale, poiché non si accontenta di pungere,
ma sa accecare più della morte, giungendo a privare il mondo d'ogni
importanza e significato.
La
rosa ideale è "un archetipo terribile", la cui forza
sconvolgente si palesa solo agli occhi resi veggenti dalla morte che incombe
o dalla cecità:"Rosa profonda, infinita, intima / che il Signore
mostrerà ai miei occhi morti".
Simile,
pur nella diversità dell'approccio, è la riflessione di
Martin Heidegger.
Nell'affrontare
il problema del fondamento ossia del perché delle cose, giungendo
a formulare la domanda fondamentale "Perché c'è l'essere
piuttosto che il nulla?", Heidegger riporta un celebre distico di
Angelus Silesius (Johannes Scheffler), poeta tedesco del Seicento:"La
rosa è senza perché: fiorisce perché fiorisce; non
bada a se stessa, né si cura d'esser vista".
Da
un lato la rosa è senza perché, ossia non ha un fondamento,
in quanto è priva di ragione, di causa o di scopo. Infatti, essa
non solo non sa di esistere o d'esser vista, ma anzi non ha di mira né
la propria esistenza né la propria bellezza. E' un puro sbocciare,
del tutto gratuito e infondato: se fiorisce non lo fa né per sé
né per per altri, ma appunto "fiorisce perché fiorisce".
Dall'altro
lato, l'espressione "fiorisce perché fiorisce" indica
che la rosa ha anche un fondamento diverso, che oltrepassa la domanda
sul perché delle cose e che dimora nel baratro senza fondo dell'essere,
in cui luce e ombra si confondono. La rosa è un puro offrirsi,
una pura e semplice presenza che tuttavia ha un lato insondabile, inspiegabile,
misterioso e oscuro.
Dunque,
sia per Borges che per Heidegger la realtà della rosa si presenta
in forma ambigua e bifronte: con la sua gratuità provoca meraviglia,
ma con la sua infondatezza può suscitare sgomento e inquietudine.
Tanto può la rosa.
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