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Da
quando, nel 1942, Joao Gaspar Simoes e Luìs de Montalvor avviarono,
presso la casa editrice Atica, la pubblicazione delle Opere Complete,
la poesia di Fernando Pessoa fu una vera e propria rivelazione, che ha
imposto il poeta di Lisbona tra i massimi poeti del Novecento. Ciò
che colpì della sua poesia fu non solo l'effettivo valore letterario,
ma anche l'ampia e densa problematica in essa racchiusa: dall'inquietante
interrogativo sulla "misteriosa importanza di esistere" al grigiore
inquieto e alle contraddizioni che vive l'uomo contemporaneo.
Il
primo stupefacente risvolto della sua produzione poetica ricca di temi
e sfumature è la sua articolazione in più personalità
interamente autonome, i cosiddetti "eteronimi" pessoani.
Non
si tratta di semplici pseudonimi, come si potrebbe pensare: Pessoa si
scinde in diverse voci, ognuna con un'anagrafe, un carattere, un segno
zodiacale, una storia, alle quali consegna un messaggio diverso; voci
diverse che comunque ci offrono un ritratto esauriente della sua personalità
artistica, sebbene gli inediti siano ancora molti. Gli eteronimi più
noti e importanti sono Alberto Caeiro, il"maestro", uomo legato
alla campagna, i cui versi ripudiano ogni sorta di trascendenza ("il
significato delle cose è che esse non hanno significato alcuno");
Ricardo Reis, medico, esteta classicizzante, epicureo e compositore di
odi alla maniera oraziana; e Alvaro de Campos, ingegnere navale a Glasgow,
seguace di Whitman, sensazionista, futurista, cantore del tedio e dell'assenza.
A rendere ancora più misteriosa e affascinante questa differenziazione
di personalità è la presenza negli eteronimi di evoluzioni
e contrasti interni, tali da rappresentare individualità a tutto
tondo. Anche lo stile di ciascun eteronimo, sia nella forma sia nel contenuto,
è in assoluta sintonia col mondo poetico di ogni singola voce.
Tre
eteronimi, tra i tanti altri e i centomila possibili, e un unico spirito
tormentosamente lacerato alla ricerca di risposte, con la consapevolezza
di sentirsi sempre più "estraneo" a se stesso e a ogni
cosa, pronto a procedere non già verso la luce, ma verso "l'ombra"
che abita dentro ognuno di noi, un buio labirinto che se non allude al
mero nulla, rappresenta un imminente e pur sfuggente ignoto.
Questa
inclinazione a sentirsi estraneo a sé, a sentirsi altri, che Pessoa
avvertì sin da giovane, ebbe modo di rafforzarsi con il suo avvicinamento
all'occultismo, iniziato attorno al 1915, con l'assimilazione di vari
scritti sull'argomento, soprattutto di due teosofe come Helena Blavatsky
e Annie Besant. Una lettera del 6 dicembre 1915 al suo miglior amico Mario
de Sà Carneiro ci mostra la traccia profonda che queste dottrine
lasciarono su Pessoa . Scrive l'autore portoghese: "Ora (...) conosco
l'essenza del sistema. Mi ha sconvolto un punto tale che non l'avrei mai
immaginato (...). Il carattere straordinariamente vasto di questa religione-filosofia,
la nozione di forza, di di dominio, di conoscenza superiore ed extra-umana
che le opere teosofiche mi stillano, mi hanno molto turbato".
E'
il principio di un lungo tragitto di riflessione e di graduale iniziazione
a concezioni religiose ed esoteriche che irrobustirà il fenomeno
degli eteronimi ("Mi sento multiplo. Sono come una stanza dagli innumerevoli
specchi fantastici che distorcono in riflessi falsi un'unica anteriore
realtà che non è in nessuno ed è in tutti")
e che lo indurrà a dichiararsi più volte adepto di una tradizione
occulta in cui convergono gnosi cristiana antica, Cabbala ebraica,pensiero
rosacrociano.
Vent'anni
più tardi, in un passo della famosa lettera a Casais Montero sugli
eteronimi, dirà:"Credo nell'esistenza di mondi superiori al
nostro e di abitanti di questi mondi (...) fino ad arrivare a un Ente
Supremo che presumibilmente ha creato questo mondo. Può essere
che ci siano altri Enti, ugualmente supremi, che abbiano creato
altri universi, e che questi universi coesistano con il nostro, interpenetrandosi
o meno".
Nella
sua visione metafisica, la pluralità dei mondi nasce dalla frantumazione
dell'Unità (o dell'Io?) originaria, che si dispiega come un incessante
gioco di specchi che si moltiplica all'infinito e che si riflette nel
mondo umano. Pessoa in virtù di ciò sembrerebbe soltanto
il medium, il tramite di figure da lui stesso create. Lui stesso è
la dimostrazione reale di una personalità frantumata che può
trovare una sua consistenza soltanto nella molteplicità di esseri
altri, in apparenza fittizi, si veda a tal proposito una sua lettera alla
zia Anica ("a volte mi sento all'improvviso proprietà di qualche
altra cosa") o la lettera di rottura con la fidanzata Ophélia
Queiroz in cui sostiene che il suo destino appartiene ad altra legge,
con la elle maiuscola.
Con
lui la concezione di letteratura come finzione, come mondo altro, alternativo,
acquista una radicalità assoluta perchè la prima e vera
finzione è l'autore in carne ed ossa, semplice medium, veri sono
gli eteronimi, cui presta la penna.
Nel
mondo greco il poeta era la bocca del dio, era entusiasta (letteralmente:
Dio è in noi), poiché prestava il proprio corpo e la voce
al dio. Pessoa va oltre.
Pessoa
è vano inquisitore di se stesso. Guarda dentro di sé e non
può capirsi. Il suo vero io non è qui, ma altrove e non
in forma univoca e stabile. Se non c'è un' essenza Pessoa che lo
definisca con certezza in quanto Pessoa, forse egli è mezzo per
altro o per altri, che rappresentano il vero sè che è multiplo,
plurale, variegato.
Il
medium Pessoa rappresenta l'autore assente o l'autore filtro che presta
una penna, dei fogli di carta ed un'arca da biancheria ai suoi eteronimi
per depositarvi le loro fatiche letterarie. L'arca, quasi fosse una bottiglia
gettata nel mare del tempo, è la porta da cui passa il mondo mirabilmente
artificiale della letteratura, vario, multiplo, inconoscibile, forse senza
Dio, oppure con un Dio di problematico avvicinamento. La finzione letteraria,
più di ogni altro genere, esprime il nostro rapporto fittizio con
il mondo, come confermato dai versi "Il poeta è un fingitore.
/ Finge così totalmente / da fingere che è dolore / il dolor
che davvero sente".
Al
bando il narratore onnisciente, al bando il flusso di coscienza, l'artificio
della finzione letteraria si sparpaglia nel mondo basta che ne abbia l'occasione,
diventando eco nella realtà di un mondo perduto, al di là
di tutti gli universi e di tutte le divinità, dove vivono gli alter
ego di tutti noi. Così un uomo diventa una letteratura.
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