Arti - Stefano Reboli: educare gli occhi

 

 

       
 
          
 

          


 
 

-- Il tuo percorso artistico trascende lo specifico di una sola disciplina per abbracciare diversi aspetti delle arti visive; hai cominciato a fare arte prima della laurea in architettura, e dopo esserti laureato hai fondato diverse associazioni inerenti il design, ora mi sembra di capire che stai concentrando la tua attenzione sulla grafica.

La mia curiosità mi ha costretto a fare delle discipline un utilizzo strumentale. Mi impegno in tutte le tecniche delle arti visive, con e
senza maestria, ma mai ho concesso ad una disciplina di diventare il motivo del mio lavoro. Questo significa che pur dipingendo,
scolpendo... non ho mai fatto della pittura o della scultura...

Non riesco a ricordare quando ho iniziato a fare arte, sicuramente ne sono consapevole dai tempi dell'università. E' stato in quel periodo che ho
potuto, criticandolo, definire il mio comportamento. Ora ho metodo e sono molto disciplinato. Forse per questo e per motivi contingenti,
sono occupato in molte attività. Il mio sistema, che nulla ha a che fare con la creatività e l’istituzionalità, risulta efficace là dove
abbondano le possibilità di trasformare, mischiare, rovesciare, capovolgere le cose. Subendo la necessità di inventare, ho trovato nel
design un campo giochi sempre aperto. Si tratta di design "artistico", non di product design. Per promuovere questa maniera di fare oggetti e
arredamenti l'associazione culturale “aattak” organizza ogni anno una mostra, “Desart”, a cui sono invitati a partecipare tutti coloro che si
impegnano in questa attività (www.aattak.com).

La grafica é necessaria nella pratica e nella comprensione di tutti gli aspetti
delle arti visive, inoltre, come la fisica, é fatto che riguarda tutte le cose. Mi ha sempre interessato ed è l'unica forma d'arte che si compra
al supermercato. Mi sono scoperto estasiato davanti ad una confezione di Manzotin e compro le barre di cioccolato Nippon per la perfezione
della loro confezione. Ho appena iniziato un progetto (www.pandarei.com) che prevede una parte commerciale ed una di
ricerca. Intendo produrre una copiosa collezione di edizioni grafiche dai contenuti più diversi. (www.stefanoreboli.com)


-- Per il progetto "2villasforsweden" hai scelto la Svezia e l’utopia di un luogo ideale; in cosa consiste questo progetto "inconsueto" d’architettura?

Il progetto non è utopico, si fonda piuttosto sul concetto di “action architecture”. Sinteticamente, si tratta di eliminare tutto ciò che fa
dell'architettura un continuo compromesso. L'idea è quella di riassumere il progetto in poche idee-guida e di prendere il resto delle
decisioni in corso d'opera.

In questo progetto (www.2villasforsweden.com) sarò impegnato in prima persona nella realizzazione di un capanno, unità abitativa minima ma sufficiente, nelle foreste della Svezia centrale. La scelta del luogo, dove non esiste la polvere, si contrappone al senso di sgomento che mi assale quando sfoglio una rivista di architettura e scopro che il nostro futuro abitativo é dipinto in scenari drammatici, sintetici, grigi e
affollati.

Ritengo che la ricerca in architettura abbia preso una strada pericolosa e sterile, mi auguro che torni presto a occuparsi della qualità della vita piuttosto che dello stile.

-- Osservando il tuo lavoro, si può riconoscere il ruolo importante che attribuisci al periodo dell’infanzia; sembra che per te questo sia uno dei momenti più alti del percorso umano...

L'infanzia é l'unico momento in cui tutti gli uomini hanno un comportamento artistico. Questo comportamento é chiaramente
inconsapevole, ma rappresenta per me la migliore definizione dell'arte. Sperimentare, definire, ordinare tutto ciò che ci capita con metodo
originale. Inventare.


-- Il lavoro fotografico inedito che presenti per il nostro sito, descrive poeticamente il mondo delle plastiche; è un ciclo di fotografie che
molto deve al tuo immaginario di designer. Come e perché nasce questo tuo lavoro?


Questo lavoro nasce dalla passione per le cose, deve più al mio essere collezionista che al mio immaginario di designer. La fotografia come
esperienza astratta della realtà è una forma d'arte che mi diverte esplorare, la tecnica consente molta espressività, la praticità dei
mezzi ne fanno uno strumento malleabile.

L'idea alla base di queste fotografie è molto semplice, addirittura banale, e riguarda la possibilità di assegnare un valore estetico, poetico a oggetti apparentemente anonimi consumabili e consumati. Il fine, forse questa volta utopico, è quello di educare gli occhi ad attribuire bellezza a
cose, situazioni, che apparentemente o realmente non ne contengono.

Cerco di essere in armonia con tutto. Ma non sempre ci riesco.

-- Un altro uso che fai della fotografia, è quello di documentare i tuoi frequenti viaggi. Mi piacerebbe che ci congedassimo con il racconto, da
parte tua, di un episodio che ritieni significativo avvenuto in uno di questi tuoi viaggi.


Non mi ritengo capace di tradurre in forma letteraria le mie esperienze di viaggio, il mio rapporto con le parole é conflittuale. Ti posso dire
quanto ritengo significativo il fatto di viaggiare. Trovo che sia molto stimolante e rigenerante, è una esperienza che dovrebbero provare
tutti, soprattutto quelle persone troppo preoccupate di dare un senso alle cose piuttosto che di fare cose sensate.

Intervista, curata da Cristiano Mattia Ricci