Arti - Stefania Ranghieri: contenitori di pensiero

 

 

       
 
       

 

  

  

 
 
 

- Una tra le qualità che per prima risalta nel tuo lavoro, è l’uso che fai del colore; che significato gli attribuisci?

- Tutti i tuoi recenti lavori,hanno in comune la presenza di una fessura di diversa forma e dimensione; immagino che questa sia uno dei punti cardine della tua opera...

Dopo tanti anni ho sentito la necessità di dare al lavoro una valenza più oggettuale, per interscambiare il significato simbolico ed estetico. Il senso del lavoro continua a riempirsi di implicazioni filosofico etiche che devono assolutamente connubiarsi con quelle estetiche, ed una superficie bidimensionale non è più sufficiente a contenere tutto questo.

Diventa importante dare al lavoro una “Architettura” sia pur minimale, che le permetta di essere una presenza, tale da poter contenere il più possibile quell’energia intrinseca, rivelatrice di significati simbolici attraverso un linguaggio estetico.

Il lavoro assume una forma-volume semplicemente squadrata o rettangolare che si aggetta dal pavimento o dal muro per porsi in transito tra astratto e naturale, attraverso l’uso di pigmenti che rendono le superfici quasi tattili.
La simbologia del colore è quasi infinita e va dal carattere cosmico a quello spirituale, dal luministico naturale all’estetico astratto, reiterando sempre la costante dell’energia rivelatrice.

Tutti i miei lavori si presentano come dei Monoliti più o meno grandi: semplici parallelepipedi pregni di pigmento con piccole aperture o fessure, queste rappresentano un possibile collegamento o passaggio per l’osservatore nell’opera, compressa in una forma piena e precisa, che non può esplodere ma può far trapassare quell’energia accesa in un tragitto tra la vita e la morte, verso la quarta dimensione.

L’
idea è quella di rendere il mio lavoro come una sorta di icona, ma che attraverso i tagli, le fessure, cioè attraverso “la Fente” dal francese: fessura disegnata per il passaggio di un qualche cosa, ci sia la possibilità di andare “The other side” come una sorta di “stargate”.

Il pensiero e la vista possono orizzontalmente oltrepassare lo spazio e il tempo, accompagnati dal colore capace anch’esso di contenere la luce e di coinvolgere i sensi. In questo modo, dallo spazio-tempo in senso infinito è inevitabile ricollegarsi all’idea (o alla domanda) del principio primo “la cellula”, quindi l’idea di creare un’equazione tra perfezione di una forma astratta e perfezione alta del formarsi di una forma di vita.
 
- Un tuo lavoro, della serie “The other side from inside”(h), rappresenta dei soldati in una fossa circolare e intorno a loro un vuoto molto più grande; mi fa pensare ad una metafora sulla guerra: gli uomini paiono imprigionati in un piccolo cerchio senza possibilità d’uscita…
 
Riguardo a questo gruppo di lavori, a dire il vero sono partita da una motivazione un po’ diversa e che si accomuna anche all’altra serie “origini discese/the other side from inside”. L’idea che li accomuna è quella di essere dei contenitori di un pensiero che ha a che fare con un principio etico, per me molto importante, cioè il principio di uguaglianza.

Tutte le cellule prime che si riproducono per formare gli embrioni di una qualsiasi forma vivente, “sono uguali” per le prime settimane, poi ognuna di loro si modifica e prende le caratteristiche di quella determinata specie.
Questo principio accompagna la mia visione del mondo da anni, e ho sempre visto una grossa incongruenza tra ciò che la filosofia ha sempre dimostrato in anticipo di secoli, se non di più, rispetto alla dimostrazione scientifica che forse solo negli ultimi cento anni detiene il potere assoluto sulle nostre “domande prime“ anche rispetto a quelle di carattere esistenziale.

Già la filosofia greca, con Socrate o Plutarco, si era occupata del principio di uguaglianza e poi man mano nei secoli successivi, personaggi di rilievo si sono occupati di questa tematica che sposta completamente la visione del mondo dal pensiero “egocentrico” a quello “eliocentrico”; solo per citarne alcuni: Tommaso D’Aquino, Giordano Bruno, artisti come Leonardo Da Vinci e ancora Kant...

Non è stato nemmeno sufficiente il trattato sull’origine della specie di Darwin, perché ancora oggi le diversità sono intese solo in scala gerarchica e all’apice ovviamente ci sono gli umani. Ma parlare di questa tematica attraverso il linguaggio artistico non è semplice anzi direi che è un’impresa davvero ardua, quindi sono voluta partire dal pensiero del principio primo “uguale per tutti”, dimostrato dalla scienza (in particolare dall’embriologia) in quanto le forme delle cellule sono simili perché contenitori di prime forme di vita, che poi saranno diverse forme di specie e questo dovrebbe portare ad una riflessione.

- Quali sono gli aspetti della nostra contemporaneità che più ami?

E’ una domanda giovane, carica di slanci verso il futuro e devo ammettere che da molto tempo continuavo a guardare e considerare solo gli aspetti negativi...

Il mio primo pensiero è rivolto all’ idea di “libertà”, al fatto che la decostruzione di schemi produttivi e analitici degli ultimi decenni, fino all’annullamento degli stili, ha permesso un cambiamento radicale dell’idea creativa, che oggi si muove in senso trasversale toccando tutto ciò che è soprattutto parte della nostra società (non tanto rispetto al nostro sapere) ed è aperta a utilizzare qualsiasi strumento.

Non ci sono più recinti, tutto è sconfinabile e si sente un clima di libertà totale del fare, visto che l’arte è dappertutto, come disse Baudelaire, e si può parlare di lei attraverso tutto, con tutto.

Forse l’aspetto più rilevante è questa idea di pluralità delle forme artistiche e le linee del loro destino, in questa contemporaneità, porta inevitabilmente ad una differenziazione del loro ruolo, della loro funzione ma soprattutto del “senso estetico”.

Direi che anche le molteplicità dei canali di diffusione del prodotto e del pensiero artistico, ultimo dei quali anche internet, è un altro aspetto interessante di questa contemporaneità e per usare una metafora su come vedo il presente oggi:
siamo particelle che orbitano nell’universo, non c’è gravità e questo permette di stare in un movimento continuo, tutto si mescola e poi si ridivide per poi rimescolarsi ancora per tenere un punto di vista sempre nuovo, sempre diverso; ma riconosco che alcuni aspetti, a mio avviso pindarici, interni al mondo dell’arte di oggi mi sfuggono.

- Che cosa pensi dell’arte contemporanea? Quali artisti trovi più interessanti?

Devo ammettere che mi lascia perplessa questa logica della produzione di valori e/o plusvalore, perché penso che più ci sono valori estetici sul mercato meno ci sono possibilità di giudizio preciso rispetto al significato.

Ogni volta che visito gallerie, musei, o fiere d’arte il più delle volte mi ritrovo poi in una sorta di stordimento per la quantità di prodotti offerti ma, per lo più, sono immagini che non lasciano tracce di memoria, non vedo che tipo di conseguenze estetiche possano lasciare se non quelle di aumentare ciò che c’è già. Percepisco una specie di indifferenza formale all’utilità ed al valore, alla circolazione delle cose senza riserve.

La contemporaneità è invasa di percorsi di tutte le vie della produzione e della sovrapproduzione virtuale: di oggetti, di segni, di messaggi, di ideologie, di piacere, di “cose!”; riconosco che è difficile orientarsi perché si rischia di passare da un’idea critica ad una non idea, cioè ad un caos vuoto, tutto è concesso tutto ha valore ma abbiamo bisogno di sapere e/o capire anche cosa non lo ha.

Non mi dispiace il fatto che l’arte transiti ovunque nella realtà, e sul momento può rassicurare perché sembra essersi ridefinita in un ruolo ben preciso, ma nello stesso tempo mi preoccupa perché se adesso è così, come sarà possibile fare a meno della
magia delle forme, dei colori e dell’immaginazione?

Personalmente sento ancora necessario pensare che l’arte sia e debba mantenersi come simulacro , con la potenza dell’illusione, dell’invenzione e dell’emozione estetica, drammatica o gioiosa, lirica o concreta che sia: che nella sua potenza, nella sua capacità di indagare il reale e di opporre al reale un’altra scena, ci sia il suo vero senso cioè il vero senso del fare, in cui tutte le cose si muovono per una regola del gioco superiore; e tanto più la regola sarà precisa e rigorosa, tanto più ci sarà emozione e piacere.

Riguardo agli artisti contemporanei che trovo più stimolanti, vorrei ironicamente fare una distinzione: sono contemporanei solo coloro che sono in vita? oppure lo sono coloro il cui lavoro è ancora fortemente contemporaneo? come dicevo sopra, nell’immensa offerta di prodotti artistici mi rendo conto che l’attenzione ”prima “ è rivolta a tutto ciò che ha affinità (formali e di contenuto) al mio lavoro ma questo posso ritrovarlo anche in un’immagine fotografica come in un dettaglio pittorico; per quanto mi riguarda, i due artisti che amo di più in assoluto sono Anish Kapoor e Luis Barragan (ingegnere e architetto).

Anche se possono sembrare molto diversi tra loro, penso che il loro lavoro sia fortemente carico di “pensiero puro” (in quanto astratto) cioè capace di contenere immaginazione poetica e trasformare lo spazio circostante in un luogo sublime; come si fa a non emozionarsi di fronte ad un lungo muro rosa che si staglia tra il cielo e l’acqua di una piscina (Scuderia San Cristoball - Messico) o ad una immensa campana rosa-lilla che avvolge lo spazio alto al di sopra di tanti osservatori con lo sguardo all’insù completamente avvolti! (Londra 2001).

Ma mi ritrovo ad avere lo stesso impatto emotivo quando vedo un’opera di Spalletti o di Joe.Mc.Cracchen, per il loro rigore formale nella purezza cromatica e poi Erbert Hamach perché riesce a trasmettere un senso di piacevole “sapore” con i suoi parallelepipedi di resina colorata perché evocano un qualche cosa che ha a che fare con il piacere del cibo: cioè il gusto.
Inoltre, il temperamento e la forza di una donna artista come Luoise Bourgeois che dimostra ogni volta, con il suo disinvolto pensiero creativo, quanto siano irrilevanti i dati anagrafici!.

Ma rispetto alla nuova figurazione emersa in questi ultimi anni in Italia di giovani pittori, mi colpisce particolarmente il lavoro di Guadamacchi per queste sue visioni aereo-planimetriche delle megalopoli del mondo così monotone nel loro grigiore.
Così come il lavoro, tra i tanti artisti fotografi, di Armin Linke sempre un po’ inquietante e drammatico come quell’immagine di: Mahn Kumbh Mela, Pontoon bridge, over Gange river del 2001.
Ecco forse questo è un documento che riesce ad equivalere “all’idea immaginata drammatica e poetica “ per il suo incredibile essere realtà vera.

Credo sia qui quella linea sottile che attraversa in senso trasversale, come dicevo sopra, toccando tutto ciò che è parte della nostra società.

- Mi hai accennato, in altro contesto, all'importanza della musica nella tua vita; me ne potresti parlare?

Il mio rapporto con la musica è principalmente di carattere emotivo. Non posso dire di avere un’ampia conoscenza dell’universo Musica, perché anche qui, come per le arti visive, si tratta di un mondo vastissimo che produce una immensa molteplicità di prodotti musicali.

Devo dire che ho scoperto i musicisti (artisti) che mi piacciono di più, vagando da una radio all’altra nel cuore della notte fin da quando ero adolescente; ovviamente con il tempo le scelte si sono affinate portandomi a prediligere principalmente la musica strumentale a matrice jazz come i brani di Chat Baker, John Coltrane e Miles Davis, artisti che considero ancora molto contemporanei, ma anche pezzi dove il jazz si mescola al funk, al rhythm & blues e poi la jungle music dei Saint Germain e buona parte della produzione acid jazz di questi ultimi anni; mi rendo conto che sto nominando la musica che prediligo attraverso dei “generi” e forse anche agli artisti musicisti contemporanei non piace essere inquadrati così ma non posso fare altrimenti.

Per quanto mi riguarda penso che la musica prettamente strumentale sia l’equivalente dell’arte astratta, non ci sono le parole che rimandano inevitabilmente alle immagini descrittive, ma c’è un suono unico puro e assoluto capace di addentrasi nelle profondità sensibili ed emotive. Penso anche che nel jazz sia contenuta molto bene quell’idea di libertà creativa, come per le arti visive, capace di sollecitare profonde vibrazioni tali da liberarti del tuo peso in gravità e perdere il senso del tempo e dello spazio così come può fare una forma o un colore.

Direi che anche la musica “è ed ha un colore”, malinconico come la tromba di Chat Baker, profonda e notturna come quella di Dj Krush (jazzista sperimentale giapponese), ma tentare di trovare una corrispondenza con i colori della pittura mi sembra una forzatura che rischia di banalizzare tutto.

Nella musica ci sono altri colori, so di molti artisti che cercano di lavorare facendo questa operazione, uno dei primi è stato Kandinski mentre oggi può essere il lavoro di un artista americano che vive in Italia che si chiama Caponnetto; ma per me è diverso e così quando sono in studio a lavorare il suono di una tromba di un pianoforte o di un basso diventa vibrazione ed energia che sicuramente andrà ad arricchire quella tensione emotiva necessaria per lavorare e poter produrre, il più possibile, un buon lavoro di qualità.

Intervista, curata da Cristiano Mattia Ricci