I E II RIVOLUZIONE INDUSTRIALE:
con il termine RIVOLUZIONE INDUSTRIALE s’intende un nuovo modo di produzione,
basato sul largo impiego di macchine, di capitali, di mano d’opera, di nuove
fonti d’energia e di materie prime chimiche e naturali. Il sistema economico,
prima basato sull’agricoltura, trova ora la sua base nell’industria
manifatturiera. La rivoluzione nasce in Inghilterra tra il ‘700
e l’800. La I RIVOLUZIONE INDUSTRIALE si verificò alla
fine del XVIII secolo e trasformò radicalmente l’economia e la società. Il
mutamento più immediato riguardò la produzione di prodotti finiti. Nella
seconda metà dell’ottocento cambiarono globalmente i fini e gli ideali della società, denominata SOCIETA’ di MASSA. Entrambe le
rivoluzioni furono accompagnate da un notevole incremento demografico. Mentre con la I*R.I. si ha un’innovazione meccanica
soprattutto nel settore agrario e in quello tessile, la II* rappresenta l’era
dell’acciaio e delle ferrovie. La velocità dei treni passò da 55 a 70/80 km
orari, migliorarono il sistema di frenaggio (venne introdotto il freno di sicurezza, detto freno
Westinghouse,1869) e le comodità dei passeggeri. Le carrozze vennero
costruite in metallo e vennero inventati vagoni-letto, carrozze, ristorante e
sistemi di riscaldamento e d’illuminazione. La rete ferroviaria italiana fu
collegata a quell’europea tramite dei trafori nelle Alpi.Il primo della storia
fu quello del Fréjus (o del Cenisio), realizzato fra il 1857 e il 1871, che
collegò l’Italia con la Francia. Lo sviluppo delle Ferrovie
diede un grande impulso all’industria siderurgica, per la richiesta d’acciaio.
La medicina fece grandi progressi, così come la scienza. Alcuni esempi sono: la
scoperta di vaccini contro malattie mortali, scoperta della sterilizzazione,
dei raggi X e, soprattutto, la scoperta della prima reazione nucleare della
storia.

La produzione industriale britannica in
percentuale.
I conflitti
sociali e il tenore di vita durante la rivoluzione industriale.
La rivoluzione
industriale ebbe anche i suoi lati negativi. L’abbondanza di mano d’opera
permetteva agli industriali capitalisti di mantenere i salari molto bassi,
perché se un operaio rifiutava una paga da fame c’era sempre un altro disposto
ad accettarla pur di sopravvivere. In quel periodo i governi non intervenivano
in nessun modo per impedire lo sfruttamento dei proletari. I capitalisti, per
aumentare il loro profitto, assumevano donne e bambini (la cui paga era ancor
più bassa) e imponevano turni di lavoro molto duri, in ambienti nocivi alla salute,
perché troppo caldi o troppo freddi, pieni di fumo e d’assordanti rumori. In
caso di malattia, d’invalidità o di vecchiaia,
gli
operai non potevano contare su nessun tipo d’assistenza. Su tutti gravava la
minaccia del licenziamento, che poteva essere improvviso o che l’industriale
non era tenuto a giustificare. Gli operai non potevano nemmeno disporre di una buon’abitazione. All’inizio i proletari
pensavano che le principali responsabili della disoccupazione fossero le
macchine, infatti, una sola macchina
poteva svolgere il lavoro di molti operai e provocarne il licenziamento.
Il movimento operaio che si oppose all’utilizzo delle macchine
venne chiamato luddismo. Anche nel campo
dell’agricoltura vi furono delle opposizioni per l’utilizzo di macchine, un
esempio fu la distruzione delle prime trebbiatrici a vapore da parte dei
braccianti. Un’altra conseguenza furono i primi scioperi, considerati
all’inizio come crimini. I capitalisti, per intimorire gli operai, toglievano
il lavoro ai proletari per un periodo quasi breve (serrate). La forza degli
operai consisteva nell’essere uniti, ma in Inghilterra
fin dal 1799 erano state vietate le loro associazioni (TRADE UNIONS). Solo dopo
anni di proteste ed agitazioni, spesso duramente represse, vennero
legalizzate nel 1825: esse costituirono le prime organizzazioni sindacali
formate dai lavoratori per difendere i propri interessi. Le Trade Unions si
diffusero rapidamente e in meno di 10 anni poterono già contare su quasi 1
milione di iscritti. Nel 1833 fu approvata in
Inghilterra la prima legge che tutelava i ragazzi-lavoratori, venne in più
ridotto l’orario di lavoro. Dal 1875 lo sciopero non fu più considerato un
delitto. Nella seconda metà del secolo si diffusero nel continente le società
di mutuo soccorso e le cooperative di consumo. Col tempo anche i governi
agirono in favore dei lavoratori. Nel 1911, ad esempio, il governo inglese
concesse ai proletari, pensioni d’invalidità e vecchiaia.
Approfondimento sui sindacati.
Storicamente, i sindacati hanno rappresentato
la risposta organizzata dei lavoratori all'impatto della rivoluzione
industriale. I primi sindacati nacquero, infatti, tra la fine del XVIII e
l'inizio del XIX secolo come reazione agli sviluppi
del capitalismo e del sistema di fabbrica, che avevano spinto grandi masse di
popolazione a lasciare le campagne e a disputarsi i posti di lavoro che le
industrie andavano creando nei centri urbani. L'eccesso di forze di lavoro
disponibili, all'inizio, aveva reso gli operai occupati molto deboli nei confronti
dei datori di lavoro. Per limitare la discrezionalità di questi ultimi e
ottenere un certo controllo sulle proprie condizioni retributive, i primi ad
associarsi furono gli artigiani specializzati. Questi gruppi, incontrando una
forte opposizione da parte degli imprenditori e del governo, furono
perseguitati dalle autorità alla stregua d’organizzazioni illegali volte a
limitare lo sviluppo delle attività economiche. In seguito, alcune delle
barriere legali poste alla formazione di sindacati furono abolite, ma i primi
movimenti non sopravvissero alle depressioni economiche della prima metà del XIX secolo.
Nella seconda metà dell'Ottocento le organizzazioni
sindacali divennero permanenti e ricevettero un forte impulso dai movimenti
politici che, affrontando su basi ideologiche il conflitto tra capitale e
lavoro, combattevano il sistema capitalistico, contrapponendogli sistemi
sociali alternativi quali il socialismo e l'anarchismo.
All'inizio del XX secolo il
sindacato si estese ai lavoratori non specializzati, ai minatori, ai portuali,
ai dipendenti del settore dei trasporti; i compiti dei sindacati si ampliarono,
fino a comprendere, oltre alla contrattazione dei salari, la riduzione
dell'orario di lavoro, la tutela del lavoro minorile e ruoli significativi nel
sistema della previdenza sociale, nella formazione professionale ecc.
Nei periodi d’espansione economica, quando si determina
negli imprenditori la capacità di assorbire le richieste dei lavoratori,
l'azione dei sindacati contribuisce ad aumentare il tenore di vita sia dei
propri membri sia della società nel suo complesso. Nelle fasi di recessione, i
sindacati rivendicano invece dai governi programmi per l'occupazione e il
mantenimento del reddito. In campo internazionale, l'Organizzazione internazionale
del lavoro (ILO), istituto specializzato dell'Organizzazione delle Nazioni
Unite (ONU), favorisce la comunicazione e la cooperazione tra i sindacati dei
vari paesi.
Il progresso dei mezzi di trasporti.
Negli ultimi decenni dell’800, si ha un progresso nel campo dei trasporti. Per
gran parte del secolo i trasporti di merci venivano
effettuati su strada con carrozze, oppure lungo i fiumi o canali. In un primo
tempo si svilupparono maggiormente le ferrovie che, intorno al 1870,
attraversavano quasi tutta l’Europa e negli U.S.A. le strade ferrate
attraversavano deserti e praterie. Anche
l’Italia ebbe le sue ferrovie che si collegarono alle linee europee grazie al
traforo del Frejus (1857-1871). Nell’ottocento la macchina a vapore veniva applicata a tutto ciò che si muoveva, fino alla
creazione delle centrali elettriche, così che i motori elettrici vennero
applicati a tram. Contemporaneamente veniva ideato e
realizzato il motore a scoppio che venne applicato a vetture a quattro ruote
(brevettato da Gottlieb Daimler nel 1883).
Lo sviluppo delle industrie.
Grazie all’avvento di
ferrovie e auto-vetture, si svilupparono i centri siderurgici di cui la materia
primaria divenne l’acciaio che sostituì la ghisa nella realizzazione
delle ruote dei treni. Si ebbe la possibilità di produrre questa lega a basso
prezzo grazie all’invenzione dell’inglese Bessemer.
Nel campo
dell’elettricità, venne scoperto l’elettromagnetismo.
Ma la svolta decisiva è dovuta a Faraday, che nel 1831
dimostrò come un magnete in movimento può generare energia elettrica, a cui
diede il nome di dinamo. Per azionare la dinamo
occorreva un motore che venne chiamato turbina; grazie a queste due scoperte
nacquero centrali elettriche e all’elettricità idroelettrica l’industria potè
affermarsi svilupparsi in tutti i sensi.
Lo sviluppo dei trasporti.
Le forme moderne di trasporto pubblico ebbero origine nel
periodo della rivoluzione industriale, nella seconda metà del
XIX secolo: questa, oltre a fornire le tecnologie per la messa a punto di
efficienti mezzi per il trasporto di merci e passeggeri, rivoluzionò la vita
sociale e creò esigenze nuove, tra cui quella di un adeguato servizio di
trasporto; tale necessità nacque ad esempio per gli operai e i minatori, spesso
impiegati a notevoli distanze dal luogo di residenza. L'invenzione della
macchina a vapore, utilizzata come motore di locomotive e imbarcazioni, giovò
molto allo sviluppo dei trasporti: furono costruite le prime ferrovie e lungo i
fiumi furono adottati i vaporetti. Nelle aree urbane, che il processo di industrializzazione stava rendendo sempre più vaste e
popolate, cominciarono a circolare veicoli trainati da cavalli, gli omnibus (in
latino, "per tutti"); questi si affiancarono alle esistenti carrozze
pubbliche, che svolgevano le funzioni dei moderni taxi. Il primo omnibus
moderno fu quello di George Shillibeer, in circolazione a Londra a partire dal
1829, ma già nel 1662 Blaise Pascal aveva introdotto
una vettura molto simile a Parigi. Nel 1842, a New York, il francese Loubat
realizzò la prima linea di "tram a cavalli" composta da vetture simili a un omnibus ma circolanti su rotaie
predisposte lungo un percorso fisso. La macchina a vapore venne
adottata anche per alcune forme di trasporto urbano, in particolare per nuove
linee tramviarie.
Nel 1863 fu realizzata a Londra la prima linea ferroviaria
metropolitana sotterranea, tra le stazioni di Paddington e Farringdon, ancora
in funzione sull'odierna Circle Line. Dopo il 1880 la disponibilità di energia elettrica e il perfezionamento di motori elettrici
portò al progetto di tram, e in seguito anche di filobus, alimentati mediante
linee elettriche aeree per mezzo di un trolley. Dopo il 1910 lo sviluppo dei
motori a scoppio e diesel consentì di disporre di
autobus per i trasporti urbani ed extraurbani.
Mezzi pubblici oggi
Oggi sulle strade cittadine i mezzi pubblici sono in
diretta concorrenza con le auto private e quindi in generale risentono dei
problemi del traffico, tranne nei casi in cui godono
di corsie riservate.
In generale, le grandi città dispongono
di una o più linee sotterranee di metropolitana (ad esempio, 2 a Roma, 3
a Milano, 12 a Londra), indispensabili per garantire tempi di percorrenza
stabili, indipendenti dall'intensità del traffico urbano. I treni della
metropolitana sono in grado di viaggiare, nelle ore di punta, a una distanza di un paio di minuti l'uno dall'altro,
trasportando fino a 80.000 passeggeri all'ora. Le linee di metropolitana in
galleria sono oggi molto costose da realizzare sia con scavi a cielo aperto,
che bloccano l'intera zona dei lavori, sia con
tecniche di scavo in sotterraneo; per questo motivo sono spesso affiancate o
sostituite dalle cosiddette "metropolitane leggere" che corrono
all'aperto come tram a più vetture su linee isolate dal traffico.

Macchina a vapore
L'introduzione della macchina a vapore nell'industria
manufatturiera e dei trasporti a partire dalla seconda
metà del XVIII secolo avviò di fatto l'era della rivoluzione industriale. Si
trattava di un motore capace di convertire il calore del vapore prodotto dal
riscaldamento dell'acqua in energia meccanica utile per diverse applicazioni,
dalla produzione di elettricità alla locomozione dei
treni e delle navi.
La rivoluzione chimica.
Grazie al grande numero di reazioni
chimiche ormai note, gli studiosi si resero conto che esistevano delle
"affinità" tra le diverse sostanze, ossia che determinati materiali
reagivano più facilmente con alcuni composti piuttosto che con altri. Queste
osservazioni vennero raccolte in tabelle che
permettevano di prevedere l'esito di una reazione in base alle affinità dei
reagenti, prima ancora di effettuare l'esperimento in laboratorio. Nel corso
del XVIII secolo, facendo uso di queste conoscenze, vennero
isolati molti metalli, di cui furono studiati i derivati. Contemporaneamente ci
fu lo sviluppo di nuovi metodi per le analisi qualitative e quantitative,
ponendo i presupposti per lo sviluppo della moderna chimica analitica.
Anche lo studio chimico dei gas iniziò a
essere affrontato in modo più rigoroso dopo l'invenzione, da parte del
fisiologo britannico Stephen Hales, di uno strumento che permetteva di
raccogliere i gas sviluppati durante una reazione chimica in un contenitore
chiuso, in assenza di aria, e di misurarne il volume.
Un importante risultato nell'ambito della ricerca sui gas venne ottenuto nel 1756 per merito dello scienziato
britannico Joseph Black. Studiando la reazione di decomposizione del carbonato di magnesio, egli osservò che il riscaldamento del composto
sviluppava rilevanti quantità di gas, lasciando un residuo che chiamò magnesia
calcinata (ossido di magnesio); in seguito, dalla reazione di questa sostanza
con carbonato di sodio, si otteneva il sale di partenza. Black chiamò il gas
che si sviluppava (il composto oggi noto come diossido di carbonio) "aria
fissa", perché era come "intrappolata" all'interno del
carbonato. In questo modo veniva per la prima volta dimostrato che i gas erano
sostanze in grado di prendere parte a reazioni chimiche.
Un secondo passo verso lo sviluppo
della chimica moderna si ebbe con la scoperta dell'idrogeno, inizialmente
chiamato "aria infiammabile", da parte del chimico Henry Cavendish.
Questi introdusse inoltre delle nuove tecniche per isolare i gas liberati
durante le reazioni chimiche, fornendo al chimico e teologo Joseph Priestley
gli strumenti per scoprire nuovi elementi gassosi, tra i quali l'ossigeno.
Priestley intuì che questa sostanza era il costituente dell'aria coinvolto nei
processi di combustione e di respirazione: tuttavia, convinto che le sostanze
bruciassero meno rapidamente in presenza di ossigeno
piuttosto che di aria, ritenne questo gas povero di flogisto, e gli diede il
nome di "aria deflogisticata".
L'esatto ruolo dell'ossigeno nelle reazioni di combustione venne definito dal chimico francese Lavoisier, che diede
all'elemento il nome attuale.
Con una serie di esperimenti,
Lavoisier dimostrò che l'aria contiene il 20% di ossigeno e che la combustione
è dovuta alla reazione di questo elemento con la sostanza combustibile, negando
perciò l'esistenza del flogisto. Lavoisier diede inoltre la prima definizione di elemento chimico (una sostanza che non può essere
ulteriormente decomposta) e diede una prima versione della legge di
conservazione della massa. A seguito delle sue scoperte sulla combustione,
riformò la nomenclatura chimica, ai tempi ancora basata sugli antichi termini
alchimistici, introducendo le denominazioni sistematiche in uso ancora oggi.
Dopo il suo assassinio, avvenuto nel 1794 per mano dei giacobini, i suoi
discepoli proseguirono l'opera fondamentale iniziata dal maestro, ponendo le
basi della chimica moderna. Poco più tardi, il chimico svedese Jöns Jakob
Berzelius propose di indicare gli elementi con le prime lettere dei loro nomi
latini, come si fa tuttora.
le formule dei
composti in modo assoluto: assegnò perciò arbitrariamente peso atomico unitario
all'idrogeno e calcolò il peso atomico relativo dell'ossigeno dai rapporti di
combinazione, assumendo per l'acqua la formula HO; applicando la stessa
procedura ad altri composti ottenne i pesi atomici relativi di tutti gli
elementi allora noti. Dalla teoria atomica, egli dedusse la legge delle
proporzioni multiple: se due elementi diversi formano più di un composto, le
quantità in peso del primo elemento che si combinano con una quantità fissa del
secondo stanno tra loro come numeri interi. Questa previsione venne ben presto
avvalorata dai risultati sperimentali.
Le esposizioni internazionali.
Le esposizioni internazionali di prodotti artigianali,
industriali o artistici sorsero in Europa intorno alla metà dell'Ottocento,
traendo origine dalle grandi fiere medievali, nelle quali venivano
venduti prodotti di ogni genere. La prima esposizione a scopo propagandistico
si tenne nel 1756-57 in Gran Bretagna sotto il patrocinio della Società delle
arti.
Dalla seconda metà del XIX secolo,
tre furono le principali forme di esposizioni.
Le prime furono le esposizioni industriali finalizzate alla
diffusione dei prodotti di una specifica industria o di più settori o di un
dato paese. Rappresentative furono le esposizioni dei prodotti in cuoio, a
Berlino (1877); di prodotti britannici a Londra (1924); e di arredamenti
d'interni a Parigi (1947).
Un secondo tipo di esposizione,
particolarmente diffusa negli Stati Uniti, fu quella dedicata alla
commemorazione di eventi storici.
Il terzo tipo, le esposizioni universali internazionali, venivano patrocinate da un governo nazionale ed esponevano
una vasta gamma di prodotti. La prima grande esposizione
internazionale si tenne a Londra nel 1851 sotto la direzione della Società
delle arti presieduta dal principe Alberto, consorte della regina Vittoria. Per
l'occasione fu edificato il Crystal Palace. Al grande
successo della Grande Esposizione del 1851 seguirono altre esposizioni
internazionali a Dublino e New York (1853) e a Parigi nel 1855 con
l'Esposizione universale agli Champs Elysées.
Nel 1862 un'altra grande esposizione fu inaugurata a Londra, ma ebbe meno
successo di quella del 1851, nonostante la partecipazione di 29.000 espositori
e la presenza di oltre sei milioni di visitatori. Da allora la maggior parte
delle esposizioni universali operarono in perdita, ma,
dato il valore delle promozioni, e del turismo legato a tali eventi, si decise
di finanziarle con sussidi statali ed emissioni di prestiti obbligazionari.
Nel 1867 il governo francese e la città di Parigi
patrocinarono un'esposizione internazionale cui parteciparono
43.000 espositori e quasi 7 milioni di visitatori. Nel 1873 a Vienna si tenne
la più grande esposizione internazionale di quei
tempi. Fu eretto un edificio nel Prater, il famoso parco viennese sul Danubio,
che ospitò quasi 26.000 espositori e 6.500.000 visitatori. Tre anni dopo a
Philadelphia si organizzò l'Esposizione internazionale americana in
celebrazione del centenario della Dichiarazione d'Indipendenza.
Nel 1878 a Parigi in occasione di una esposizione
fu eretto sulla riva destra della Senna il palazzo del Trocadero, che rimase
una struttura permanente fino al 1936. Ancora a Parigi, nel 1889 si tenne la
quarta Esposizione internazionale nel centenario della Rivoluzione francese e
in quest'occasione fu eretta la Torre Eiffel, che divenne il simbolo della
città. La manifestazione ospitò circa 62.000 espositori e 32 milioni di
visitatori. Il 400° anniversario della scoperta dell'America fu celebrato in
un'esposizione internazionale a Chicago nel 1893, che costò oltre 31 milioni di
dollari, presentò più di 65.000 espositori e contò 27.500.000 visitatori. La
quinta grande esposizione francese si tenne a Parigi
nel 1900. L'esposizione ebbe grande successo
registrando più di 40 milioni di visitatori e 80.000 espositori.
In Italia, si ricordano nell'Ottocento l'esposizione
internazionale di Torino (1870) e quella di Milano (1881).
L'Esposizione
universale di Londra
Il 1° maggio 1851, presso il Crystal Palace di Hyde Park a Londra,
progettato dall'architetto Joseph Paxton, fu inaugurata l'Esposizione
universale, sotto la direzione della Società delle arti presieduta dal principe
Alberto, consorte della regina Vittoria. Il grande
successo incoraggiò altre iniziative analoghe: le grandi esposizioni di
Dublino, New York e Parigi.
La
torre Eiffel.
Torre
in ferro battuto, una delle attrazioni e dei simboli della
città di Parigi. Fu progettata dall'ingegnere
Alexandre Gustave Eiffel in occasione dell'Esposizione mondiale del 1889, ed
era destinata a essere smantellata una volta terminata l'esposizione nel Campo
di Marte. Pietra miliare dell'architettura contemporanea, fu uno dei primi
esempi di costruzioni in ferro battuto realizzate su
grandi dimensioni.
La torre, per la cui realizzazione occorsero
6300 tonnellate di ferro, è alta 293 m, esclusa la moderna antenna televisiva,
che ne porta l'altezza a 320 m. La base consta di quattro pilastri arcuati, i
quali si uniscono a sostegno della struttura, che va assottigliandosi verso
l'alto ed è interrotta da tre piattaforme, ognuna delle quali ospita un
belvedere. La torre è munita di scale e ascensori; al primo
piano si trova un ristorante, e alla sommità sono collocate una stazione
meteorologica, una stazione radio e un ripetitore televisivo; un tempo vi era
anche lo studio dell'ingegner Eiffel.
Torre Eiffel,
Parigi
La Torre Eiffel, che si erge con i suoi 320 m d'altezza sopra la
capitale francese, fu eretta in occasione dell'Esposizione parigina del 1889.
Progettata dall'ingegnere francese Gustave Eiffel, questa imponente
costruzione in ferro è un capolavoro della tecnologia del XIX secolo.