Osservazioni di Paolo Bonetti sullo schema di ddl sull'immigrazione
(bozza del 31 agosto 2001)
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PAOLO BONETTI

PRIME OSSERVAZIONI SULLO SCHEMA DI DISEGNO DI LEGGE SULL’IMMIGRAZIONE (BOZZA DEL 31/8/2001)


OSSERVAZIONI GENERALI:

1. Il contenuto di tutte le norme del ddl, contrariamente a ciò che prevedeva il programma elettorale in materia di immigrazione con cui la Casa delle libertà ha vinto le elezioni, perché non vi alcun equilibrio tra accoglienza e integrazione degli stranieri regolarmente soggiornanti e lotta contro l’immigrazione clandestina.
Infatti il ddl comporta nel complesso un disegno che in nulla si cura dell’integrazione degli stranieri regolarmente soggiornanti, ma che si occupa soltanto della prevenzione e della repressione dell’immigrazione clandestina, il che si intende perseguire attraverso:
- un’ulteriore precarizzazione della condizione dello straniero regolarmente soggiornante, anche di lungo periodo;
- una forte repressione dell’immigrazione clandestina, secondo modalità e forme che talvolta violano i diritti costituzionalmente garantiti e talvolta appaiono controproducenti perché ostacolando gli ingressi regolari finiranno per incentivare l’ingresso e il lavoro irregolare;
- un irrigidimento della disciplina degli ingressi regolari per lavoro secondo canali e forme che appaiono inutilmente complicate rispetto alle concrete esigenze del mercato del lavoro e che in realtà ritornano al passato ripristinando un sistema analogo a quello che fino al 1998 non ha affatto limitato l'immigrazione, ma al contrario ha determinato un blocco dei nuovi ingressi regolari per lavoro e ha perciò incentivato il ricorso massiccio all'immigrazione clandestina e ha così costretto il legislatore ad intervenire nel 1987, nel 1990, nel 1995 e nel 1998 con provvedimenti di regolarizzazione.
- la sostanziale vanificazione del diritto d’asilo e la forte restrizione della condizione giuridica dei richiedenti asilo

2. Nel merito quasi tutte le norme del ddl si presentano come superflue o controproducenti o di dubbia legittimità costituzionale, le quali non colgono nemmeno l’opportunità per prevedere l’adeguamento dell’ordinamento italiano alle complesse e articolate norme comunitarie recentemente approvate o in corso di approvazione proprio sugli argomenti che sono oggetto del ddl: ingressi per lavoro, ricongiungimenti familiari, standard minimo per le domande di asilo, status degli stranieri titolari di un permesso di lungo periodo ecc.

3. Dalle osservazioni generali sopra proposte e dalle osservazioni puntuali che seguiranno si ricava la necessità di un profondo ripensamento di quel testo di ddl sotto due profili.
In primo luogo occorrerebbe rinviare ad altro ddl ben più articolato ogni modifica legislativa delle materie che siano oggetto di recenti o imminenti norme dell'Unione europea (lavoro, ricongiungimento familiare, asilo): un mancato rinvio da parte del Governo non servirebbe comunque, ma anzi comporterebbe un prevedibile blocco dell’esame del ddl da parte delle Camere, perché durante l’esame del Parlamento sarebbe comunque evidente la totale inadeguatezza delle nuove norme alle norme comunitarie – nel frattempo entrate in vigore - e comporterebbe comunque un loro stralcio in vista di un loro completo ripensamento. In ogni caso anche se in sede parlamentare tutto ciò non si verificasse una nuova legge che dimentichi di adeguarsi alle norme comunitarie in materia avrebbe vita brevissima, perché nel giro di pochi mesi si dovrebbe approvare una nuova legge per adeguare tutta la legislazione all’imponente massa di norme comunitarie alle quali l’Italia ha comunque l’obbligo di adeguarsi in virtù della sua appartenenza all’Unione europea.
In secondo luogo per conseguire effettivamente gli scopi espressamente indicati nel programma di governo proposto agli elettori - e per evitare effetti del tutto controproducenti - occorrerebbe chiedersi se prima di addivenire a modifiche legislative non sia invece più urgente provvedere a cambiamenti nell'azione diplomatica e nell'attuazione delle norme vigenti, utilizzando a tal fine l'amplissima discrezionalità che esse lasciano al Governo in carica.
Anche per la disciplina dell’immigrazione occorre evitare una prassi che è stata comune a tutti i Governi e i Parlamenti della Repubblica: illudere la pubblica opinione e/o illudersi che per ottenere un cambiamento di politiche pubbliche sia sufficiente elaborare un disegno di legge e farlo approvare dal Parlamento senza approfondire se le nuove norme siano davvero necessarie ed efficaci per ottenere gli scopi che ci si prefigge o, meglio, senza interrogarsi se davvero occorra un nuovo intervento legislativo o se invece sia più efficace e tempestiva un'impegnativa azione politica, amministrativa e diplomatica per dare una diversa o migliore attuazione alle norme vigenti.
Il rischio è che ancora una volta un Governo proponga e il Parlamento italiano approvi leggi il cui contenuto non serve affatto a regolare efficacemente il fenomeno migratorio, ma soltanto a rassicurare gli elettori timorosi per la propria sicurezza.
In ogni caso la storia dimostra che simili rassicurazioni sono assai effimere e controproducenti, perché un fenomeno migratorio più represso si trasforma di fatto in un fenomeno meno regolare e meno controllato e ciò finisce per aumentare ancor di più la sensazione di insicurezza collettiva.
Art. 1
(Cooperazione con Stati stranieri)

1. Le erogazioni liberali a favore delle iniziative missionarie ed umanitarie, religiose e laiche, sviluppate nei Paesi non appartenenti all'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) sono, senza limiti di importo, deducibili dal reddito imponibile, ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) e dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche (IRPEG) e dal valore aggiunto della produzione imponibile, ai fini dell'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP).


2. Il Governo procede alla revisione immediata dei programmi di cooperazione e di aiuto nei confronti dei Paesi non appartenenti all'Unione Europea, quando i relativi governi non adottano le necessarie misure di contrasto alle organizzazioni criminali impegnate nell'immigrazione clandestina, nello sfruttamento della prostituzione, nel traffico di stupefacenti e di armamenti.

Norma superflua e inopportuna.


Il primo comma potrebbe entrare a far parte di norme di leggi finanziarie o tributarie. In ogni caso il principio della laicità dello Stato e della parità tra le confessioni religiose impedisce di prevedere sconti fiscali a carico di istituzioni “missionarie”.


Il secondo comma è del tutto superfluo perché le misure che prevede possono essere già oggi adottate dal Ministero degli affari esteri in base alle leggi vigenti in materia di cooperazione allo sviluppo. Del resto un incentivo alla collaborazione è già espressamente previsto dalle vigenti norme del T.U. sull’immigrazione (cfr. artt. 2, 3, 19). Insistere su una forma di sanzione e non di incentivo (come le quote preferenziali o la cessione di apparecchiature per il controllo) finirebbe col penalizzare proprio quei Paesi di maggiore emigrazione e impedirebbe all’Italia di adottare politiche graduali: una forma di sanzione potrebbe invece consistere nella revoca dei benefici previsti dalla legislazione sull’immigrazione (p. es. riduzione o eliminazione delle quote preferenziali di ingresso)

Art. 2
(Comitato per il coordinamento ed il monitoraggio dell’attuazione)

1) Dopo l’articolo 2 del Decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 recante il Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero è inserito il seguente:
Articolo 2-bis: (Comitato per il coordinamento e il monitoraggio dell'attuazione)
1. È istituito un Comitato per il coordinamento e il monitoraggio dell'attuazione del presente Testo Unico.
2. Il Comitato è presieduto dal Presidente del Consiglio dei ministri o, su sua delega, dal Ministro dell'interno, ed è composto dai Ministri degli affari esteri, dell’interno, dell’economia e finanze, del lavoro della salute e delle politiche sociali, della sanità, dell'industria, delle attività produttive, della giustizia, dell’istruzione, dell’università e della ricerca scientifica, delle politiche comunitarie, delle pari opportunità e degli affari regionali
3. Per l'istruttoria delle questioni di competenza del Comitato è istituito un gruppo tecnico di lavoro coordinato dal Capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’interno e composto da rappresentanti dei ministeri di cui al comma 2; alle riunioni, in relazione alle materie oggetto di esame, possono essere invitati anche rappresentanti delle altre amministrazioni interessate all'attuazione del presente Testo Unico. Le funzioni di segreteria e supporto amministrative sono svolte dal Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’interno».
Norma superflua e di dubbia legittimità costituzionale.


Un simile comitato interministeriale può essere istituito in qualsiasi momento con proprio decreto dal Presidente del Consiglio dei ministri in base alla legge n. 400/1988, così come è avvenuto nella precedente legislatura.
La mera istituzione per legge di un simile organismo non può certo incrementarne l’efficacia operativa.
Inoltre essa va in direzione opposta rispetto alla legislazione recente che mira a ridurre al minimo i comitati interministeriali.
E’ altresì evidente che la norma sempre invece mirare a dare una priorità al Ministero dell’Interno nel coordinamento dell’indirizzo amministrativo degli altri ministeri, ma così facendo si viola l’art. 95 Cost. che conferisce tale attribuzione al solo Presidente del Consiglio dei Ministri.
Da ultimo si segnalano numerosi errori nella denominazione dei Ministeri, alcuni dei quali sono stati da alcuni mesi soppressi (industria, sanità) o modificati (ministero del lavoro e delle politiche sociali) o neo-istituiti (salute).
Art. 3
(politiche migratorie)

1) Il comma 4 dell'articolo 3 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 recante il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero è sostituito dal seguente:
"4. Con decreto annuale del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti i Ministri interessati e le competenti Commissioni parlamentari, sono definite, entro il termine del 31 dicembre dell’anno precedente a quello al quale si riferisce il decreto stesso, sulla base dei criteri di cui al Documento programmatico di cui al comma 1, le quote massime di stranieri da ammettere nel territorio dello Stato per lavoro subordinato, anche per esigenze di carattere stagionale e per lavoro autonomo, tenuto conto dei ricongiungimenti familiari e delle misure di protezione temporanea eventualmente disposte ai sensi dell'articolo 20. Qualora se ne ravvisi la necessità, ulteriori decreti potranno essere emanati durante l’anno. I visti di ingresso ed i permessi di soggiorno per lavoro subordinato, anche per esigenze di carattere stagionale e per lavoro autonomo, sono rilasciati entro il limite delle quote predette. In caso di mancata pubblicazione del decreto di programmazione annuale non si fa luogo al rilascio dei visti di ingresso e dei permessi di soggiorno, fatto salvo quanto previsto agli articoli 20, 27, 28, 29, 30 e 36.
Norma in parte opportuna, in parte ambigua e di dubbia legittimità costituzionale.

Da un lato si prevede espressamente un termine per la determinazione delle quote di ingresso in Italia per lavoro; per evitare inutili slittamenti dovuti ad altre fasi della procedura (Parere parlamentare, emanazione definitiva, registrazione della Corte dei conti) sarebbe però opportuno precisare che il termine del 31 dicembre si riferisce alla pubblicazione del D.P.C.M. di determinazione.

Dall’altro lato si prevede che in caso di mancata emanazione del D.P.C.M. non si possa più fare riferimento alle quote determinate nell’anno precedente e che non possano essere rilasciati altri visti e permessi di soggiorno. La norma è assai ambigua sotto diversi profili.
In primo luogo impedire il rilascio di permessi di soggiorno intende ovviamente riferirsi non già a qualsiasi tipo di permesso di soggiorno o di visto di ingresso, bensì a nuovi permessi di soggiorno e visti di ingresso per lavoro subordinato, lavoro autonomo, lavoro stagionale: occorrerebbe precisarlo invece di inserire un lungo elenco di norme (si potrebbe mantenere soltanto il riferimento all’art. 27).
In secondo luogo un simile divieto impedisce alle Camere di esprimere un proprio parere anche sulla scelta del Governo di non consentire nuovi ingressi per lavoro e di fatto consente al Governo con una scelta totalmente discrezionale di privare di ogni efficacia le norme legislative in vigore in materia di ingressi per lavoro e ciò contrasta con la riserva di legge in materia di condizione giuridica dello straniero prevista dall’art. 10, comma 2 Cost.
Art. 4
(permesso di soggiorno e contratto di soggiorno)

1. Al comma 3 dell'articolo 5 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 recante il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero le lettere b) e d) sono abrogate.
2. Al comma 3 dell’articolo 5 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 recante il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero dopo le parole “la durata del permesso di soggiorno è quella prevista dal visto di ingresso” aggiungere le seguenti “salvo quanto stabilito dal comma 3-bis”.
3. Dopo il comma 3 dell'articolo 5 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 recante il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero sono inseriti i seguenti:
“3-bis. Possono altresì soggiornare nel territorio dello Stato gli stranieri entrati regolarmente ai sensi dell’articolo 4, che siano muniti di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno rilasciati a seguito della stipula di un contratto di soggiorno per lavoro. La durata del relativo permesso di soggiorno per lavoro è quella prevista dal contratto di soggiorno. Il contratto di soggiorno per lavoro è sottoscritto in base a quanto previsto dal successivo articolo 22 presso la Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo della provincia nella quale risiede il datore di lavoro secondo le modalità previste nel regolamento di attuazione:
a) in relazione ad un lavoro stagionale con durata non superiore a nove mesi;
b) in relazione ad un lavoro subordinato a tempo determinato con durata pari a quella del contratto e comunque non superiore ad un anno.
c) in relazione ad un lavoro subordinato a tempo indeterminato con durata non superiore a due anni.
“3-ter. Possono inoltre soggiornare nel territorio dello Stato gli stranieri muniti di permesso di soggiorno per lavoro autonomo rilasciato sulla base della certificazione della competente Rappresentanza diplomatica o consolare italiana della sussistenza dei requisiti previsti dall’articolo 26 del presente Testo Unico. Il permesso di soggiorno non potrà avere validità superiore ad un periodo di due anni.”
3-quater. Presso le Rappresentanze diplomatiche italiane sono istituiti i ruoli di immigrazione cui è iscritto lo straniero che ha sottoscritto il contratto di soggiorno o ottenuta la certificazione per lavoro autonomo. A tutti i soggetti iscritti nei ruoli di immigrazione è attribuito il codice fiscale italiano.”
4. Il comma 4 dell'articolo 5 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 recante il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero è sostituito dal seguente:
"4. Il rinnovo del permesso di soggiorno deve essere richiesto dallo straniero al questore della provincia in cui risiede, almeno novanta giorni prima della scadenza, ed è sottoposto alla verifica delle condizioni previste per il rilascio e delle diverse condizioni previste dal presente Testo Unico. Fatti salvi i diversi termini previsti dal presente Testo Unico e dal regolamento di attuazione, il permesso di soggiorno è rinnovato per una durata non superiore a quella stabilita con rilascio iniziale".
5. Il comma 8 dell'articolo 5 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 recante il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero è sostituito dai seguenti:
"8. il permesso di soggiorno e la carta di soggiorno di cui all'articolo 9 sono rilasciati mediante utilizzo di carte magnetiche con caratteristiche anticontraffazione conformi ai tipi da approvare con decreto del Ministro dell'Interno, in attuazione dell'Azione comune adottata dal Consiglio dell'Unione europea il 16 dicembre 1996, riguardante l'adozione di un modello uniforme per i permessi di soggiorno.
8-bis. Chiunque redige un permesso di soggiorno, un contratto di soggiorno o una carta di soggiorno falsi o ne altera di veri, ovvero redige documenti falsi o ne altera di veri al fine di determinare il rilascio di un permesso di soggiorno, di un contratto di soggiorno o di una carta di soggiorno, è punito con la reclusione da un anno a quattro anni e con la multa da 20 milioni a 50 milioni di lire. La pena è aumentata se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni".
6. entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge, possono altresì stipulare, presso le Prefetture - Uffici Territoriali del Governo territorialmente competenti, un contratto di soggiorno per lavoro gli stranieri che, oltre a dimostrare di possedere un adeguato alloggio e non esser stati destinatari di un provvedimento di espulsione, abbiano presentato domanda di lavoro subordinato o autonomo ai sensi del Decreto di programmazione degli ingressi del Presidente del Consiglio dei Ministri del 16 ottobre 1998 o che abbiano ottenuto, nei cinque anni antecedenti all’entrata in vigore del presente legge, un permesso di soggiorno per lavoro.
Norma confusa, ambigua e inutile.

In generale il "contratto di soggiorno" appare misura di scarsa concretezza ed efficacia sotto diversi profili.

In primo luogo il ddl riproduce in realtà norme già in vigore:
- la firma di un contratto di lavoro subordinato prima dell'ingresso per lavoro è già attualmente prevista dall'art. 22, comma 8 T.U.
- la durata dei permessi di soggiorno per lavoro è la stessa già oggi prevista dall'art. 5, comma 3, lett. b) e d) T.U., lettere che la norma del comma 1 vuole abrogare.

In secondo luogo l'istituzione (con il nuovo comma 3-quater) di un ruolo di immigrazione presso i consolati a cui potrebbe accedere chi ha sottoscritto il contratto è assai bizzarra: il “ruolo d’immigrazione” tenuto dai consolati italiani all’estero è sistema analogo alle liste consolari che già oggi sono istituite nell’ambito dell’AILE, anagrafe informatizzata dei lavoratori extracomunitari istituita dall’art. 21, comma 7 T.U. che sarebbe comunque destinato ad estendersi a tutti i consolati italiani, ma lo si lega ad un contratto di lavoro e ad un codice fiscale che di fatto già da un decennio è rilasciato, a richiesta, proprio dopo l'ingresso in Italia.
Per fare le modifiche all’ordinamento dell’AILE indicate nel ddl non occorre una modifica legislativa, bensì una modifica dell’art. 41 del regolamento di attuazione del T.U.
E’ poi ragionevole chiedersi con quali risorse umane, strutturali e finanziarie si possano concretamente istituire fin da subito “ruoli di immigrazione” in tutti i consolati italiani all’estero.





Il comma 3-ter è poi del tutto inutile e contraddittorio perché riproduce la durata di due anni del permesso di soggiorno per lavoro autonomo – durata che era già prevista dal comma 3 dello stesso art. 5 T.U. che il comma 1 vuole abrogare – e si riferisce ai requisiti previsti dall’art. 26 T.U. così come oggi è previsto dalle norme legislative e regolamentari in vigore.





Inoltre il nuovo comma 4 dell’art. 5 irrigidisce inutilmente i termini per il rinnovo del permesso di soggiorno:
- portare da 30 a 90 giorni i termini per la presentazione della domanda di rinnovo del permesso potrebbe comportare inutili e incomprensibili disguidi pratici con riferimento ai permessi di soggiorno di durata inferiore a due anni e in particolare di quelli di durata compresa tra i 90 giorni e l’anno: pochi giorni o pochi mesi dopo aver ottenuto il rilascio del permesso, lo straniero dovrebbe essere tenuto a richiederne il rinnovo
- ridurre a metà la durata del permesso di soggiorno rinnovato significa voler rafforzare la precarietà della condizione degli stranieri regolarmente soggiornanti.

La modifica del comma 5 non necessariamente avrebbe richiesto una modifica di norme legislative, anche perché il Ministero dell’Interno non ha provveduto ad attuare l’Azione comune già citata dalla legge. Peraltro una simile modifica legislativa può apparire comunque inopportuna in considerazione della recente proposta della Commissione - COM (2001) 157 : Proposta di Regolamento del Consiglio che istituisce un modello uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di paesi terzi.





La norma penale del comma 8-bis appare opportuna, ma per ragioni sistematiche dovrebbe essere collocata nell’art. 12 T.U. che già contiene molte altre norme penali dirette a contrastare ogni tipo di agevolazione dell’immigrazione illegale.




Infine il comma 6 appare inutilmente vessatorio nei confronti di tutti gli stranieri regolarmente soggiornanti: prevedere l’obbligo di stipulare un “contratto di soggiorno” da parte degli stranieri regolarmente soggiornanti per lavoro o che abbiano fatto domanda di regolarizzazione nel 1998 significa dimenticare che centinaia di migliaia di quegli stranieri stanno già svolgendo regolari attività di lavoro subordinato in base a regolari contratti di lavoro già stipulati e verificati.
Articolo 5
(facoltà inerenti il soggiorno)

1. Al comma 1 dell’articolo 6 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 recante il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, dopo le parole “prima della sua scadenza,” inserire le seguenti: “e previa stipula del contratto di soggiorno per lavoro ovvero il rilascio della certificazione della sussistenza dei requisiti previsti dall’art. 26 del presente Testo Unico da parte dell’Ufficio Territoriale del Governo competente per il luogo di residenza”.
Norma superflua, perché riproduce concetto non molto diverso da ciò che già oggi prevede l’art. 14, comma 5 del regolamento di attuazione
Art. 6 (sanzioni per l’inosservanza degli obblighi dell’ospitante e del datore di lavoro)

1. All’articolo 7 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 recante il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, aggiungere il seguente comma:
“3. Le violazioni delle disposizioni di cui presente articolo sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire trecentomila a lire due milioni”.
Norma inutilmente vessatoria.
Essa ripristina la sanzione pecuniaria (come già prevedeva l’abrogato art. 147 del T.U. Leggi di P.S.) nel caso di mancata segnalazione dell'ospitante e del datore di lavoro.
Si tratta di un'inutile duplicazione di adempimenti (in base alle norme generali vigenti già ogni datore di lavoro deve fare entro 5 giorni dall’assunzione la denuncia della stipulazione del contratto di lavoro ai servizi per l’impiego) che invece potrebbero essere sostituiti da comunicazioni tra i servizi per l’impiego e le Questure, che comporta un irrigidimento che contrasta con la ripetuta esigenza di flessibilità del mercato del lavoro.
Art. 7
(Carta di soggiorno)

1. Al comma 1 dell'articolo 9 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 recante il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, le parole: "cinque anni" sono sostituite dalle seguenti: “otto anni”.
Norma del tutto inutile, dannosa e immotivata.

L'elevamento da 5 a 8 anni della durata del soggiorno regolare quale presupposto richiesto per il rilascio della carta di soggiorno contrasta con gli scopi di integrazione sociale degli stranieri regolarmente soggiornanti e dunque appare un irrigidimento inutile, anche perché lo stesso art. 9 T.u. prevede che non è sufficiente il soggiorno ininterrotto per ottenere il rilascio della carta, ma che lo straniero deve avere altri requisiti (reddito, alloggio, parentela ecc.).
Inoltre la norma potrebbe rivelarsi del tutto inutile perché tra poco tutta la disciplina della carta di soggiorno dovrebbe essere rivista dal legislatore al fine di adeguarla alle complesse norme della recente proposta di direttiva della Commissione europea sui soggiorni di lunga durata, il cui presupposto di durata massima prevista è proprio 5 anni. Cfr. Proposta della Commissione COM (2001) 127: Proposta di direttiva del Consiglio relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano residenti di lungo periodo (la Commissione propone che ogni Stato membro debba adeguare il proprio ordinamento entro il 31 dicembre 2003).
Infine la norma del ddl appare in controtendenza con le recenti leggi di altri Paesi europei (Germania) che prevedono il periodo di 8 anni come presupposto non già per il rilascio di un titolo di soggiorno di lunga durata, bensì per la concessione della cittadinanza.
Art. 8
(Potenziamento e coordinamento dei controlli di frontiera)

1. Dopo il comma 1 dell'articolo 11 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 recante il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero è inserito il seguente:
1.-bis Il ministro dell’interno, sentito, se del caso, il Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica emana le misure necessarie per il coordinamento unificato dei controlli sulla frontiera marittima e terrestre italiana. Il ministro dell’interno promuove altresì apposite misure di coordinamento tra le autorità italiane competenti in materia di controlli sull’immigrazione e le autorità europee competenti in materia di controlli sull’immigrazione ai sensi del Trattato di Schengen.
Norma del tutto superflua.

L’adozione di misure di coordinamento è facoltà che già oggi può essere realizzata: in base al vigente comma 3 dell’art. 11 T.U. le direttive per il coordinamento dei controlli di frontiera devono essere adottate dal Ministro dell’Interno, il quale – prima di adottarle - di per sé può sempre avvalersi del Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica, senza che occorra alcuna nuova norma legislativa.
Art. 9
(Disposizioni penali contro le immigrazioni clandestine)

1. All’articolo 12, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 recante il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, dopo le parole “nel territorio dello Stato” inserire le seguenti: “ovvero l’ingresso degli stranieri, presenti illegalmente in Italia, nel territorio di un altro Stato”.

2. Il comma 3 dell'articolo 12 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 recante il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero è sostituito dal seguente:
3.“Chiunque compia attività dirette a favorire l’ingresso degli stranieri nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni del presente Testo Unico al fine di lucro o in concorso con due o più persone utilizzando servizi di trasporto internazionale o documenti contraffatti ovvero quando il fatto riguarda l’ingresso di cinque o più persone è punito con la pena della reclusione da quattro a dodici anni e la multa di lire trenta milioni per ogni straniero di cui è stato favorito l’ingresso in violazione del presente testo unico.”

3. Dopo il comma 3 dell’ art. 12 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 recante il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero sono inseriti i seguenti:
3-bis “Chiunque compia attività dirette a favorire l’ingresso degli stranieri nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni del presente Testo Unico al fine di reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione ovvero quando il fatto riguarda l’ingresso di minori da impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento, è punito con la reclusione da 5 a quindici anni e con la multa di lire cinquanta milioni per ogni straniero di cui è stato favorito l’ingresso in violazione delle norme del presente Testo Unico.”
3-ter. : “Alle persone condannate per i fatti di cui ai commi 3 e 3-bis si applicano le disposizioni dell’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n.354.”

4. Dopo il comma 9 dell'art. 12 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 recante il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero sono inseriti i seguenti:
9-bis. La nave italiana da guerra o in servizio di polizia, che incontri in mare territoriale o in acque territoriali una nave nazionale anche da diporto che si ha fondato motivo di ritenere essere adibita al trasporto di stranieri clandestini, può fermarla, sottoporla a visita e a perquisizione, sequestrarla e condurla in un porto dello Stato o nel porto estero più vicino in cui risieda una autorità consolare italiana.
9-ter. I poteri di cui al comma 9-bis possono esplicarsi su navi non nazionali nelle acque territoriali, e, al di fuori di queste, nei limiti consentiti dalle norme dell'ordinamento internazionale, o da accordi bilaterali o multilaterali.
9-quater. Le disposizioni di cui ai commi 9-bis e 9-ter si applicano, in quanto compatibili, anche agli aeromobili".

Le nuove disposizioni penali e processuali contro le immigrazioni clandestine sembrano riprodurre misure già proposte nella precedente legislatura.
Opportuna è la previsione del reato di favoreggiamento dell'ingresso a fine di transito verso altri Stati così ponendo fine alla controversa interpretazione riduttiva data dalla giurisprudenza della fattispecie già oggi prevista dall'art. 12 T.U.
Altrettanto opportuna è la previsione di una trasformazione da circostanza aggravante a autonome figure di reato dei delitti oggi previsti dall’art. 3 comma 12 T.U.

Peraltro un ulteriore rafforzamento della lotta allo sfruttamento dell’immigrazione clandestina potrebbe giungere dall’introduzione di altre misure:
- l’estensione della fattispecie del comma 3-bis al favoreggiamento del soggiorno illegale (a volte è difficile riuscire a provare che lo sfruttatore dello straniero clandestino – prostituta, minore o criminale - è anche colui che ne ha favorito l’ingresso illegale);
- la previsione di una norma che introduca nel codice penale una circostanza aggravante comune riguardante delitti compiuti in Italia ai danni di o ad opera di straniero presente illegalmente sul territorio nazionale.
In ogni caso stupisce che nessuna norma del ddl colga l’occasione per provvedere ad adeguare le sanzioni attualmente previste nei confronti dei vettori che trasportano stranieri clandestini alle recenti norme della Direttiva 2001/51/CE del Consiglio, del 28 giugno 2001, che integra le disposizioni dell'articolo 26 della convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen del 14 giugno 1985, alle quali ogni Stato membro deve comunque adempiere entro l’11 febbraio 2003.

Art. 10
(espulsione amministrativa)

1. Il primo periodo del comma 3, dell’art. 13 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 recante il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero è sostituito dal seguente:
“3. L’espulsione è disposta in ogni caso con decreto motivato immediatamente esecutivo, anche se sottoposto a impugnativa da parte dell’interessato. Quando lo straniero è sottoposto a procedimento penale, il questore, prima di eseguire l’espulsione, richiede il nulla osta all’autorità giudiziaria, che può negarlo solo in presenza di inderogabili esigenze processuali valutate anche in relazione all’interesse della persona offesa. In tal caso il provvedimento è sospeso fino a quando l’autorità giudiziaria comunica la cessazione delle esigenze processuali. Il questore, ottenuto il nulla osta, provvede all’espulsione con le modalità di cui al comma 4. Il nulla osta si intende concesso qualora l’autorità giudiziaria non provveda entro 15 giorni dalla richiesta. In attesa della sua concessione, il questore può adottare la misura del trattenimento presso un centro di permanenza temporanea.

2. I commi 4 e 5 dell’articolo 13 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 recante il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero sono sostituiti dai seguenti:
4. L’espulsione è sempre eseguita dal Questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica ad eccezione dei casi di cui al successivo comma 5.
5. Nei confronti dello straniero che si è trattenuto nel territorio dello Stato quando il permesso di soggiorno è scaduto di validità da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo, l’espulsione contiene l’intimazione a lasciare il territorio dello Stato entro il termine di quindici giorni. In tal caso, il questore può adottare la misura di cui all’articolo 14, comma 1, qualora il prefetto rilevi, tenuto conto di circostanze obiettive riguardanti l’inserimento sociale, familiare e lavorativo dello straniero, il concreto pericolo che quest’ultimo si sottragga all’esecuzione del provvedimento.”

3. Il comma 6 dell’articolo 13 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 recante il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero è abrogato.

4. Il comma 8 dell'art. 13 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 recante il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero è sostituito dal seguente:
"8. Avverso il decreto di espulsione può essere presentato unicamente il ricorso al tribunale in composizione monocratica del luogo in cui ha sede l’autorità che ha disposto l’espulsione. Il termine è di sessanta giorni dalla data del provvedimento di espulsione. Il tribunale in composizione monocratica accoglie o rigetta il ricorso, decidendo con unico provvedimento adottato, in ogni caso, entro venti giorni dalla data di deposito del ricorso. Il ricorso di cui al presente comma può essere sottoscritto anche personalmente, ed è presentato anche per il tramite della rappresentanza diplomatica o consolare italiana nel Paese di destinazione. La sottoscrizione del ricorso, da parte della persona interessata, è autenticata dai funzionari delle rappresentanze diplomatiche o consolari che provvedono a certificarne l'autenticità e ne curano l'inoltro all'autorità giudiziaria, Lo straniero è ammesso all'assistenza legale da parte di un patrocinatore legale di fiducia munito di procura speciale rilasciata dall'autorità consolare. Lo straniero è altresì ammesso al gratuito patrocinio a spese dello Stato, e, qualora sia sprovvisto di un difensore, è assistito da un difensore designato dal giudice nell'ambito dei soggetti iscritti nella tabella di cui all'art. 29 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, nonché ove necessario, da un interprete".

5. I commi 9 e 10 dell'art. 13 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 recante il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero sono abrogati:

6. Sostituire il comma 13 dell’articolo 13 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 recante il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero con il seguente:
“13. Lo straniero espulso non può rientrare nel territorio dello Stato senza una speciale autorizzazione del Ministro dell'interno; in caso di trasgressione, è punito con la reclusione da uno a quattro anni. E’ obbligatorio l’arresto e si procede con rito direttissimo. Con la sentenza di primo grado il giudice ordina l’espulsione coattiva dello straniero.

7. Sostituire il comma 14 dell’articolo 13 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 recante il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero con il seguente:
“14. Il divieto di cui al comma 13 opera per un periodo di dieci anni, salvo che il tribunale in composizione monocratica o il tribunale amministrativo regionale, con il provvedimento che decide sul ricorso di cui ai commi 8 e 11, ne determinino diversamente la durata per un periodo non inferiore a tre anni, sulla base di motivi legittimi addotti dall'interessato e tenuto conto della complessiva condotta tenuta dall'interessato sul territorio dello Stato.”
Norma di dubbia legittimità costituzionale

La nuova disciplina dell'espulsione amministrativa rende ordinario il regime dell'esecutorità dell'espulsione amministrativa stessa, salvo che nei casi di straniero a cui il permesso sia scaduto da più di 60 giorni e non ne sia stato richiesto il rinnovo, rende più certi i tempi per il nulla osta dell'A.G., raddoppia da 5 a 10 anni il periodo di divieto di rientro (senza distinguere i diversi tipi di motivo di espulsione) e trasforma il rientro illegale dell'espulso in delitto (con pene più che raddoppiate e processo per direttissima).
L'esecutorietà immediata dell'espulsione amministrativa - misura che di per sè può essere legittimamente scelta dallo Stato (a condizione di sapere se e come sia effettivamente eseguibile) - è però incostituzionale in questa forma sotto due profili.
In primo luogo viola la riserva di giurisdizione prevista dall'art. 13 Cost.: come ha confermato la sent. n. 105/2001 della Corte costituzionale l'accompagnamento immediato alla frontiera è una misura limitativa della libertà personale che deve essere disposta e/o convalidata dall'autorità giudiziaria.
In secondo luogo si viola la riserva rinforzata di legge prevista dall'art. 10, comma 2 Cost., nella parte in cui si viola l'art. 1 del Prot. n. 7 Conv. eur. dir. uomo del 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo con legge 9 aprile 1990 n. 98, che impone di lasciare agli stranieri già regolarmente soggiornanti un termine per potersi di difendere contro l'espulsione prima che questa sia eseguita, salvo che l’espulsione sia disposta per gravi motivi di ordine pubblico.
E’ evidente che sono da ritenersi regolarmente soggiornanti tutti gli stranieri espulsi ai sensi dell’art. 13, comma 2 T.U.
E’ comunque chiaro che in generale il diritto alla difesa dello straniero espulso è privato di ogni effettività. In particolare appare del tutto liberticida la norma che prevede un termine per il ricorso di 60 gg. dalla data del provvedimento di espulsione e non dalla data della comunicazione dello stesso allo straniero.
Infine la nuova disciplina dell’espulsione amministrativa appare comunque carente dal punto di vista comunitario, perché omette di dare attuazione alla recente Direttiva 2001/40/CE del Consiglio, del 28 maggio 2001, relativa al riconoscimento reciproco delle decisioni di allontanamento dei cittadini di paesi terzi, alla quale ogni Stato membro dell’Unione deve adeguarsi entro il 2 dicembre 2002.


Art. 11
(Esecuzione dell'espulsione)

1. “Il comma 5 dell’articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 recante il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero è sostituito con il seguente con il seguente:
“La convalida comporta la permanenza nel centro per un periodo di complessivi trenta giorni. Qualora sia particolarmente difficoltoso l’accertamento dell’identità e della nazionalità, ovvero l’acquisizione di documenti per il viaggio, il giudice unico, su richiesta del questore, può prorogare il termine di ulteriori trenta giorni. Anche prima di tale termine, il questore esegue l’espulsione o il respingimento non appena possibile, dandone comunicazione senza ritardo al giudice unico”.

2. Dopo il comma 5 dell’art.14 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 recante il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero è aggiunto il seguente:
“5-bis) Quando non sia stato possibile trattenere lo straniero presso un Centro di permanenza temporanea ovvero trascorsi i termini di permanenza senza aver eseguito l’espulsione ovvero il respingimento il questore ordina allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni. Lo straniero che senza giustificato motivo si è trattenuto nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine impartito dal questore ai sensi del comma precedente, è punito con la reclusione da uno a quattro anni ed è nuovamente espulso con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica. E’ obbligatorio l’arresto e si procede con rito direttissimo. Al fine di assicurare l’esecuzione dell’espulsione, il questore può disporre i provvedimenti di cui al comma 1 del presente articolo”.
Norma di dubbia legittimità costituzionale e di scarsa efficacia.

Il raddoppio a 60 giorni del termine massimo del trattenimento nei centri di permanenza dello straniero espulso o respinto e la previsione di una sanzione penale per lo straniero uscito dal centro alla scadenza che non lasci il territorio nazionale, con ulteriore espulsione coattiva, sono misure che da sole sono di assai dubbia efficacia.
Se infatti il problema è la difficoltà di identificazione della persona da allontanare allora tale problema resterà anche dopo che lo straniero sia dimesso dal centro e dunque nessun rimedio è efficace all'ineffettività se non è accompagnato dall'effettiva stipulazione ed entrata in vigore di precisi accordi di riammissione con i Paesi di origine. Con i Paesi con cui simili accordi sono in vigore è più che sufficiente l'attuale termine masssimo di trattenimento di 30 giorni.
Tuttavia per stipulare tali accordi non occorre alcuna modifica legislativa, bensì una forte azione del Governo che svolga le opportune azioni nei confronti dei Governi di quei Paesi a livello diplomatico bilaterale e multilaterale.
In tal senso la norma si rivela inutilmente costosa, sia sotto il profilo della restrizione della libertà personale, sia sotto il profilo degli oneri finanziari da sostenere per l'estensione del numero dei centri di permanenza (come confermano le stime dell'art. 22 ddl).
Il comma 5-bis inoltre rende evidente che è del tutto illusoria l’esecutività dei provvedimenti amministrativi di espulsione che l’art. 10 ddl prevede di generalizzare, perché in realtà i provvedimenti potranno comunque restare ad esecuzione differita qualora non sia stato possibile trattenere lo straniero in un centro di permanenza temporanea (prevedibilmente per mancanza di spazi e/o di centri).

Art. 12
(Determinazione dei flussi di ingresso)

1. Dopo il comma 4 dell'art.21 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 recante il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero è inserito il seguente:
"4-bis. Il decreto annuale o i decreti annuali devono altresì essere predisposti in base ai dati sulla effettiva richiesta di lavoro suddivisi per regioni, province e comuni, elaborati dall’anagrafe annuale informatizzata istituita presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali di cui al successivo articolo 21 comma 7 il cui regolamento di attuazione dovrà prevedere anche possibili forme di collaborazione con altre strutture pubbliche e private.
Norma di difficile applicazione e di dubbia legittimità costituzionale

La suddivisione per regioni, province e comuni della determinazione dei flussi di ingresso appare irrealizzabile sotto diversi profili.
In primo luogo nel vigente ordinamento i fabbisogni lavorativi sono rilevati a livello provinciale.
In secondo luogo non si comprende quale sia l'efficacia di tale suddivisione territoriale, se cioè finisca per limitare in modo incostituzionale la libertà di circolazione e soggiorno nelle diverse zone del territorio italiano degli stranieri regolarmente soggiornante o la loro possibilità di instaurare rapporti di lavoro.
Art. 13
(Lavoro subordinato a tempo determinato e indeterminato e lavoro autonomo)

1. L’articolo 22 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 recante il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero è sostituito dal seguente:
1. Il datore di lavoro italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia che intenda instaurare in Italia un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato con uno straniero residente all’estero deve presentare alla Prefettura - Ufficio Territoriale di Governo della provincia di residenza apposita richiesta nominativa di nulla osta al lavoro. Nei casi in cui il datore di lavoro non abbia una conoscenza diretta dello straniero, può richiedere il nulla osta al lavoro di una o più persone iscritte nelle liste di cui all’art. 21, comma 5, selezionate secondo criteri definiti nel regolamento di attuazione. Analogamente il datore di lavoro procede nei casi di contratto per lavoro stagionale o per assistenza domestica o domiciliare privato stipulato da appositi soggetti accreditati e autorizzati dalle regioni ad assumere lavoratori stranieri.
2. Contestualmente alla domanda di nulla osta al lavoro, il datore di lavoro deve presentare idonea documentazione indicando le modalità della sistemazione alloggiativa per il lavoratore straniero.
3. La prefettura - Ufficio Territoriale del Governo tramite l’ufficio provinciale del lavoro rilascia il nulla osta nel rispetto dei limiti numerici, quantitativi e qualitativi determinati a norma dell’articolo 3, comma 4 e dell’articolo 21 previa verifica delle condizioni offerte dal datore di lavoro allo straniero che non possono essere inferiori a quelle stabilite dai contratti collettivi nazionali di categoria.
4. Ai fini di cui al comma 3 la Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo fornisce mensilmente al Ministero del lavoro e delle politiche sociali il numero e il tipo dei nulla osta rilasciati secondo le medesime classificazioni adottate nei decreti di cui all’art. 3, comma 4, precisando quelle relative agli Stati non appartenenti all’Unione Europea con quote riservate.
5. Il nulla osta al lavoro subordinato ha validità per un periodo non superiore a sei mesi dalla data del rilascio. Qualora il nulla osta sia rilasciato, il datore di lavoro consegna alla Prefettura - Ufficio territoriale del Governo la proposta di contratto di soggiorno comprensiva dell’accollo per lo stesso datore di lavoro delle spese di ritorno dello straniero nel Paese di provenienza. La prefettura - Ufficio Territoriale del Governo, ricevuta la proposta e acquisito il nulla osta da parte della competente Questura, trasmette la documentazione agli Uffici Consolari tramite il Ministero degli Affari Esteri. Gli uffici consolari, del Paese di residenza o di origine dello straniero provvedono, dopo gli accertamenti di rito presso quelle autorità di polizia, a rilasciare il visto di ingresso. Entro otto giorni dall’ingresso, lo straniero dovrà recarsi presso la Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo per la firma del contratto di soggiorno che sarà, a cura di quest’ultima, trasmesso all’autorità consolare competente.
6. E’ fatto obbligo al datore di lavoro di comunicare alla prefettura - Ufficio Territoriale del Governo qualsiasi variazione del rapporto di lavoro intervenuto con lo straniero. Il datore di lavoro che viola tale obbligo è soggetto al pagamento di una somma di denaro da un milione a cinque milioni di lire.
7. Salvo quanto previsto dall'articolo 23, ai fini dell'ingresso in Italia per motivi di lavoro, il lavoratore extracomunitario deve essere munito del visto rilasciato dal consolato italiano presso lo Stato di origine o di stabile residenza del lavoratore previa esibizione dell'autorizzazione al lavoro, corredata dal nulla osta provvisorio della questura competente.
8. Le questure forniscono all'INPS, tramite collegamenti telematici, le informazioni anagrafiche relative ai lavoratori extracomunitari ai quali è concesso il permesso di soggiorno per motivi di lavoro, o comunque idoneo per l'accesso al lavoro; l'INPS, sulla base delle informazioni ricevute, costituisce un “Archivio anagrafico dei lavoratori extracomunitari”, da condividere con tutte le altre Amministrazioni pubbliche; lo scambio delle informazioni avverrà sulla base di apposita convenzione da stipularsi tra le Amministrazioni interessate.
9. La perdita del posto di lavoro non costituisce motivo per privare il lavoratore extracomunitario ed i suoi familiari legalmente residenti del permesso di soggiorno. Il lavoratore straniero in possesso del permesso di soggiorno per lavoro subordinato che perde il posto di lavoro, anche per dimissioni, può essere iscritto nelle liste di collocamento per il periodo di residua validità del permesso di soggiorno, e comunque, salvo che si tratti di permesso di soggiorno per lavoro stagionale, per un periodo non superiore a sei mesi. Il regolamento di attuazione stabilisce le modalità di comunicazione alla direzione provinciale del lavoro, anche ai fini dell'iscrizione del lavoratore straniero nelle liste di collocamento con priorità rispetto a nuovi lavoratori extracomunitari.
10. Il datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno previsto dal presente articolo, ovvero il cui permesso sia scaduto, revocato o annullato, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa di 5 milioni per ogni immigrato irregolare impiegato.
11. Salvo quanto previsto, per i lavoratori stagionali, dall'articolo 25, comma 5, in caso di rimpatrio il lavoratore extracomunitario conserva i diritti previdenziali e di sicurezza sociale maturati e può goderne indipendentemente dalla vigilanza di un accordo di reciprocità. I lavoratori extracomunitari che abbiano cessato l'attività lavorativa in Italia e lascino il territorio nazionale hanno facoltà di richiedere, nei casi in cui la materia non sia regolata da convenzioni internazionali, la liquidazione dei contributi che risultino versati in loro favore presso forme di previdenza obbligatoria maggiorati del 5 per cento annuo.
12. Le attribuzioni degli istituti di patronato e di assistenza sociale, di cui al decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 29 luglio 1947, n. 804, e successive modificazioni ed integrazioni, sono estese ai lavoratori extracomunitari che prestino regolare attività di lavoro in Italia.
13. I lavoratori italiani ed extracomunitari possono chiedere il riconoscimento di titoli di formazione professionale acquisiti all'estero; in assenza di accordi specifici, il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sentita la commissione centrale per l'impiego, dispone condizioni e modalità di riconoscimento delle qualifiche per singoli casi. Il lavoratore extracomunitario può inoltre partecipare, a norma del presente testo unico, a tutti i corsi di formazione e di riqualificazione programmati nel territorio della Repubblica.

2. All’articolo 26, comma 5 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 recante il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “La rappresentanza diplomatica o consolare rilascia, altresì, allo straniero, la certificazione dell’esistenza dei requisiti previsti dal presente articolo ai fini degli adempimenti previsti dall’articolo 5, comma 3-ter, del presente Testo Unico, per la concessione del permesso di soggiorno per lavoro autonomo.”

Norma inopportuna e controproducente


Anzitutto la norma appare del tutto inopportuna e intempestiva perché interviene su una disciplina che però dovrà comunque essere profondamente modificata di nuovo fra qualche mese per adeguarla alle norme della direttiva comunitaria in materia - cfr. Proposta della commissione europea COM (2001) 386 (01) dell’11 luglio 2001 di direttiva del Consiglio relativa alle condizioni d'ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi che intendono svolgere attività di lavoro subordinato o autonomo – direttiva delle cui complesse e assai articolate norme (alle quali la Commissione propone che ogni Paese membro si debba adeguare entro il 1 gennaio 2004) il ddl tiene in alcun conto.

Si prevede come unica modalità di ingresso per lavoro subordinato quella tramite l'autorizzazione al lavoro su richiesta di un datore di lavoro italiano che già oggi all’art. 22, comma 8 T.U. impone la stipula di un contratto di lavoro tra datore di lavoro e lavoratore.
La procedura in realtà riproduce – con qualche altro ritocco - il testo di quella già oggi prevista l'art. 22 T.U. (aggiornandola alla recente istituzione degli uffici territoriali del Governo che hanno inglobato anche le Direzioni provinciali del lavoro), ma aggiunge agli obblighi del datore di lavoro quelli di garantire le spese del rientro in patria dello straniero. Tale obbligo - che nella prassi italiana fu in vigore fino al 1986 - costituisce un onere eccessivo e inutile per il datore di lavoro e ciò irrigidisce il mercato del lavoro e finisce con l'incentivare il ricorso all'immigrazione clandestina.

Inoltre il comma 9 conferma che in caso di perdita del posto di lavoro lo straniero non è costretto a lasciare il territorio nazionale, ma ha diritto di restarvi per trovare un altro posto di lavoro. Tuttavia il periodo è inopinatamente ridotto a soli 6 mesi, così dimenticando così i casi dei corsi di riqualificazione professionale ecc., e legando eccessivamente il destino dello straniero regolarmente soggiornante alle mutevoli variazioni dell'andamento del mercato del lavoro.



Art. 14
(prestazione di garanzia per l’accesso al lavoro)

1. L'articolo 23 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 recante il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero è abrogato.

Norma del tutto inopportuna e controproducente.

In generale la nuova disciplina del lavoro subordinato prevista dagli artt. 13 e 14 ddl in realtà ritorna al passato ripristinando un sistema che fino al 1998 non ha affatto limitato l'immigrazione, ma al contrario ha determinato un blocco dei nuovi ingressi regolari per lavoro e ha perciò incentivato il ricorso massiccio all'immigrazione clandestina e ha così costretto il legislatore ad intervenire nel 1987, nel 1990, nel 1995 e nel 1998 con provvedimenti di regolarizzazione.

In particolare l'abrogazione degli ingressi per inserimento nel mercato del lavoro dimentica che dal punto di vista antropologico tutte le migrazioni per lavoro (inclusa quella italiana) sono avvenute non tanto attraverso le vie ufficiali, bensì attraverso la cosiddetta "catena migratoria" dei connazionali che aiutano i nuovi ingressi di amici e parenti e ne orientano l'inserimento sociale e lavorativo. In tal senso il fatto che nel 2000 e nel 2001 la maggioranza dei garanti (sponsors) sia stata straniera non è affatto una circostanza da guardare con sospetto (al contrario qualche sospetto di elusione potrebbe far sorgere il garante italiano...), bensì è la conferma che l'inserimento nel mercato del lavoro incanala, controlla e fa venire alla luce il naturale movimento migratorio che altrimenti si affiderebbe a canali criminali e clandestini. A ciò si aggiunga che tale canale è indispensabile per quei tipi di lavori di fiducia che esigono un incontro diretto sul territorio tra datore di lavoro e lavoratore (p. es. lavoro domestico, assistenza alle persone ecc.). La soppressione di tale nuova via appare dunque del tutto controproducente per chi voglia davvero prevenire efficacemente l'immigrazione clandestina.

L’abrogazione dell’ingresso per inserimento nel mercato del lavoro è inutile anche perché la vigente disciplina legislativa già oggi consente al Governo la massima discrezionalità nella determinazione delle quote e dunque consente ogni cautela contro possibili abusi, sicchè il relativo D.P.C.M. ben potrebbe di volta in volta prevedere anche limiti qualitativi, cioè p. es. limitare tali tipi di ingressi a rapporti di lavoro relativi a ben determinati settori, qualifiche e mansioni o a determinate zone del Paese in cui il tasso di disoccupazione sia inferiore alla media nazionale.
Art. 15
(Ingresso e soggiorno per lavoro autonomo)

1. Dopo il comma 7 dell'articolo 26 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 recante il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero è aggiunto il seguente:
7-bis. “La condanna definitiva per alcuno dei reati previsti dalle disposizioni del Titolo III, Capo III, Sezione II della legge 22 aprile 1941, n.633 e successive modifiche e integrazioni relativi alla tutela del diritto di autore, e degli articoli 473 e 474 del codice penale comporta la revoca del permesso di soggiorno rilasciato allo straniero e l’espulsione del medesimo con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica”.
La previsione dell'espulsione immediata per lo straniero che commercia, produce o distribuisce prodotti falsi e contraffatti di per sé non suscita particolari problemi, ma la norma prevista dal ddl si espone a numerose critiche.
In primo luogo occorre precisare se l’espulsione sia da intendersi quale misura di sicurezza o pena accessoria oppure se debba essere disposta con provvedimento amministrativo, nel qual caso essa violerebbe la riserva di giurisdizione prevista dall'art. 13 Cost.
In secondo luogo sorgono spontanei alcuni dubbi circa la ragionevolezza e l’equità della norma sotto due profili.
Da un lato una simile sanzione inserita in un articolo dedicato al lavoro autonomo sembra riferirsi ai soli stranieri titolari di un permesso di soggiorno per lavoro autonomo e non già ad ogni straniero titolare di qualsiasi tipo di permesso di soggiorno.
Dall’altro lato una simile sanzione potrebbe essere efficace e ragionevole se almeno si accompagnasse ad una specifica aggravante da prevedersi nei confronti di chiunque ceda a qualsiasi tipo merce contraffatta a stranieri.
Art. 16
(Ricongiungimento familiare)

“1. Sono abrogate le lettere c) e d) del comma 1 dell’articolo 29 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 recante il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero;”
Norma del tutto inopportuna

Essa esclude dal ricongiungimento familiare i genitori a carico e i parenti entro il terzo grado, ma si pone in radicale contrasto con la proposta di direttiva sul ricongiungimento familiare in corso di approvazione a livello dell'Unione europea che anche a tali categorie espressamente consente di ricongiungersi: cfr. Proposta della Commissione – COM (2000) 624: proposta modificata di direttiva del Consiglio relativa al diritto al ricongiungimento familiare (presentata dalla Commissione in applicazione dell'articolo 250, paragrafo 2 del trattato CE).
In ogni caso il ddl non coglie l’occasione per prevedere alcuna norma che recepisca e adatti l’ordinamento italiano a quella prposta di direttiva,alla quale tutti gli stati membri, una volta definitivamente approvata, dovranno conformarsi entro il 31 dicembre 2002.
Art. 17
(Centri di accoglienza e accesso all'abitazione)

1. L'ultimo periodo del comma 1 dell'articolo 40 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 recante il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero è soppresso.

2. Dopo il comma 1 dell'articolo 40 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 recante il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero è inserito il seguente:
"1-bis. L'accesso alle misure di integrazione sociale è riservato agli extracomunitari che dimostrino di essere in regola con le norme che disciplinano il soggiorno in Italia ai sensi del presente Testo Unico, e delle leggi e regolamenti vigenti in materia".
Norme controproducenti e superflue.

Il primo comma abroga la facoltà del sindaco di disporre l’alloggiamento di stranieri non regolarmente soggiornanti che si trovino in situazione di emergenza, che comunque era prevista ferma restando il rispetto delle norme sulla loro espulsione o respingimento. La norma appare del tutto controproducente, perché non spiega come si possa provvedere ad alloggiare costoro anche quando non siano disponibili centri di permanenza temporanea e assistenza o quando si verifichi un ingresso per motivi di calamità naturale o di disastri pubblici. Così la norma finisce per gravare di tali oneri i soli enti del “privato sociale”.
Il secondo comma è del tutto superfluo perché già oggi gli artt.. 40, 41, 42 t.u. prevedono misure di integrazione sociale soltanto in favore di stranieri regolarmente soggiornanti.
Art. 18
(aggiornamenti normativi)

1. “Nelle disposizioni del Decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 recante il Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, tutte le volte in cui ricorre la parola “pretore”, si intende sostituita da “tribunale in composizione monocratica”

2. Nelle disposizioni del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 recante il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, tutte le volte in cui ricorre la locuzione “ufficio periferico del ministero del lavoro” si intende sostituita da “Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo”.
Norma superflua.

La norma prevede sostituzioni e aggiornamenti che sono già previste da altre norme generali vigenti, quelle sull’istituzione del giudice unico di primo grado e sul riordino dell’organizzazione del Governo.
Art. 19
(Ampliamento dell’organico della Polizia di Stato)

1. Ai fini dell’attuazione della presente legge l’organico della Polizia di Stato è aumentato di mille unità nel ruolo degli agenti ed assistenti, di duecentoventicinque unità nel ruolo dei sovrintendenti, di duecentocinquanta unità nel ruolo degli ispettori, di venticinque unità nel ruolo dei commissari, da destinare agli uffici di polizia di frontiera e uffici immigrazione.

2. All’assunzione del personale di cui al comma 1 nel 2002 si provvede in deroga a quanto stabilito dall’art. 39 della legge 27 dicembre 1997, n. 449 e successive modificazioni.

3. All’onere derivante dall’attuazione del presente articolo pari a 90.505 milioni di lire per il 2002, a 90.505 milioni di lire per il 2003 e a 90.505 milioni a partire dal 2004, si provvede mediante.....
L'ampliamento di 1.500 unità degli organici della Polizia di stato rivelarsi una misura di apparente efficacia.
Da un lato è evidente che prima che il nuovo personale sia in funzione occorreranno alcuni anni dall'entrata in vigore della legge per svolgere i concorsi ed addestrare i vincitori.
Dall'altro lato è evidente che tale misura si rivelerebbe comunque inadatta se non fosse accompagnata dall'istituzione di una vera e propria Specialità all'interno della Polizia di Stato (la Polizia di frontiera e dell'Immigrazione) in cui specializzare nel tempo il nuovo e vecchio personale di polizia addetto alle pratiche relative agli stranieri.
Art. 20
(permesso di soggiorno per i richiedenti asilo)

L’ultimo periodo del comma 5 dell’articolo 1 del decreto legge 30 dicembre 1989, n.416, convertito con legge 28 febbraio 1990, n. 39 è sostituito come segue: “Il Questore territorialmente competente, quando non ricorrano le ipotesi previste nei successivi articoli 1 bis e 1 ter, rilascia, dietro richiesta un permesso di soggiorno temporaneo valido fino alla definizione della procedura di riconoscimento”.
Art. 21
(procedura accelerata)

Dopo l’articolo 1 del decreto legge 30 dicembre 1989, n.416, convertito con legge 28 febbraio 1990, n. 39, sono inseriti i seguenti articoli:
Art.1 bis
1. Il richiedente asilo non può esser trattenuto per il mero fatto di dover esaminare la domanda di asilo. Esso può, tuttavia, esser trattenuto nell’ambito del complessivo procedimento decisionale di permanenza nel territorio dello Stato, basato sulle disposizioni del Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e comunque solo per il tempo strettamente necessario nei seguenti casi:
a) per verificare e determinare la sua nazionalità o identità, qualora egli abbia smarrito, distrutto o comunque fatto scomparire i suoi documenti di viaggio e/o d'identità, oppure abbia, al suo arrivo nello Stato membro, presentato documenti falsi per fuorviare le autorità;
b) per verificare gli elementi su cui si basa la domanda di asilo, qualora tali elementi vadano altrimenti perduti;
c) nell'ambito di un procedimento avviato per decidere se il richiedente ha il diritto di essere ammesso nel territorio dello Stato.
Il trattenimento deve sempre aver luogo nei seguenti casi:
d) nell’ambito della valutazione di una domanda di asilo presentata dallo straniero intercettato, suo malgrado, in fase di elusione dei controlli di frontiera o subito dopo, o, comunque, in condizioni di soggiorno irregolare;
e) nell’ambito della valutazione di una domanda di asilo presentata da uno straniero già destinatario di un provvedimento di espulsione o respingimento.
2. il trattenimento previsto per i casi di cui al punto d) così come quello eventuale di cui ai punti a), b), c) è attuato nei centri di accoglienza per richiedenti asilo secondo le norme di apposito regolamento emanato entro 180 giorni dall’approvazione della presente legge. Il medesimo regolamento determinerà anche il numero, le caratteristiche e le modalità di gestione di dette strutture.
3. per il trattenimento di cui al punto e) si osservano le norme di cui all’art. 14 del Decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286.
4. Allo scadere del periodo previsto per la procedura accelerata di cui al successivo articolo 1 ter e qualora la stessa non si sia ancora conclusa, allo straniero viene concesso un permesso di soggiorno temporaneo fino al termine della procedura stessa.
Art. 1 ter
1. Nei casi di cui alle lettere d) ed e) del comma 1 del precedente articolo viene istituita una procedura accelerata per la definizione della istanza di riconoscimento dello status di rifugiato secondo le modalità di cui ai commi successivi.
2. Appena ricevuta la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato di cui alla lettera d) del precedente articolo, il Questore del luogo in cui la medesima richiesta è stata presentata dispone il trattenimento dello straniero interessato in uno dei Centri di accoglienza per richiedenti asilo di cui all’art. 1-bis, comma 2. Entro due giorni dal ricevimento dell’istanza, il Questore provvede alla trasmissione della documentazione necessaria alla Commissione Territoriale per il riconoscimento dello status di rifugiato che entro 15 giorni provvede all’audizione. La decisione deve essere adottata entro i successivi tre giorni.
3. Appena ricevuta la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato di cui alla lettera e) del precedente articolo, il Questore del luogo in cui la medesima richiesta è stata presentata dispone il trattenimento dello straniero interessato in uno dei Centri di Permanenza temporanea di cui all’art. 14 del Decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286; ove già sia in corso il trattenimento, il Questore chiede al giudice unico la proroga del periodo di trattenimento per ulteriori trenta giorni per consentire l’espletamento della procedura accelerata di cui al presente articolo. Entro due giorni dal ricevimento dell’istanza, il Questore provvede alla trasmissione della documentazione necessaria alla Commissione Territoriale per il riconoscimento dello status di rifugiato che entro 15 giorni provvede all’audizione. La decisione deve essere adottata entro i successivi tre giorni.
4. L’allontanamento non autorizzato dai centri di cui all’art. 1-bis, terzo comma costituisce rinuncia alla domanda.
5. Per le domande di riconoscimento dello status di rifugiato di cui al presente articolo, ove i tempi non lo consentano, lo Stato italiano si ritiene competente all’esame di dette domande ai sensi della Convenzione di Dublino ratificata con legge 23 dicembre 1993, n.563.
6. L’eventuale ricorso avverso l’esito sfavorevole della decisione della Commissione Territoriale potrà esser presentato al tribunale in composizione monocratica territorialmente competente entro 15 giorni, anche dall’estero tramite le Rappresentanze diplomatiche non sospende il provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale. Il richiedente asilo può tuttavia chiedere al prefetto competente per territorio di poter rimanere sul territorio nazionale fino all’esito del ricorso. La decisione sfavorevole è immediatamente esecutiva.
Art. 1-quater
1. Presso gli Ufficio Territoriali del Governo che saranno indicati con il regolamento di cui all’art. 1-bis, 2^ comma, sono istituite le Commissioni territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato. Le predette commissioni, nominate con decreto del Ministro dell’Interno, sono presiedute da un funzionario della carriera prefettizia e composte da un funzionario della Polizia di Stato, da un rappresentante dell’ente territoriale designato dall’ANCI, e con funzioni consultive, da un membro designato dall’ACNUR. Per ciascun componente deve essere previsto un membro supplente.
2. Entro due giorni dal ricevimento dell’istanza, il Questore provvede alla trasmissione della documentazione necessaria alla Commissione Territoriale per il riconoscimento dello status di rifugiato che entro 30 giorni provvede all’audizione. La decisione deve essere adottata entro i successivi tre giorni.
3. Avverso le decisioni delle commissioni territoriali è ammesso ricorso al tribunale ordinario territorialmente competente
Articolo 1-quinquies
La Commissione centrale per il riconoscimento per lo status di rifugiato di cui all’articolo 2 del D.P.R. 15.5.1990, n. 136 è trasformata in Commissione nazionale per il diritto di asilo nominata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta congiunta del Ministro dell’Interno e degli Affari Esteri. Essa è presieduta da un Prefetto ed è composta da un dirigente in servizio presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, da un funzionario della carriera diplomatica, da un funzionario della carriera prefettizia in servizio presso il Dipartimento delle Libertà Civili e dell’Immigrazione e da un dirigente del Dipartimento della Pubblica Sicurezza. Alle riunioni partecipa un rappresentante del delegato in Italia dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati. Ciascuna amministrazione designa, altresì, un supplente. La Commissione nazionale, ove necessario, può essere articolata in sezioni di analoga composizione.
La Commissione nazionale ha compiti di indirizzo e coordinamento delle commissioni territoriali, di formazione e aggiornamento dei componenti delle medesime commissioni, di raccolta di dati statistici oltre che poteri decisionali in tema di revoche e cessazione degli status concessi.
Con il regolamento di cui, all’articolo 1 bis, 2^ comma, saranno fissate le modalità di funzionamento della Commissione nazionale e di quelle territoriali.
Articolo 1-sexsties
Il comma 7 dell’articolo 1 del D.L. 30 dicembre 1989 n. 416 come convertito in legge 28 febbraio 1990, n. 39, è abrogato.
E’ prevista la possibilità di concedere contributi a richiedenti asilo in condizioni di indigenza e che non siano ospitati presso i centri di accoglienza o altre strutture finanziate dallo Stato o da enti locali, secondo le modalità che saranno stabilite con il regolamento di cui all’articolo 1 bis. 2^ comma.
Articolo 1-septies
Fino all’emanazione del regolamento di cui all’articolo 1 bis, 2^ comma, rimangono in vigore le normative e le procedure attuali
Norme inopportune, intempestive e di indubbia illegittimità costituzionale

Le disposizioni in materia di asilo previste dagli articoli 20 e 21 appaiono ambigue sotto vari profili.
In primo luogo è evidente che non si può racchiudere in soli due articoli una disciplina così delicata e complessa su un diritto costituzionalmente garantito e sulla quale sono state recentemente approvate direttive comunitarie
In secondo luogo è evidente la grave inopportunità di provvedere a disciplinare ancora parzialmente il diritto d’asilo, perché occorre e/o occorrerà comunque adattare tutta la legislazione anche alle ben più complesse ed articolate norme delle direttive comunitarie recentemente approvate in materia o in corso di approvazione:
1) Direttiva 2001/55/CE del Consiglio, del 20 luglio 2001, sulle norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell'equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell'accoglienza degli stessi; a tale direttiva ogni Stato membro ha già oggi l’obbligo di adeguarsi entro il 31 dicembre 2002;
2) Proposta della Commissione – COM (2000) 528: Proposta di direttiva del Consiglio recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato; (la Commissione propone che ogni Stato membro debba adeguarsi a tali norme entro il 31 dicembre 2002)
3) Proposta della Commissione – COM (2001) 181: Proposta di direttiva del Consiglio recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri; (la Commissione propone che ogni Stato membro debba adeguarsi a tali norme entro il 31 dicembre 2002).
Non a caso dunque il ddl sul diritto d'asilo che era stato approvato dalla Camera il 7 marzo 2001 conteneva circa 20 articoli. Lo stralcio della disciplina complessiva del diritto d'asilo (la cui titolarità spetta non soltanto ai rifugiati) fa sì che il ddl contenga una disciplina eccessivamente sommaria (e sostanzialmente vessatoria) dell’accesso ad un diritto soggettivo dello straniero che è il più tutelato sia a livello costituzionale, sia a livello internazionale.
In terzo luogo è evidente che le nuove norme del ddl introducono soltanto una procedura accelerata e sommaria di pre-esame da parte di neo-istituite commissioni territoriali – i cui membri effettivi sarebbero soltanto funzionari governativi – le quali avrebbero il potere di adottare decisioni immediatamente esecutive ed impugnabili dal richiedente asilo con un ricorso privo di automatici effetti sospensivi prima che sia eseguito l’allontanamento coattivo dello straniero. Questi soli elementi sono da soli capaci di privare di ogni effettività il diritto d’asilo che l’articolo 10, comma 3 Cost. prevede come diritto soggettivo perfetto.
In quarto luogo si prevede un’ulteriore notevole precarizzazione della condizione del richiedente asilo disponendone il trattenimento presso i centri di permanenza temporanea e sopprimendo la possibilità di fruire di un contributo di prima assistenza.
Nessuna misura è invece prevista in favore dei rifugiati riconosciuti
TITOLO III
Articolo 23
(norme finali)
(norme finanziarie)
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