Abbi Cura
Dalla finestra la vedo chinarsi sulle rose
reggendole vicino al fiore per non
pungersi le dita. Con l'altra mano taglia, si ferma e
poi taglia ancora, più sola al mondo
di quanto mi sia mai reso conto. Non alzerà
lo sguardo, non subito. È sola
con le rose e con qualcosa che riesco solo a pensare, ma non
a dire. So bene come si chiamano quei cespugli
regalatici per le nostre recenti nozze: Ama, Onora e Abbi Cura...
è quest'ultima rosa che lei all'improvviso mi porge, dopo
essere entrata in casa tra uno sguardo e l'altro. Affondo
il naso in essa, ne aspiro la dolcezza, la lascio indugiare-profumo
di promessa, di tesoro. Le reggo il polso per avvicinarla ancora,
i suoi occhi verdi come muschio di fiume. E poi la chiamo, contro
quel che avverrà: moglie, finché posso, finché
il mio fiato, un petalo
affannato dietro l'altro, riesce ancora a raggiungerla.
Artaud
Tra i geroglifici, le maschere, le poesie incompiute,
si svolge lo spettacolo: Antonin et son double.
Ecco che entrano in azione, evocano i vecchi demoni.
Gli incantesimi, eccetera. Quello alto, dall'aspetto butterato
alla scrivania, quello con la sigaretta e
praticamente senza denti, è incline
alla sfacciataggine, a un certo eccesso
nel discorso, nei gesti. L'altro è prudente,
aspetta circospetto l'opportunità migliore, addirittura si
cancella. Ma
in certi momenti fa ancora aperte, impazienti allusioni
alla sua esistenza per necessità arrogante.
Antonin, è proprio vero, non ci sono più capolavori.
Ma le tue mani tremavano quando l'hai detto
e dietro ogni sipario c'è sempre, tu
lo sapevi bene, un fruscio.