Difficile trovare il coraggio per aggiungere qualcosa a uno dei
libri più importanti, più belli, più ricchi
di significato e di spunti di riflessione che ci siano stati dati
negli ultimi duecento anni. Forse vale perciò la pena di
lasciarsi andare, parlando a braccio, in modo semplice, sottolineando
aspetti magari secondari, magari irrilevanti, ma che altrimenti
sarebbe difficile enunciare. Solitamente di fronte a un libro russo,
dell'ottocento, di una lunghezza superiore alle 600 pagine, si prova
un certo timore reverenziale: ci si sente schiacciati dalla responsabilità
di una lettura del genere, lo si mette sul comodino, magari lo si
inizia, ma il pensiero, inconsciamente, ci fa credere che sarà
"un mattone", un peso... Se pensiamo ai libri russi dell'ottocento
non si puo' negare che la lettura, soprattutto per chi non vi sia
abituato, risulta difficile, richiede una mente volenterosa, capace
di vincere l'iniziale resistenza del tomo prima di arrivare a gustarne
il piacere. Per Delitto e Castigo tutto è stranamente
differente: non pare di avere in mano un libro che ha un secolo
e mezzo di età, ma un romanzo stranamente attuale, moderno,
capace di aspirarci nel racconto con un linguaggio avvolgente e
leggero, attraverso una spirale di passione. Le pagine scivolano
senza accorgersene, il libro ci appare stranamente leggero, quasi
breve. Eppure, se ci facciamo caso, questa leggerezza appare davvero
miracolosa, perchè Dostoevskji ci porta nel profondo dell'animo
dell'uomo, all'interno della coscienza e dei suoi tormenti: il percorso
del lettore procede parallelamente a quello di Raskolnikov, in un'analisi
dettagliata, pienamente filosofica, della natura del male e della
libertà, nella ricerca del valore del libero arbitrio. Se
Kierkegaard si era spinto in un'analisi approfondità dell'episodio
biblico di Abramo e di suo figlio Isacco, cercando una risposta
alla domanda se esista una sospensione teleologica dell'etica, se
cioè ci siano circostanze in cui veramente il male, come
un delitto, sia giustificato da un bene più grande, Dostoevskji
ci porta nella cruda realtà dei fatti, riuscendo però
ad essere ugualmente profondo.
Raskolnikov, uccidendo un essere umano in nome del proprio libero
arbitrio, nega il valore dell'individuo e quindi anche se stesso
e il principio che lo giustifica: la libertà. La libertà
è per l'uomo il bene al quale non può rinunciare senza
cessare di essere "ad immagine e somiglianza di Dio";
questa stessa libertà, quando trapassa in puro arbitrio diventa
qualcosa di vuoto, di devastante. Per il libero arbitrio non esiste
nulla di sacro, tutto viene profanato, diventando sperimentazione
di una volontà che resta priva di senso e si dissolve tragicamente.
In questo modo anche la figura del Superuomo, che iniziava a gettare
i suoi semi nella terra, e che sarebbe cresciuta fino a rendersi
compiuta nell'opera di Nietzsche e nei grandi movimenti totalitaristici
dell'inizio del '900, cioè di un uomo eccezionale portato
a vivere solo secondo il proprio libero arbitrio, si dissolve in
cenere, dato che il vero obbiettivo del libero arbitrio non è
quello di distruggere la libertà altrui ma di elevarla a
immagine di Dio.
Ovviamente in Delitto e Castigo troviamo molto molto di più
di questo, ma sarebbe un peccato togliere il piacere della lettura
ai lettori, che saranno sicuramente ben ricompensati da una piccola
fatica iniziale.
A cura di Gianni Migliarese