La trama semplicissima di questo lungo racconto, che
non diviene storia epica soprattutto per una questione di pagine, racconta
di Santiago, vecchio pescatore cubano cui la sorte ha ormai da molto
tempo voltato le spalle. Da 82 giorni Santiago non riesce a prendere
un pesce e per questo viene abbandonato anche da Manolo, il ragazzo
a cui ha insegnato a pescare e a cui e' legato da profondo affetto.
Così, l'83° giorno, Santiago prende il mare da solo. All'improvviso
un enorme pesce abbocca all'amo e trascina la barca a largo. Dopo una
terribile lotta durata tre giorni e tre notti, il vecchio ha finalmente
la meglio sul pesce, lo uccide e lo affranca alla fiancata della barca.
Nel viaggio di ritorno però è assediato dagli squali che,
un pezzo alla volta, gli strappano il bottino, lasciandogli tra le mani
un simbolico scheletro. Quando Santiago, sfinito, rientra in porto,
del pesce non resta che la testa e la lisca.
La prima cosa che colpisce, già alla prima riga,
quando la lettura e' ancora disattenta, e il lettore non e' stato risucchiato
dalla atmosfera del racconto, e' la scarnità del linguaggio,
la sua rarefazione. Hemingway, che grazie a "Il vecchio e il mare"
ha potuto ritrovare il favore del pubblico e vincere l'anno successivo
il premio Nobel, pesa ogni frase, ogni parola. Il silenzio del mare,
i tempi morti sotto il sole, si materializzano su una pagina costruita
nel modo piu' semplice possibile. La ricerca del linguaggio perfetto,
quello che secondo l'esempio di Pound deve necessariamente diffidare
degli aggettivi è qui portata agli estremi. Ne risulta una lettura
piacevolmente frammentaria, pragmatica, molto americana, ma non una
lettura ad effetto. Ne risulta in fondo anche una lettura difficile:
in certe pagine infatti il linguaggio si fa del tutto tecnico, marinaresco:
e questa è un'altra cosa che non si dimentica.
Non si dimenticano poi gli occhi di Santiago, che avevano
lo stesso colore del mare ed erano allegri e indomiti. Un
bel personaggio Santiago, un'eroe dei deboli e degli sconfitti, un protagonista
che ormai ha passato da un pezzo il "mezzo del cammin di nostra
vita" e che comunque non è antitetico rispetto ai giovani
eroi dell'opera hemingwayiana, forte e ricco di una vitalità
non assopita.
Non si dimentica neppure la battaglia, veramente epica ( e forse non
è un caso che la sua durata sia di tre giorni e tre notti) che
il vecchio pescatore stanco ingaggia col pescecane, battaglia che ci
riporta alla mente il capitano Achab e Moby Dick, una battaglia che
è propria della lotta dell'uomo col trascorrere del tempo e contro
il suo limite, la vecchiaia e in ultimo la morte; una battaglia dalla
quale l'uomo esce quasi sempre sconfitto ed anche quando vince non trionfa
mai del tutto.
In fondo è particolare che in un libro di un'ottantina di pagine,
si ritrovino tutti gli elementi morali di Hemingway, in un sunto, direi
piuttosto riuscito, non solo della sua poetica, ma soprattutto della
sua concezione della vita.
Come ebbe a dire Philip Young: "
è il libro in cui
Hemingway dice il massimo che aveva da dire e nel miglior modo in cui
mai avrebbe potuto sperare di riuscire a dirlo. "
Pur non essendo personalmente daccordo con ogni parola nè con
il senso complessivo di questa frase (Hemingway ha dato alla luce due
libri che a mio modo di vedere meritano sicuramente un maggior rispetto
di questo lungo racconto, quali "The sun also rises" e "Festa
mobile") è importante sottolineare il ruolo di collo di
bottiglia rappresentato da "Il vecchio e il mare". Non si
possono non leggere infatti queste poche pagine che ci parlano del cuore
vero della poetica e della vita di Hemingway: mi piace infatti ricordare
una frase bellissima, che non puo' essere dimenticate: "L'uomo
non è fatto per la sconfitta", dice Santiago mentre si prepara
a combattere contro gli squali, " si può uccidere un uomo
ma non sconfiggerlo."