Arti - Chiara Lampugnani: Spazio Onirico

 

 

       
 
 
 
 
 

Queste nuove opere di Chiara Lampugnani spostano il suo fare artistico nei territori dello spazio, aggiungendogli nuove valenze e mostrandoci le peculiarità di un'offerta di simboli e di continue evocazioni.
Ha del meraviglioso la differente caratterizzazione dello spazio ogni volta che se ne fa esperienza: sostanzialmente è una questione d'immaginari individuali che vanno a formare nell'insieme una visione del profondo nella rappresentazione della propria epoca e di ciò che si sente essere la propria storia d'uomini. Dall'analisi delle opere di Chiara si possono fare alcune riflessioni di ordine più generale che qui anticipo.
Una diretta conseguenza dello sviluppo artistico, è la ridefinizione di un più elevato immaginario collettivo. Una speranza che mi pare dovuta (anche per la mia osservazione diretta dell'intensità di questo sforzo del creare), è l'affermazione, nella società, del lavoro "globale" artistico; ancor meglio, la speranza che nutro è quella di un'affermazione del creato artistico sui macchinari di costruzione strumentalizzata dell'immaginario collettivo, e sull'uso che prevalentemente viene fatto della televisione come tramite di perpetuazione dell'ignoranza collettiva e della relegazione dell'immaginario collettivo a situazioni e forme di desiderio stabilite aprioristicamente dalle sopraffine forme del potere.
Ritornando a Chiara, è certo lo stretto collegamento che la sua opera ha con aspetti dell'inconscio e della fantasia.
E' altrettanto evidente la volontà della creazione nel sociale, attraverso questo medium, di un fertile humus mentale prevalentemente adibito all'ospitalità, che s'intende diffondere tra la gente, del "luogo comune", della formazione di una presunta intelligenza nella vittima.
Questo è uno dei valori della ricchezza artistica: uno soltanto tra i risultati della ricerca.
Nella scelta che Chiara fa, nel collocare questi suoi recenti lavori entro luoghi del nostro passato, si avverte l'attenzione al contesto architettonico proveniente dalla sua formazione, realizzando un fertile rimando tra la disciplina architettonica e il suo immaginario d'artista. Possiamo parlare a questo proposito di installazioni, ma forse questa definizione risulta riduttiva. Si può però sostenere, ed è visibile, che Chiara utilizza il neon in questi suoi recenti lavori. Frequente è stato l'utilizzo del neon in arte, compreso quello che viene fatto originalmente da Chiara Lampugnani, anche rispetto ad esempi del passato recente.
Una tra le bellezze che l'arte può serbare a chi la sente, è la mancanza di ripetitività emozionale: a proposito di neon, l'impiego che ne ha fatto Fontana è stato esemplare e ha creato nel suo uso sperimentale un certo tipo di partecipazione emotiva nello spettatore, molto differente, ad esempio, dal magistrale uso che ne ha fatto Mario Merz. Altro discorso si può fare per la sacralità della luce (neon) nell'opera di Flavin: la Chiesa Rossa di Milano viene considerata il suo testamento e l'idea della luce colorata viene richiesta a Flavin e pattuita col parroco della chiesa milanese.
Altra sensazione ancora ci dà la partecipazione emotiva ad uno o più lavori di Bruce Naumann o Joseph Kosuth. Tanti uomini, tanti neon, ed uno diverso dall'altro. Chiara è passata da un lavoro artigianale (i suoi precedenti lavori ad arazzo) ad un lavoro di sola concezione mentale, che elabora con l'ausilio del computer e fa realizzare scrupolosamente secondo le sue intuizioni.
Queste opere vengono installate di volta in volta nei contesti che le sono offerti, arricchendosi e definendosi progressivamente.

Sono oggetti archetipi che prendono in ogni contesto forma differente. Ora mi dice che intende utilizzare l'ausilio di forme sonore, per accompagnare l'installazione sospesa delle sue opere. La sensazione che provo dalla visione del suo lavoro è di un'alienazione dell'oggetto nel contesto. A tal proposito, la domanda che mi pongo è se gli oggetti che propone non siano in realtà gli abitanti di questo pianeta, cioè noi che li guardiamo e ancor di più chi non può vederli, in quanto privo della consapevolezza del valore culturale di un popolo e di conseguenza posto in uno stato vitale di maggior alienazione.Chiara lo fa di proposito, mette un triciclo di neon nell'aria, lo stesso triciclo che significa per ognuno di noi l'infanzia, che è altrettanto un'immagine di tenerezza e che ora sosta nel vuoto con una sua luce propria.
C'è anche un retaggio culturale nel suo esprimersi, quello di un modernismo diventato, nel tempo che ci separa da quelle utopie, archetipo. Le capita di immaginare di continuo, poi mi telefona e, quando può, fa realizzare. L'anima delle sedie che utilizza ha soltanto la matrice delle belle sedie razionaliste, diventate nel contesto dello spazio quasi dei fantasmi umani. Gli oggetti che propone hanno una regola dell'accostamento, che non può essere sottovalutata: tutti hanno forte valore simbolico, ma appartengono a epoche differenti della storia dell'uomo. La scala ad esempio è preistorica, la sedia del Bauhaus no.
Così disposti, i suoi oggetti danno da pensare a chi li guarda, rendendo all'osservatore la giusta destabilizzazione che dà origine ai processi del pensiero; anche in questo l'arte fa un servizio all'intelligenza umana, al contrario della falsa rassicurazione del continuo show televisivo.
E per questo motivo posso concludere dicendo che è presente nel lavoro di Chiara questa funzione di spia del sistema sociale, di osservazione disincantata e diretta del reale attraverso la forza simbolica dell'arte.

Cristiano Mattia Ricci