Circolo Culturale Albatross
VALERIO MAGRELLI
Esercizi di tiptologia (Mondadori 1992)

"Che la materia"

Che la materia provochi il contagio
se toccata nelle sue fibre ultime
recisa come il vitello dalla madre
come il maiale dal proprio cuore
stridendo nel vedere le sue membra strappate;

Che tale schianto generi
la stessa energia che divampa
quando la società si lacera, sacro velo del tempio
e la testa del re cade spiccata dal corpo dello stato
affinché il taumaturgo diventi la ferita;

Che l'abbraccio del focolare sia radiazione
rogo della natura che si disgrega
inerme davanti al sorriso degli astanti
per offrire un lievissimo aumento
della temperatura ambientale;

Che la forma di ogni produzione
implichi effrazione, scissione, un addio
e la storia sia l'atto del combùrere
e la Terra una tenera catasta di legname
messa a asciugare al sole,

è incredibile, no?




Parlano

C'è intorno una tale quiete che quasi si può udire
il tintinnare di un cucchiaino che cade in Finlandia
(I. Brodskij)


Ma perché sempre dietro la mia parete?
Sempre dietro, le voci, sempre
quando scende la notte iniziano
a parlare, latrano o addirittura credono
che sussurrare sia meglio. Mentre mi sento
questo filo d'aria fredda delle loro parole
che mi gela, che mi lega
e mi tormenta nel sonno.
Sempre dietro la mia parete. Ero
ai confini del circolo polare, e anche laggiù
una coppia piangeva nella sua stanza
oltre un muro trasparente, piangeva,
luminoso, tenero come la membrana
di un timpano, e io stavo lì vibrando
facevo da cassa armonica
alla loro storia. Fino a che, a casa mia,
hanno rifatto il tetto, le tubature,
la facciata, tutto, e battevano
ovunque, sopra, sotto, e battevano sempre
chiacchierando tra loro solo quando dormivo,
solo perché dormivo,
solo perché facessi da cassa armonica
alle loro storie.



Sul nome di un'utilitaria della D.D.R.
che in tedesco significa satellite


Satelliti di un sistema solare che si disfa,
di un nucleo che decade, libera particelle
e perde le sue perle dai fili di orbitali, chicchi
di un ticchettìo che grandinando
brillano sugli asfalti occidentali,
TRABANT rosa, beige, verde
pastello, carrozzine due tempi, tintinnanti
trabiccoli azzurrini, trine tremule,
TRABIS, patrie portatili, gingilli
di una classe fossile e stilizzata,
scatolette di latta in cui si accalca
una trepida, dolce borghesia comunista, reperti
minerali, auto di Topolino
che fuggite dal vostro pifferaio assassino,

ben arrivati ad Hameln, B.R.D. !



L'abbraccio

Tu dormi accanto a me così io mi inchino
e accostato al tuo viso prendo sonno
come fa lo stoppino
da uno stoppino che gli passa il fuoco.
E i due lumini stanno
mentre la fiamma passa e il sonno fila.
Ma mentre fila vibra
la caldaia nelle cantine.
Laggiù si brucia una natura fossile,
là in fondo arde la Preistoria, morte
torbe sommerse, fermentate,
avvampano nel mio termosifone.
In una buia aureola di petrolio
la cameretta è un nido riscaldato
da depositi organici, da roghi, da liquami.
E noi, stoppini, siamo le due lingue
di quell'unica torcia paleozoica.


Porta Westfalica

Una giornata di nuvole, a Minden,
su un taxi che mi porta
in cerca di queste due parole.
Chiedo in giro e nessuno sa
cosa indichino - esattamente, dico -
che luogo sia, dove, se una fortezza
o una chiusa. Eppure il nome brilla
sulla carta geografica, un barbaglio,
nel fitto groviglio consonantico, che lancia
brevi vocali luminose, come l'arma
di un uomo in agguato nel bosco.
Si tradisce, e io vengo a cercarlo.
Il panorama op-art si squaderna tra alberi
e acque, mentre i cartelli indicano ora
una torre di Bismark, ora il mausoleo di Guglielmo,
la statua con la gamba sinistra istoriata
dalla scritta: "Manuel war da",
incisa forse con le chiavi di casa, tenue
filo dorato sul verde del bronzo,
linea sinuosa della firma, fiume
tra fiumi. Lascio la macchina, inizio a camminare.
Foglie morte, una luce mobile, l'aria gelata,
la fitta di una storta alla caviglia,
io, trottola che prilla, io,
vite che si svita. Nient'altro.
Eppure qui sta il segno, qui
si strozza la terra,
qui sta il by-pass, il muro
di una Berlino idrica in mezzo
a falde freatiche, bacini artificiali,
e la pace e la guerra e la lingua latina.
Niente. E mentre giro nella foresta penso
all'autista che attende perplesso,
all'autista che attende perplesso
e ne approfitta per lavare i vetri
mentre nel suo brusìo
sotto il cruscotto scorre sussurrando
il fiume del tassametro, l'elica del denaro,
diga, condotto, sbocco, chiusa dischiusa, aorta,
emorragia del tempo e valvola mitralica,
Porta Westafalica della vita mia.


A capo

Andiamo nella neve fresca
adesso,
adesso scivoliamo ma
curvare
in questa nuvola di luce e d'aria
fresca
ma curvare è difficile
curvare.



S. Eustorgio

a Antonio Porta

Ora non ricordo il nome della chiesa
ma so che dava su una distesa,
un prato rovinato, e sotto,
diramandosi fino sotto il prato,
stava la cripta. Diramandosi,
l'albero di Jeffe o l'ostensorio,
un mozzo sepolto, araldico,
radiante (se "radiante" è il punto
della volta celeste da cui sembrano
divergere le traiettorie tracciate
dagli sciami di stelle cadenti).
Sostavamo parlando accanto all'asse
di quella cripta, cripto-perno
di un organo rotante.
Perché questa è la città,
sciame di stelle cadenti,
alveare astronomico.
"Si dovrebbe sempre partire da qui",
mi spiegava.


Treno-cometa

Treno-cometa
fiammifero stregato, ferro
sfregato contro le rotaie,
freno tirato e attrito,
treno-freno che strazia
e stride nella notte.
Venivo avanti con le ruote bloccate
le vertebre contratte
le parole-trattino
e dal mio sforzo veniva
un calore e un colore
e un odore di carne strinata:
scintille, una pioggia di lingue
focaie nella notte.
Ah vagoni frenati, ah parole-trattino
io fricativo, ritratto dell'attrito.




Lezione di metrica


Un pettine d'acciaio fila
le note, sfila
una musica dolce di zucchero
filato. Come un incantatore
di serpenti incantato
mi ipnotizza la lingua
del suono che si srotola
mentre i denti di ferro,
il rosario di uncini,
strappano questa carne
da scortico, e sbranato
sta il cuore di chi ascolta.
Qui suonano il mio cuore!
Vezzo e lezzo. Rotto l'involucro
con la ballerina, il carillon si arresta
perché il cattivo gusto
è il suo buon guscio armonico,
l'astuccio per la perla
matta della leziosità. Notte.
Il violino di Frankenstein mi chiama.
E io sono quel mostro musicale
condannato alla ruota musicale
della sua musicale nostalgia.



"Ero su un letto di ambulatorio"

Ero su un letto di ambulatorio,
nascosto dietro un paravento.
"Antigone", "Sì", "Sei qui?", "Sì, qui".
Le vertebre, le vertebre.
E iniziano a discorrere tra loro,
due vecchi, due voci di vecchi.
Perché una voce invecchia,
anche nel suono sta l'osso del tempo
anche nel fiato. Soffiavano, e c'era
dentro un'eco di se stessa,
un'eco che precedeva la pronuncia.
Qualcosa di scassato, il midollo
sfilato dalla spina dorsale e
sguainato come una spada luccicante
voce-carcassa
vertebra della voce.




A te Dna della poesia



Ella sen va notando lenta lenta:
rota e discende ma non me n'accorgo
se non che al viso e di sotto mi venta

A te Dna della poesia
elica e elastico
avviticchiati a forza
a malincuore treccia
attorcigliata torte e ritorte
rime
di un aereo giocattolo
che appena liberate
frullano via nei secoli
verso il futuro della lingua madre.




L'imballatore

"Cos'è la traduzione? Su un vassoio
la testa pallida e fiammante d'un poeta"
(V.Nabokov)


L'imballatore chino
che mi svuota la stanza
fa il mio stesso lavoro.
Anch'io faccio cambiare casa
alle parole, alle parole
che non sono mie,
e metto mano a ciò
che non conosco senza capire
cosa sto spostando.
Sto spostando me stesso
traducendo il passato in un presente
che viaggia sigillato
racchiuso dentro pagine
o dentro casse con la scritta
"Fragile" di cui ignoro l'interno.
E' questo il futuro, la spola, il traslato,
il tempo manovale e citeriore,
trasferimento e tropo,
la ditta di trasloco.

Guillaume Colletet (dall'elegia "Contre la Traduction")



Son stufo di servire, basta con l'imitare,
Le versioni sviliscono chi è in grado di inventare:
Sono più innamorato di un Verso che ho prodotto
Che di tutti quei Libri in prosa che ho tradotto.
Seguire passo passo l'Autore come schiavi,
Cercare soluzioni senza averne le chiavi,
Distillarsi lo Spirito senza capo né coda,
Far di un vecchio Latino un Francese alla moda,
Spulciare ogni parola come fossi un Grammatico
(Questa funziona bene, quella ha un suono antipatico),
Dare a un senso confuso uno sviluppo piano,
Unire a ciò che serve tutto un linguaggio vano,
Parlare con prontezza di quello che più ignori,
I Dotti, dei tuoi sbagli, rendere spettatori,
E seguendo un capriccio spinto fino all'eccesso
Capire chi neppure si capì da se stesso:
Ormai, questo lavoro mi ha talmente stancato
Che ne ho il corpo sfinito, lo spirito spossato.

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Valerio Magrelli

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