Arti - Adamo Calabrese: fra immagini e parole

 

 

       
 
              
 
 
 
 

- Nel sentire comune, l'illustrazione viene considerata un mero ornamento, una semplice visualizzazione di ciò che è scritto in un libro; quali sono invece, a tuo parere, i veri rapporti tra libro e illustrazione?

Bisogna tornare alle radici della comunicazione, del linguaggio.Gli esseri umani, l'uomo e la donna dovevano comunicare. I primi tentativi di comunicazione sono stati una miscela tra il dire e il mostrare. I suoni erano inarticolati, approssimativi e dunque vi era una sorta di alleanza tra la figura e il pensiero.Il ricorso alla figura, all'immagine era per così dire inevitabile: il segno su una pietra o un segnale di fumo testimoniano questo, come pure gli ideogrammi o la scrittura cuneiforme. Per cui la ritengo una naturale necessità quella fra la parola e l'immagine.

Venendo a tempi più recenti, l'incontro tra parola e immagine lo ritroviamo nei codici medievali, nell'iconografia ecclesiastica.In seguito il rapporto fra libro e illustrazione si è gradualmente allentato pensando che il libro fosse autonomo, autosufficiente. Io credo che la figura abbia una immediatezza che accompagna e rafforza la parola. Non solo, gli stessi caratteri o gli spazi di un libro sono illustrazione. Quanto a me, posso dire che una mano scrivo e con l'altra illustro e non ti nascondo che mi piacerebbe che a Sesto San Giovanni ci fosse una fiera del libro illustrato.

- Quali sono i tuoi punti di riferimento nel campo dell'illustrazione?

Gustave Doré, naturalmente, ma pure gli altri disegnatori francesi dell'Ottocento Grandville e Honoré Daumier. Specie Grandville, con le sue figure di animali antropomorfe, mi dà un'idea di romanzo. Venendo all'oggi, mi piace Pericoli: i suoi paesaggi fantastici, fuori dal mondo per me sono vera letteratura. Apprezzo anche Matticchio, Luzzati e quella bottega straordinaria in cui metto Casiraghy, Ragozzino, Vitale. Infine, non voglio tralasciare Hugo Pratt, che non ha bisogno di presentazioni, e Dino Battaglia con le sue illustrazioni del Gargantua e Pantagruele di Rabelais: il fumetto è il porto estremo dell'illustrazione.


- Ti chiedo un giudizio sul momento attuale della letteratura e delle altre arti. Vedi delle tendenze o autori significativi o una certa confusione accompagnata da banalità o da manierismi tinteggiati con vernice apparentemente nuova?

Il panorama è vasto e vario, ed è difficile dare un giudizio. Posso parlarti di ciò che mi piace: i minimalisti americani ad esempio, da Hemingway in avanti, con la loro prosa precisa, senza fronzoli, di taglio giornalistico. Tra gli italiani, Citati per la sua prosa brillante; Cristina Campo con il suo Sotto falso nome; e poi Tommaso Landolfi, Pizzuto, lettura di pochi, e infine Gadda, innovatore straordinario. Comunque, ripeto, la foresta è folta.


- Tu sei scrittore e illustratore: c'è stato un momento in cui hai pensato che una di queste attività avrebbe preso il sopravvento?

Sono nato scrivendo, però la vita mi fatto conoscere varie figure che ovviamente hanno lasciato in me un segno e mi hanno avvicinato ad altre forme d'espressione. La parola scritta è stata la mia vera vocazione e credo che le mie prove più riuscite siano quelle letterarie. Poi si è affiancata l'illustrazione, che in un certo senso è un modo di raccontare. Posso dire che disegnare mi rallegra e diverte, mentre la scrittura è più sofferta e meditata.


- Perché ti firmi Stradivarius Radesky?

Stradivarius ovviamente da Stradivari, per quella sua mirabile capacità di far produrre suoni ed emozioni con quei suoi "legni" speciali. Ed io cerco di fare qualcosa di simile con i miei libri di legno illustrati. Radesky, perché figura malvista, osteggiata, soprattutto a Milano; d'altronde come si fa a scegliere il nome di un crucco oppressore? e comunque, al di là di tutto, mi richiama il mondo mitteleuropeo e il mio amore per esso.


- Che ne pensi dell'avvento del libro elettronico? Porterà, come si dice, alla scomparsa del libro tradizionale?

Ne penso molto bene. C'è un'evoluzione ed è normale. Lo stesso accadde con Gutenberg. Non ci sarà un scomparsa del libro tradizionale, ma una convivenza, trattandosi di due strade parallele.

 
       
Intervista a cura di Sergio Lagrotteria