"Tutto quello che e' frenetico
sara' presto passato:
perche' solo il flemmatico
ci inizia al perpetuo ...
Dalla calma tutto esce:
oscurita' e chiarore, volume e fiore."
I suoi sonetti a Orfeo sono l'ultima e forse più compiuta
espressione del simbolismo decadentistico europeo. Scritti di getto
tra il due e il ventitré febbraio 1922 al castello di Muzot,
questi sonetti sono il frutto di uno stato d'ispirazione (egli lo
definì "uragano dello spirito") che riportò
Rilke ad una scrittura gioiosa, euforica, con il piacere fisico del
verso che riesce, della rima che suona, di un pensiero di un insondabile
complessità eppure luminoso e non travagliato e sofferto come
nelle Elegie Duinesi.
Grazie a queste caratteristiche, ordinate nella forma perfetta
del sonetto, queste liriche presentano una grande unità di
ispirazione, tanto che è possibile parlare, più che
di una raccolta di poesie, di un'unica vasta poesia ciclica.
XIII
Anticipa ogni addio, quasi gia' fosse alle tue spalle,
come l'inverno che ora se ne va.
Perche' c'e' tra gli inverni uno cosi' infinito
che, se il tuo cuore sverna, resiste ormai per sempre.
Sii sempre morto in Euridice, e innalzati
fino al Rapporto puro, con piu' forza cantando, celebrando.
Qui tra effimeri sii, nel regno del declino,
un calice squillante che squillando gia' s'infranse.
Sii, e la condizione del Non-Essere al tempo stesso sappila,
questo fondo infinito del tuo interno vibrare,
perche' s'adempia intera in quest'unica volta.
Alle risorse esauste, alle altre informi e mute
della piena natura, alle somme indicibili,
te stesso aggiungi, in gioia, e annienta il numero.