Gino Bartali l’uomo, il campione
La sua semplicità e lealtà sono
sempre state portate ad esempio da tutti e divenute ormai proverbiali fino ad
essere assunto dallo stesso Paolo Conte come esempio impareggiabile di
abnegazione totale nel dare tutto se stesso sempre e comunque con i sui occhi
“allegri da italiano in gita”. Bartali è stato, l’alter ego di
Coppi sulla strada e nella vita: “Gino il Pio” contro Coppi e la “Dama bianca”;
gioviale, brontolone e fumino, quanto taciturno e calmo l’altro. Le sue imprese
ci hanno consacrato un Campione della caparbietà una qualità che ha fatto, di
molti toscani, dei grandi uomini irripetibili. Lui è uno di
questi, irripetibile anche quando commentava il giro con De Zan o Zavoli,
lapidario nelle sue dichiarazioni ci ha lasciato la famosa frase assunta
ormai ad espressione nazionale “gl’è tutto sbagliato, gl’è tutto da rifare”,
sempre critico verso quel mondo del ciclismo che stava già cambiando, anche se il
bello doveva ancora venire, come quando il 6 giugno del ’99 Gianni Mura su Repubblica,
parlando del caso Pantani, riportò una frase di Gino, di pochi giorni prima:..i ciclisti debbono uscire da soli dal fango,
altrimenti finiscono o in galera o al cimitero. Questa apparente lapidaria
sentenza, purtroppo per Pantani, si è
tragicamente avverata.
Abbiamo voluto ricordare
Ginettaccio perché quest’anno è
stato inaugurato un museo nel suo paese natale di Ponte a Ema che finalmente
costituirà il “contenitore” di testimonianze materiali ed (on line) della
memoria di tutto quello che fece parte dell’epopea sportiva di questo grande
campione. Una bella realizzazione che colma definitivamente quel vuoto di
memoria che non rendeva onore a colui che arrivò dal 14 luglio del’48 (giorno
della presa della Bastiglia) in poi, ad oscurare i bagliori di una guerra
civile con la sua vittoria al tour nella tappa Cannes-Briançon, ottenuta in concomitanza con l’attentato a Togliatti. A Ponte a Ema, solo il Bar L’intramontabile,
fino a ieri, suscitava la curiosità del neofita sulla esistenza in questo
paesino di qualcosa di veramente eccezionale. Oggi grazie a personaggi come
Bresci, che imitando la tenacia di Bartali hanno lavorato a lungo affinché
potesse essere realizzato questo Museo sarà chiaro a tutti che qui è nata una
parte della leggenda del ciclismo. Il Museo ha unito in uno sforzo comune la
Regione, la Provincia ed i Comuni di Firenze e Bagno a Ripoli. Riteniamo che
questo monumento all’uomo e campione Bartali, omaggiato quest’anno dal transito
anche del Giro d’Italia, potrebbe divenire un riferimento in grado di attrarre
nelle nostre zone tutto quel mondo del ciclismo agonistico ed amatoriale,
magari realizzando nel nostro Comune un circuito stabile, che utilizzi le
strade secondarie esistenti, intitolato a Gino, un po’ come avviene per le moto
nell’isola di Mann con il Tourist Trophy, che allo stesso tempo potrebbe
costituire “campo scuola” e di allenamento per nuove leve e ciclisti
amatoriali.
UNA
STORIA
CON FOTO D’ALTRI TEMPI
Silvano Andreini
Correva l’anno 1953, Bartali abitava in una residenza nella zona bene di Firenze in una
traversa del San Gaggio a Porta Romana. A fine estate di quell’anno si era
rivolto ad un negozio di via borgo degli Albizi che ancora vende antiche terrecotte
artistiche ai turisti di tutto il mondo, per ordinare una serie completa di
formelle rappresentanti le scene
della via crucis, con figure smaltate
in rilievo tipo “Della Robbia”. Dall’altra
parte del banco il titolare, Silvano Andreini, trattandosi di un cliente così di riguardo, ovviamente
consigliò il meglio che al momento poteva disporre. Bartali era un
devoto cattolico e voleva dotare la piccola cappella della
sua casa di campagna anche delle stazioni della via crucis. L’ordine venne perfezionato ed alla fine di ottobre le
14 “stazioni” erano in bottega per essere consegnate all’illustre personaggio.
All’ora non c’era la televisione, ma dalla radio e leggendo i giornali, Silvano Andreini aveva appena appreso di un incidente stradale del quale Gino era
rimasto vittima mentre si recava a Lugano per disputare il Gran Premio Vanini.
Per questo incidente, alle soglie dei suoi 40 anni, si parlava ormai di un
ritiro definitivo del Campione dalle competizioni, dopo più di vent’anni
vissuti ai vertici del ciclismo, e delle montagne. Trascorsa qualche settimana,
Andreini non perse l’occasione che gli si offriva per poter visitare il
campione, cosa alla quale forse teneva più che concludere definitivamente
l’affare, che tuttavia costituiva la scusa per andare a casa di Bartali, dove
stava smaltendo la convalescenza. Così Andreini telefonò e prese accordi con
la moglie per la consegna delle formelle. Una volta
arrivato, fu naturale chiedere di salutare Gino, anche perché, essendo Andreini un
grassinese,lo conosceva personalmente fin da quando scorrazzava in
bicicletta nei dintorni di Ponte A Ema. La convalescenza di un campione del suo
calibro, con un carattere gioviale come pochi, non era certo un ritiro lontano
dal mondo, anzi, racconta Andreini, tanti erano gli amici, i giornalisti, i
medici ed i fotografi intorno a Bartali che Silvano trovò naturale chiedere ad
uno di loro di immortalarlo, insieme al mito della bicicletta, mentre stava
forzatamente mordendo il freno, in un letto. Questa la storia di una foto
d’altri tempi!Mosè
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