Omelia nella messa di chiusura dell'anno di attività 2000-2001
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"Perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli" (Mt 5,16). Omelia per la messa di chiusura dell'anno della famiglia vincenziana.

di P. Giuseppe Turati, C.M.





Come famiglia vincenziana ci ritroviamo oggi a chiudere insieme l'anno di lavoro, prima della consueta dispersione estiva. L'Eucaristia che celebriamo è il nostro grazie al Signore per le opere buone che abbiamo compiuto nel corso dell'anno: quelle opere di cui il vangelo odierno dice che rendono gloria al Padre nostro che è nei cieli. Questo stesso vangelo dice anche che noi siamo sale della terra e che, se il sale perdesse sapore, a null'altro servirebbe che ad essere calpestato dagli uomini.
Come famiglia vincenziana qual è dunque il nostro ruolo oggi nel mondo? Siamo sale e luce e le nostre opere rendono davvero gloria a Dio oppure il mondo stenta oggi a capire la nostra utilità, avendo ormai sostituito le opere di misericordia con la giustizia sociale e la promozione dei diritti di ogni persona umana?
Mi pare che il vangelo odierno ci aiuta a trovare risposta a questo interrogativo e a ritrovare il senso nella nostra missione nel mondo.



1. Il brano di vangelo che abbiamo ascoltato fa parte del discorso della montagna e va interpretato in modo adeguato. Poco oltre, nel contesto del medesimo discorso, Gesù dice: "Guardatevi dal praticare le vostre opere buone davanti agli uomini per essere da loro ammirati" (Mt 6,1). Qui dice invece: "Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone" (Mt 5,16).
Si fraintenderebbe la parola del Maestro se la si interpretasse come un'esortazione a dare il buon esempio. Chi sono io per dare il buon esempio? Possibile che gli altri possano diventare migliori guidati dal mio esempio: anche solo a pensarci appare improbabile e addirittura ridicolo.
Appare invece più realistica l'altra raccomandazione di Gesù: "Guardatevi dal praticare le vostre opere buone davanti agli uomini…". Conviene certo mettere molta cura per nascondere ogni opera buona agli occhi di ogni testimone indiscreto: gli occhi altrui possono sciupare le opere buone.
Quando ci capita di esser visti e magari ammirati, facilmente sulla nostra bocca sorge immediatamente un moto di scherno e magari anche un cenno di rimprovero per chi ci loda. Anche Gesù ammonì il lebbroso guarito, mettendolo in guardia dal raccontare in giro quello che gli aveva fatto.
Un'opera buona, davvero buona, è infatti sempre un'opera imperfetta, incompiuta, fatta nella fede e nella speranza che Dio stesso le dia compimento. Non è meritevole di nulla, non può avere premio diverso da quel bene che cerchiamo di fare con quella stessa opera buona: il premio è solo il compimento (ad opera di Dio) di quel bene che noi abbiamo iniziato e non abbiamo potuto portare a termine.



2. Che cosa vuol dirci allora Gesù con l'immagine del sale e della luce? Paradossalmente ci vuol dire la stessa cosa che ci dice quando ci raccomanda di non agire per farci vedere. Chi agisce per farsi vedere attende dall'approvazione altrui un senso per quello che fa. Il suo agire non ha alcun senso da esibire, perché appunto tale senso è atteso dagli altri.
"Voi siete il sale della terra" (Mt 5,13) dice invece Gesù. E' questo sapore che non può essere chiesto a prestito dagli altri, ma può solo essere nell'opera stessa che si compie: solo a questa condizione tale sapore può offrire senso e gusto anche alla vita degli altri.
E aggiunge: "Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini" (Mt 5,16). Non per essere da loro ammirati, né per dare loro il buon esempio, ma perché vedano in esse la misericordia di Dio, che viene prima delle nostre opere e procede oltre il piccolo bene che noi possiamo volere o realizzare.



3. Questa è la testimonianza che il vincenziano può dare oggi al mondo.
S. Vincenzo diceva alle Figlie della Carità: "Voi siete destinate a rappresentare la bontà di Dio verso i poveri malati. Dovere dunque trattare questi poveri afflitti come la divina bontà ci insegna, cioè con dolcezza, compassione e amore, ascoltando i loro lamenti come una buona madre deve fare" (Dalla conferenza n. 85 dell'11 novembre 1657 alle Figlie della Carità).
Per dare questa testimonianza il mezzo è uno solo: credere e sperare nell'amore di Dio ed esserne segno nel mondo. E possiamo esserne certi: la nostra fede, se è vera, se è luminosa, non potrà rimanere nascosta, ma irradierà la nostra vita e, in questo modo, permetterà all'amore di Dio di manifestarsi nel mondo.
Non serve molto occuparsi dei "destinatari" del messaggio, per adattare tale messaggio alle loro attese: il mondo è già troppo pieno di simili adattamenti. Ciò che serve è, invece, una fede convinta in Dio, che si manifesta attraverso le opere della misericordia divina: forse è proprio questo che il mondo ancora oggi si aspetta dai vincenziani. Il mondo è già pieno di "opere caritative", di iniziative di solidarietà umana, di promozione sociale: la nostra opera facilmente finirebbe per scomparire nel mucchio, a meno che non si distingua per la fede da cui deriva.
S. Vincenzo lo diceva a modo suo: "Non basta fare il bene, ma bisogna farlo bene, ad esempio di Nostro Signore del quale è detto nel vangelo che fece bene tutte le cose… Non basta digiunare, osservare le regole, lavorare per amor di Dio; bisogna farlo con il suo spirito, ossia con la perfezione, con gli stessi fini e circostanze che osserviamo nelle sue azioni" (Dalla conferenza n. 202 ai Preti della Missione).
Se faremo così, cari fratelli e care sorelle, stiamo certi che la famiglia vincenziana non dovrà attendere dal mondo la sua approvazione per sentirsi ancora utile; anzi continuerà ad essere sale della terra e luce del mondo, e le sue opere renderanno gloria al Padre nostro che è nei cieli!



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