Sabato 9 Agosto 2003

 

IN ITALIA E NEL BRESCIANO
Un punto sulle centrali elettriche


Il «Giornale di Brescia» ha ospitato di recente, con apprezzabile frequenza e pluralismo di opinioni, numerosi interventi sui temi delle centrali elettriche e della politica energetica, questioni di particolare rilevanza ed attualità nella nostra provincia. Come è noto, infatti, il Piano energetico della Regione Lombardia assegna alla cosiddetta «area 2» (quella nella quale è compresa la Bassa bresciana, insieme a buona parte delle province di Milano e Bergamo) l’onere di aumentare la produzione di energia elettrica di 400 Mw, in pratica di ospitare una nuova centrale di media potenza. Rispetto ai 2000 Mw ed alle 3-4 nuove centrali di cui si parlava per la provincia di Brescia ancora nella primavera del 2002 è un bel passo avanti, anche se per le comunità della Bassa bresciana si tratta di una magra consolazione. Ma appunto, una tale difformità di cifre rispetto a quelle ipotizzate solo un anno fa, dovrebbe indurre molta cautela circa i dati sul fabbisogno e le vere potenzialità esistenti. Gli stessi black-out estivi, reali o solo preannunciati, che hanno riportato in primo piano il dibattito sul fabbisogno energetico e ridato fiato alle trombe dei fautori di nuove centrali elettriche, paiono dovuti più ad un insieme di cause che alla semplice mancanza di nuovi impianti. La capacità di generazione di energia elettrica in Italia (oltre 70mila Mw) è in effetti largamente in eccesso anche rispetto alla domanda di punta registrata in queste settimane (circa 51 mila Mw). Da più parti si segnala infatti come il sovraccarico sia dipeso in larga misura dal sottoutilizzo delle centrali esistenti, vuoi per carenza d’acqua di raffreddamento degli impianti, vuoi perché alcune vecchie centrali hanno costi di produzione troppo elevati rispetto ai prezzi dell’energia in vigore e conviene dunque lasciarle inattive. Detto tra parentesi, quest’ultima circostanza dovrebbe indurre qualche riflessione circa l’opportunità di aver liberalizzato un bene pubblico fondamentale come quello dell’energia, il cui processo di offerta non dovrebbe essere regolato solamente dalle leggi di mercato. In questo senso mi paiono condivisibili le critiche espresse (sul «Giornale di Brescia» del 21 luglio u.s.) da Giuseppe Bertozzi, segretario regionale della Flaei/Cisl, circa gli esiti della riforma elettrica italiana. Meno condivisibili, dal mio punto di vista, le valutazioni dello stesso Bertozzi circa «la piega demagogica che la politica ambientale ha assunto nel nostro paese» e le critiche al «potere di interdizione di cui risultano titolari gli Enti locali, ecc.», così come l’accanimento di Arsenio Carosi, segretario generale della stessa Flaei/Cisl, contro «un ambientalismo ideologico che non ha niente a che vedere con la tutela dell’ambiente» («Giornale di Brescia» del 30 luglio u.s.). Le centrali elettriche, anche quelle alimentate con combustibili meno inquinanti (metano, ecc.), hanno un impatto ambientale pesante ed indiscutibile, in termini di emissioni inquinanti, di impoverimento del patrimonio idrico, di danni all’agricoltura, di possibile attrazione di poli industriali, e così via. E la considerazione ricorrente per cui la provincia di Brescia è la «più energivora» d’Europa e deve dunque farsi carico di ospitare nuovi impianti vale fino a un certo punto, perché proprio il tipo di produzione industriale che caratterizza la nostra provincia ha già prodotto e produce tuttora pesanti ricadute su un ambiente ed un territorio che non è detto possano sopportarne di ulteriori. La stessa protesta dei cittadini di Calvisano, di Mairano, di Offlaga, delle migliaia di elettori che hanno votato nei referendum comunali, delle decine di sindaci che hanno firmato petizioni, delle associazioni che si stanno mobilitando contro l’insediamento di centrali sul loro territorio, non può essere liquidata semplicemente come espressione di quel fenomeno di egoismo localistico che i sociologi americani chiamano «nimby» («not in my backyard»: si facciano gli impianti ma da qualche altra parte!), perché è anche indice di una sensibilità nuova e crescente verso la qualità dell’ambiente e del territorio da parte di cittadini che non accettano di rinunciare, in nessun caso, alla propria salute. A giudicare dalle prime reazioni, infatti, nemmeno i contributi previsti dalla Legge Marzano per i Comuni che accettino di ospitare nuove centrali sul loro territorio, recentemente approvata e presentata con trionfalismo da alcuni parlamentari del centro-destra, sembrano poter modificare la situazione. Il punto è che o la tutela dell’ambiente rimane un’espressione buona per i convegni, salvo accantonarla quando si tratta di fare scelte concrete, oppure si prende atto che è necessario partire dalla «coscienza dei limiti» perché le risorse naturali non sono infinite: le estati più calde, dovute all’«effetto serra», fanno aumentare la richiesta di condizionamento e di energia elettrica, cui non si può rispondere con ulteriori aumenti di emissioni inquinanti se non si vuole produrre una tendenza a spirale del tutto insostenibile. Immaginare una nuova qualità dello sviluppo non significa prefigurare un ritorno a stili di vita «silvo-pastorali», come qualcuno ha provocatoriamente affermato, ma utilizzare le moderne tecnologie per incidere sia sul lato dell’offerta di energia, colmando il ritardo che separa l’Italia dagli altri Paesi avanzati nell’utilizzo delle fonti rinnovabili (sole, vento, biomasse), che su quello della domanda, incentivando il risparmio d’energia (standard energetici obbligatori per gli elettrodomestici, interventi edilizi, ecc.). Poiché l’Amministrazione provinciale di Brescia ha annunciato la prossima presentazione del Piano energetico provinciale, credo che i cittadini della Bassa, e non solo loro, si aspettino che la Provincia voglia giocare un proprio autonomo ruolo sull’intera partita, non indulga alle soluzioni apparentemente più facili, prenda atto delle novità derivanti dall’interconnessione con la rete svizzera tramite l’elettrodotto di San Fiorano e dia il proprio contributo allo sviluppo delle fonti rinnovabili, all’individuazione di interventi efficaci di risparmio energetico, alla promozione di investimenti per la microgenerazione diffusa. Soprattutto, si aspettano che la Provincia si assuma le sue responsabilità e non si nasconda dietro l’argomento per cui «a decidere sulle centrali saranno il Governo e la Regione», come avrebbe dichiarato l’assessore Mattinzoli, considerato che la Regione ha licenziato un suo Piano energetico in palese contrasto con gli impegni sottoscritti dall’Italia in applicazione del Trattato di Kyoto per la riduzione dei gas serra ed il Governo nazionale si è dimenticato del Trattato il giorno dopo averlo ratificato.
MAURIZIO GOFFREDI

Segreteria provinciale Ds

Brescia




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