Mario Luzi
Un navigatore del Novecento
Un incontro con Mario Luzi di Doriano Fasoli


Luzi, che effetto le fa vedere la sua Opera poetica raccolta in un Meridiano?
L'emozione, la reazione psicologica che si ha per questo tipo di riconoscimenti umani è bifronte: da una parte si presentano come conclusioni, dall'altra come conferme di validità di un testo che viene ripreso e ufficializzato, in qualche modo. Dunque, c'è il senso del lavoro fatto in tanti anni e la malinconia per qualcosa che è finita. Spero non sia del tutto così…

Quando sente che una poesia sta per scaturire?
Il punto di partenza di una poesia è quel qualcosa che viene dal fondo, come il baricentro di un piccolo terremoto, come un'onda che sale su… Io la sento così… proprio come un'onda che porta in superficie delle cose - molto sedimentate, molto assimilate dalla sensibilità e dalla coscienza- che non si notavano più. Improvvisamente vengono in superficie e prendono senso, significato, diventano importanti e rioganizzano un po' tutto il pensiero e tutto il sentimento del mondo intorno a loro.

Il mare è stato spesso per lei fonte d'ispirazione?
Non ho scritto moltissimi versi con la complicità poetica del mare. La mia acqua è più quella dei fiumi. Nel mare tuttavia non è l'elemento ad aver importanza, ma la misura: che appare sovrumana oppure tentacolare per l'uomo. Le sirene, si pensi alle sirene.

Va ancora volentieri al cinema?

Il cinema è stata una passione e anche una mania; fino alla metà degli anni Cinquanta quando è sopravvenuta la saturazione e il distacco. Pabst, Dreyer, Murnau, King Vidor, René Clair, Chaplin sono i registi che ho amato maggiormente e, per me, tra gli italiani, Roberto Rossellini è quello che ha raggiunto traquardi ancora insuperati.

Lei ha scritto anche testi per il teatro (ricordiamo "Ipazia", "Rosales", "Hystrio" e "Il Purgatorio")… ammira un artista come Carmelo Bene?
Solo una volta - a parte qualche sua esibizione televisiva - ho assistito a uno spettacolo teatrale di Carmelo Bene. Sono entrato con lui in una sorda colluttazione. L'"histrio" voleva vincere istrionicamente, senza dissimularsi né contenersi.

Perché ha accettato recentemente di scrivere un'introduzione - sotto forma di lettera aperta - ad un libro (pubblicato dalla casa editrice Euresis) che s'intitola:"Fabrizio De André. Accordi eretici", una dotta raccolta di saggi sull'opera del poeta-cantautore genovese, scomparso lo scorso gennaio?
Non conoscevo Fabrizio De André, o, più precisamente, non avevo mai seguito la coerenza del suo lavoro. Quando mi è stata chiesta l'introduzione, mi sono fatto mandare tutti i suoi album, li ho ascoltati con attenzione e posso dire che De André mi piace molto, perché è veramente lo chansonnier per eccellenza.Cioè è stato un artista che si è realizzato proprio in questa intertestualità tra testo letterario e testo musicale. Mi sono dunque reso conto che era una lacuna che io non lo conoscessi, perché ha una storia, perché morde davvero… Avevo sperato anche d'incontrarlo personalmente presto.

Si considera più itinerante o più stanziale?
Fino ad un certo momento hanno prevalso i viaggi mentali, "autor de sa chambre"; poi però ho anche gustato molto il "déplacement", la dislocazione. Un luogo puoi infatti conoscerlo prima o attraverso letture o per intuizione, ma il conoscerlo concretamente, con il senso, porta sempre un mutamento, un arricchimento straordinario.

Una foto giovanile la ritrae in compagnia, tra gli altri, di Pier Paolo Pasolini: come "giudica" questo scrittore?

Pasolini l'ho incontrato solo un paio di volte. La prima volta a Parma, dove fu istituito un premio la cui giuria era composta dagli amici di sempre (De Robertis, Carlo Bo…). Io venni invitato a farne parte, poiché avevo già insegnato a Parma e mi sentivo quindi vicino a questa, diciamo così, cultura parmense. Pasolini concorse al premio e lo vinse. In apparenza era molto timido, riguardoso. La sua vita intellettuale era invece assai diversa. Abbiamo polemizzato, pur non gravemente, ma c'è sempre stato tra noi un reciproco rispetto. Per posizione, lui aveva preso quella di anti-ermetico che voleva rimettere in discussione tutto il periodo anteriore a cui io stesso avevo partecipato. M'invitò a pubblicare su "Officina", nonostante i suoi amici fossero schierati. Non era dunque così fazioso…
Era un personaggio, in sostanza, molto tormentato. Questa era la ragione principale dell'interesse che egli suscitava. Da una parte era un uomo che voleva primeggiare, avere in mano un po' la situazione. Lo si vedeva. Ma non era tanto per ambizione, quanto per esplicare in pieno tutta l'attività che aveva in potenza dentro di sé (il cinema, il giornalismo, il teatro…). Io una grandissima opinione di Pasolini, francamente, non ce l'ho. Però devo dire che quel poetare che nasceva antipoetico, anti-letterario, anti-romantico, anti-novecentesco, anti-tutto, aveva molti aspetti oratorii. Usava molto, appunto, la suggestione dell'anti-letteratura e quindi della retorica. A me ne "La religone del mio tempo" piacquero tre o quattro poesie… Sentii in esse una disperata vitalità… In Pasolini c'è una moltitudine di parole e poca Parola. Però questa Parola quando c'è è forte, sicuramente.

Poeti ultrapresenzialisti; scrittori e scrittrici che danno lezioni di vita e di scrittura in tv o altrove; ex-"psicoanalisti" che si rendono conto d'aver sbagliato mestiere e, dismessa la tonaca, decidono di dedicarsi alla letteratura: stendono romanzi, in proprio o a quattro mani, trovando spazio in casa Einaudi; altri personaggetti, riveriti come "boss", si spartiscono il mercato letterario, dettano legge… questo il quadro, un po' imbarazzante, della cosiddetta società letteraria, così come la si coglie almeno a prima vista. Lei cosa ne pensa?
Purtroppo debbo darle ragione. La società letteraria finisce per diventare una specie di ghetto, magari anche molto divertente per qualcuno. Ma quando io parlo della società letteraria non intendo la società; intendo quella dei letterati che, in fondo, forse troppo severamente, giudico oziosa e che si circuisce in se stessa quasi isolandosi da una pur viva e mutevole società che fluisce e si realizza all'intorno. Purtroppo l'Italia è fatta di letterati che si autocontrollano in questa società. Io ho avuto fastidio di ciò, pur avendone fatto parte in gioventù: il caffè letterario, il gruppo… Ma in sostanza, tutti i retroscena, risvolti della pura operatività che si può anche sviluppare in gruppo e quindi in società, tutto questo mi è sempre rimasto estraneo. Ho sempre avuto fastidio per tutta la chiacchiera, insomma.

Segue con curiosità i programmi televisivi o è di quelli che la demonizzano la Tv?
No, non la demonizzo, ma, insomma, nella pratica più o meno quotidiana mi sembra prevalga il lato dell'ingombro su quello della proposta o della comunicazione utile. Non saprei davvero dire di più.

Che rapporto ha con i libri?
Alcuni sono i Libri. Quelli sono sul loro leggìo. Per il resto molta praticabilità, estrema disinvoltura nel loro uso.

E' al passo con la letteratura odierna?
Molti scrivono, molti libri escono e forse ci sono più scrittori che lettori. Dunque è molto difficile mantenere il passo. Credo, tutt'al più, di avere il sospetto di ciò che bolle in pentola…

E che cosa bolle in pentola, secondo lei?
Continuo a vedere un prevalere di letterarietà sulla motivazione profonda. Un prevalere sì dell'aspetto letterario e anche di una certa invenzione di tipo formale ma come sganciata, ripeto, da un lavoro interno, quello che scava in profondità nelle ragioni stesse della vita. Tanti personaggi che s'incontrano oggi nei libri rimangono purtroppo nel vuoto dell'astrazione, non sono affatto vivi ed umani. Dove sono quegli scrittori capaci di penetrare con acume e finezza nella psicologia femminile o in quella maschile, di ritirarsi in se stessi dopo aver accolto quegli "umori del mondo" di cui i loro sensi hanno fatto realmente esperienza? Può darsi che ve ne siano da qualche parte, anzi di sicuro, e che, più semplicemente, sia io a non essere al corrente, della produzione… Ad ogni modo, le ondate di titoli che si susseguono incalzanti sono bene evidenti agli occhi di tutti e lì per lì magari si direbbe rappresentino finalmente un qualcosa di nuovo, di fresco anche, e invece risultano alla fine, puntualmente, pagine costate assai poco a chi le ha scritte. Un tempo, questa eccessiva fatuità sarebbe forse stata vista come un "difetto di personalità"…

Per lei la bellezza coincide con una sorta di maturità interiore, di raffinatezza, con tutti i segni di una forte interiorità?
Quella che io intendo per bellezza, ed è la sola che mi interessa, mi tocca e mi commuove, è una promanazione interiore armonizzata con la forma esterna.


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MARIO LUZI

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