Qual era la situazione geografica, storica e politica del mondo arabo
prima di Maometto?
L'Islam nasce in Arabia, a La Mecca e a Medina, le due città
principali dell'Arabia. Nasce nel 610 e Maometto muore nel 632: in questi
22 anni la storia dell'Arabia, del Medio Oriente e del mondo intero,
è stata cambiata attraverso una personalità straordinaria,
appunto quella di Maometto. Poco si sa dell'Arabia prima di Maometto,
divisa com'era in tante tribù, spesso nomadi, il cui capo era
l'unica autorità riconosciuta, che non sentiva il bisogno di
mettere per iscritto le proprie tradizioni. Quando Maometto inizia la
sua predicazione l'Arabia stava attraversando un periodo acuto di disfacimento
politico, al limite dell'anarchia. A 40 anni Maometto dice di aver fatto
esperienza spirituale di Dio nel deserto e decide di dedicare l'esistenza
a far conoscere questo Dio unico, che nel suo ambiente non era sconosciuto,
ma non era diffuso. Non era sconosciuto perché in Arabia risiedevano
alcuni ebrei e numerosi cristiani. Dunque l'atmosfera in Arabia era
pronta ad accogliere il monoteismo, ma è Maometto che dedica
tutte le proprie energie ad annunciare questo Dio unico. Nei momenti
di maggiore isolamento, Maometto cerca l'appoggio anzitutto dei cristiani
ed ebrei de La Mecca, e poi anche degli ebrei di Medina.
Come Maometto si inserisce nel contesto del mondo arabo e cosa resta
e cosa cambia, dopo il suo passaggio, delle tradizioni a lui precedenti?
A La Mecca la predicazione è chiara, semplice e religiosa: c'è
un solo Dio, c'è un giudizio eterno, ognuno sarà giudicato
secondo i suoi atti, e la conseguenza sarà il castigo, l'inferno
per chi ha fatto il male, il paradiso eterno per chi ha fatto il bene.
Maometto dice di essere il profeta di Dio e predica di conseguenza la
giustizia sociale. Ora, La Mecca era il centro dell'Arabia, un centro
commerciale importantissimo ed anche un centro religioso dove tutti
gli dei della penisola erano adorati con dei riti particolari; durante
un mese di pellegrinaggio tutte le tribù arabe si radunavano
lì per adorare i propri dei, per comprare e vendere e fare il
loro negozio, e per competere in gare di poesia. La Mecca era dunque
un centro commerciale, religioso, politico e sociale. La predicazione
di Maometto però non piace ai meccani, perché chiede la
solidarietà con i poveri, e viene dunque rifiutata. Col crescere
dell'opposizione è costretto a fuggire con i suoi seguaci in
Etiopia, sede di un regno cristiano. Questa è la prima emigrazione.
Intanto però l'opposizione dei meccani cresce, Maometto non riesce
ad imporsi, e decide di cambiare tattica: si mette d'accordo con la
città rivale, Medina, la seconda città dell'Arabia, a
circa 350 km da La Mecca. Quelli di Medina si accordano con lui e si
dicono disposti ad accoglierlo con i suoi seguaci. Maometto manda i
suoi a piccoli gruppi per non attirare l'attenzione dei meccani, perché
in pratica quello che sta organizzando è un tradimento della
sua tribù. La notte fra il 15 e il 16 luglio 622 avviene l'egira,
cioè Maometto fugge a Medina. Lì, oltre ai pagani arabi
che lo accolgono, vivono tre tribù ebraiche potenti. Maometto
comincia a fare patti con tutti, anche con gli ebrei, e organizza la
vita sociale, politica, culturale e religiosa dei suoi. In un primo
tempo, Maometto orienta la preghiera verso Gerusalemme per guadagnare
a sé le tre tribù ebraiche che sono le più ricche
di Medina. Questo anche perché ha bisogno di soldi e di aiuto,
si trova isolato, con un pugno di seguaci, senza terra, senza lavoro;
i suoi uomini devono essere mantenuti da quelli che li hanno accolti.
Ha quindi bisogno di un più largo aiuto. Ma i suoi tentativi
di guadagnare gli ebrei non portano frutto: gli ebrei non lo riconoscono
come profeta. Perciò, dopo circa un anno e mezzo, Maometto cambia
rotta: la preghiera non è più orientata verso Gerusalemme,
ma verso La Mecca, per guadagnare a sé gli arabi pagani, e innanzitutto
la sua tribù. Il digiuno, che prima durava un solo giorno, come
il Kippur degli ebrei, diventa di un mese, uno dei mesi sacri. Poi comincia
una serie di razzie per fare bottino e, soprattutto, per stringere patti
con le varie tribù, in modo da spezzare il suo isolamento e allargare
la propria base. Quando si sente più forte attacca e guadagna
a sé una tribù, sottomettendola e costringendola a pagare
un tributo; quando è di pari forza fa un patto; e, quando è
più debole, evita lo scontro. Così, grazie alla sua ottima
strategia, riesce ad allargare la base dell'Islam, sia numericamente,
sia a livello politico. Maometto, a questo punto, si sente abbastanza
forte e si scatena contro gli ebrei: una dopo l'altra le tre tribù
ebraiche verranno escluse da Medina, e i loro beni confiscati a favore
dei musulmani. Avendo allargato la propria base con le tribù
arabe, essendo ormai più ricco e più forte militarmente,
Maometto può confrontarsi con La Mecca e due anni prima della
morte riesce ad entrare nella città pacificamente, senza spargimento
di sangue, perché i meccani riconoscono la sua supremazia. Così
quasi tutta la penisola araba si converte all'Islam. La cosa più
notevole della vita di Maometto sono state le guerre, 19 secondo la
biografia più autorevole, la Sîrah di Ibn Hisciâm,
durante il decennio di Medina. Ma anche come legislatore ha fatto molto:
ha fatto progredire tutta la legislazione dei beduini, che non avevano
leggi se non quelle tradizionali. Maometto però ha avuto anche
un'idea geniale, quella di ricollegarsi alle religioni monoteiste esistenti.
Nella loro prospettiva, così, i mussulmani dicono di riconoscere
tutto ciò che li precede: il cristianesimo e l'ebraismo; nel
Corano ci sono Gesù, Mosé ecc. Maometto si considera l'ultimo
e definitivo profeta che ha ricevuto il compito di completare la rivelazione
divina e accetta come profeti ispirati Abramo, Mosè, e Gesù.
Naturalmente quello che dice il Corano riguardo a Gesù non corrisponde
al Vangelo. Sono negate la divinità di Cristo, la Trinità,
l'Incarnazione, addirittura il fatto storico della crocifissione: Gesù
non è stato ucciso e crocifisso, ma è solo sembrato che
lo fosse.
Come, dalla nascita dell'Islam, si è evoluto il concetto di conquista
degli altri popoli? (Riferimento al concetto di "guerra santa";
evoluzione storica delle conquiste arabe con le battaglie più
importanti come Poiters, Lepanto, Costantinopoli, Vienna... ).
Comincio con il dire che fin dalla morte di Maometto l'espansione araba
fu travolgente fino a modificare stabilmente l'assetto politico del
vicino oriente e dell'Africa settentrionale. Vennero ben presto conquistate
la Palestina, l'Iraq, la Persia, l'Egitto. Dopo iniziò lo scontro
con l'Occidente. Le tappe salienti di questa relazione conflittuale,
di questi 1400 anni in cui l'Occidente fu più volte in pericolo
di soccombere, sono: nel 655 la resistenza di Costantinopoli; nel 732
la battaglia di Poitiers e la vittoria di Carlo Martello; la caduta
di Costantinopoli e dell'Impero Romano d'Oriente nel 1453; la battaglia
di Lepanto nel 1571, quando la Lega tra Venezia, papa Pio V e la Spagna
sconfisse la flotta dell'impero turco; la cruciale vittoria di Giovanni
III Sobieski sotto le mura di Vienna assediata, nel 1683. Ci sono alcuni
storici che hanno ridimensionato le proporzioni delle battaglie di Poitiers
e di Lepanto, ma, quale che sia stata la loro reale proporzione, ciò
che conta è il loro significato simbolico: la Christianitas resisteva
e poteva resistere all'impressionante avanzata islamica. Molto spesso
nella storia è proprio il significato simbolico di un avvenimento
che conta. In fondo, lo stesso attentato dell'11 settembre non è
poi numericamente molto rilevante: ogni fine settimana negli Stati Uniti
muoiono per incidenti stradali molte più persone. Però
dal punto di vista simbolico quell'attentato è un colpo profondo
al cuore dell'Occidente. Là dove l'Islam riusciva ad espandersi,
dopo le stragi iniziali, con i vinti si stabiliva un vero e proprio
"contratto di protezione" che si basava su due cardini: pagare
un tributo e accettare la pubblica umiliazione, riconoscendo i privilegi
dei padroni. Tra i doveri da rispettare c'è il divieto di suonare
le campane, di mostrare in pubblico la croce, di costruire nuove chiese
o conventi, di erigere case più alte di quelle dei discepoli
di Maometto, di ospitare questi, gratuitamente, mentre pellegrinano
verso la Mecca. La "protezione" aveva un prezzo, e anche assai
alto: talvolta pari ai tre quarti del reddito degli sventurati "protetti".
Solo questi pagavano le imposte, i musulmani vivevano, se appena possibile,
come mantenuti. Spesso si parla della "tolleranza" mussulmana
- ad esempio, in Spagna - contrapponendola, naturalmente, all'"intolleranza"
cattolica. Ma così si dimentica di spiegare come stessero le
cose: da una parte la folla degli sfruttati, dall'altra l'élite
dei padroni che viveva da parassita su quanto estorto, vigilando perché
le altre religioni sopravvivessero, così da potere continuare
a riscuotere il pesantissimo tributo. Al momento della mietitura, ad
esempio, i soldati dell'emiro vigilavano e sequestravano le messi direttamente
sul campo. Non "tolleranza", dunque, ma preciso, cinico interesse
economico. I turisti che visitano, ammirandole, le grandi moschee o
l'Alhambra di Granada non sanno che quelle meraviglie sono state spesso
erette riducendo alla fame i "protetti".
Circa il concetto di "guerra santa" è necessario fare
una nuova precisazione. Anzitutto, sono convinto che se si domandasse
a qualche cattolico come individuare la dottrina cattolica stessa, molto
probabilmente mi risponderebbe che questa dottrina si ricostruisce attraverso
la Bibbia e il Vangelo. Questa risposta, però, sarebbe sbagliata
per la semplice ragione che il luogo dove rintracciare la dottrina cattolica
non è direttamente la Bibbia o il Vangelo, bensì il Catechismo,
e, in generale, tutti i documenti del Magistero. La ragione sta nel
fatto che nella Sacra Scrittura c'è una stratificazione di significati:
letterale, morale, allegorico, anagogico. Inoltre l'autore sacro incide
nella redazione del testo biblico con la sua cultura scientifica personale
e con il suo stile, con il genere letterario che adotta (cronaca, genere
sapienziale, libro di proverbi, racconto allegorico, ecc.). Per queste
e altre ragioni la Sacra Scrittura è un testo di difficile interpretazione,
che il fedele da solo non può interpretare correttamente (contrariamente
a quanto sostengono, sbagliando, i protestanti). La dottrina cristiana,
così, è l'esito dell'interpretazione operata dal Magistero
(cioè dal Papa e dai Vescovi in comunione con lui), che interpreta
non solo la Scrittura, ma anche la Sacra Tradizione (l'insegnamento
comunicato da Cristo ai suoi apostoli, e da questi trasmesso ai loro
successori. Il dogma dell'Immacolata Concezione di Maria, per es., è
stato formulato da Pio IX nel 1854 attingendo alla Sacra Tradizione).
Nel caso dell'Islam, invece, non c'è un'istanza simile a quella
del Magistero, non c'è una fonte, un'autorità deputata
ufficialmente a definire la dottrina islamica stessa. È impossibile
individuare una dottrina islamica unica, definitiva, indiscutibile che
sia valida per tutti. Tutto quello che si può dire a proposito
dell'islamismo, e che anch'io posso dire, basta che abbia un fondamento
nel Corano. Perciò, chiunque interpreta e cita il Corano può
considerarsi interprete legittimo e portavoce della dottrina islamica.
Fatta questa precisazione, il concetto di "guerra santa" può
indicare la conversione forzata dell'infedele a costo di passarlo a
fil di spada. Ora, nel Corano ci sono molteplici passi che confermano
una interpretazione di questo tipo. C'è una sura, che è
uno dei 114 capitoli in cui è diviso il libro, in cui Dio dice:
"getterò il terrore nel cuore di quelli che non credono
e voi decapitateli" (VIII, 12); un'altra dice: "i cristiani
dicono: "il Messia è figlio di Dio"; questo è
ciò che essi dicono imitando i detti di coloro che prima di loro
non credettero; Dio li combatta! Quanto vanno errati!" (IX, 30);
un'altra ancora: "quando incontrerete quelli che non credono, uccideteli
fino a che non ne abbiate fatto strage; allora, rafforzate le catene
dei rimanenti" (XLVII, 4). Per quanto riguarda il suicidio, è
vero che il Corano lo proibisce, però l'azione di un kamikaze
non è suicidio, bensì un atto di martirio: "Non dite
di coloro che furono uccisi combattendo nella via di Dio, che essi sono
morti; poiché anzi essi sono vivi" (II, 149). Potrei continuare
a citare passi simili. Ora, mi si potrebbe obiettare che questa è
una lettura fondamentalista che si potrebbe applicare anche ad alcuni
passi dell'Antico Testamento. Ma l'obiezione non coglierebbe nel segno,
perché la lettura fondamentalista è pienamente legittima
nell'Islam, visto che, come ho detto, non esiste un Magistero che la
proibisca, mentre nel cristianesimo è illegittima, perché
il Magistero indica come interpretare. Questi passi possono anche essere
interpretati in modo allegorico: la "guerra santa" è
allora intesa come lotta contro se stessi, come lotta ascetica. Anche
questa interpretazione è possibile e legittima, come però
è legittima un'interpretazione letterale di questi passi. La
mia convinzione è che tutte e due queste interpretazioni siano
fondate. Si potrebbero infatti citare anche dei (rari) passi in cui
si parla di tolleranza religiosa. Quel che certo è che, se è
vero che nell'Islam non c'è un Magistero, forse l'unica istanza
simile è quella della maggioranza. Ora, l'interpretazione maggioritaria
di questi passi è proprio quella letterale. Infatti, se uno va
a vedere qual è stata la storia passata dei rapporti tra l'Islam
e l'Occidente, vede una storia di conflitti, contrasti e, ogni tanto,
di tregue momentanee. Se uno guarda poi alla situazione presente, vede
l'esistenza di un Islam moderato, ma anche l'esistenza di un Islam fondamentalista,
che è di nuovo maggioritario: basterebbe ricordare le scene di
giubilo degli islamici alla notizia del crollo delle Twin Towers, oppure
ricordare le migliaia di cristiani che vengono ogni anno uccisi nei
paesi islamici, oppure leggere l'intervista rilasciata da Mohammed Said
Tantawi, la guida suprema seguita dai sunniti, ossia il 90 % dei mussulmani.
A Tantawi è stato chiesto di condannare i kamikaze islamici e
la sua risposta è stata: "Chi si imbottisce di tritolo e
si fa saltare in mezzo al nemico deve essere considerato un martire"
(La Stampa, 16-11-2001). È logico che ognuno di noi deve cercare
di aiutare e sostenere l'Islam moderato.
Dopo i terribili attentati di New York e Washington dell'11 settembre
2001 e lo scoppio della guerra in Afghanistan, iniziata il 7 ottobre,
la situazione internazionale si è fatta particolarmente difficile.
Nonostante la tragicità di questi fatti, può questo aver
contribuito a far sì che molte persone, lontane dalla fede, si
siano riavvicinate e che molti cristiani abbiano preso più seriamente
le loro tradizioni e convinzioni religiose?
È una domanda molto interessante perché mi interpella
su un problema cruciale e decisivo, cioè il problema del male.
Questo ha dei risvolti teologici inquietanti, nel senso che il male,
di primo acchito, offre due alternative teologiche altrettanto inquietanti
e insostenibili: o Dio è impotente perché non è
in grado di evitare il male, o Dio è malvagio perché non
evita che il male esista. Ora la questione del male rimane in definitiva
un mistero, però non è impossibile tentare una traccia
di risposta. Bisogna dire che il male morale dipende dall'uomo: è
l'uomo che infligge all'altro uomo il male. L'origine del male è
la libertà umana. Sotto questo profilo, Dio può essere
scagionato. Ci si può domandare, però, come mai Dio, essendo
onnipotente, tollera che alcuni uomini compiano il male a danno di altri.
La risposta è che Dio consente il male perché dal male
è in grado di ricavare un bene. Ciascuno, forse, nella sua storia
personale può, a posteriori, verificare che la sua sofferenza
non è stata infeconda. Non sempre possiamo rintracciare il significato
del male; qualche volta lo rintracciamo qualche volta no. Se avessimo
il punto di vista di Dio, capiremmo che il male è tollerato da
Dio in funzione del bene. Alcuni hanno domandato: "Dove era Dio
ad Auschwitz"? Una risposta possibile è che Auschwitz dipende
da una organizzazione criminale di uomini che hanno realizzato i campi
di concentramento. Ma perché Dio ha permesso Auschwitz? Questo
resta un mistero, ma Egli sicuramente lo ha fatto in vista di un bene.
Lo stesso discorso vale per l'attentato alle Torri Gemelle. Ho letto
il resoconto di un'inchiesta che è stata fatta in America a fine
agosto e in questo sondaggio di opinione in cui si chiedeva agli americani
che cosa contasse di più nella vita, al primo posto c'era la
carriera ed al terzo la ricchezza. Lo stesso sondaggio, fatto un mese
dopo gli attentati, metteva al primo posto, questa volta, la famiglia,
al secondo posto gli affetti, al terzo Dio e poi la salute; la carriera
e la ricchezza sono finite rispettivamente al penultimo ed ultimo posto.
Inoltre, i giornali USA continuano a pubblicare storie di personaggi
che hanno scoperto dentro di sé identità e valori che
paiono sorprendenti a chi li conosceva in precedenza. Una simile inchiesta
è stata fatta in Italia con risultati simili e, se al 15 di Agosto
gli obiettivi principali erano quelli del consumismo, dell'edonismo,
dell'apparenza, a settembre, dice questo sondaggio, è emerso
il bisogno di intimità, al posto della ricerca del sesso si ha
il desiderio di un amore vero, all'individualismo subentra la solidarietà,
dove prima c'era l'"io" ora compare il "noi". Quindi,
già in termini collettivi, si può rintracciare l'aspetto
positivo di questo attentato così simbolicamente impressionante.
Ci si potrebbe anche domandare perché Dio lasci comunque la possibilità
di compiere il male: non sarebbe meglio se questa possibilità
non fosse data per nulla all'uomo? Ma la libertà non può
essere negata all'uomo perché è la cifra della dignità
umana, della nobiltà umana. È la libertà che rende
l'uomo una creatura privilegiata. Se poi ci si chiedesse perché
Dio vuole l'uomo libero, la risposta definitiva mi sembra questa: Dio
ha destinato l'uomo a partecipare alla comunione amorosa con Sé,
a partecipare a quella inimmaginabile circolazione d'amore che è
la vita intradivina. Ebbene, Dio chiede all'uomo se vuole partecipare
a questa comunione, come l'innamorato che chiede a colei di cui si è
innamorato che la sua proposta d'amore venga ricambiata. È come
uno spasimante, come un pretendente che chiede la corrispondenza all'amata,
non vuole certo costringerla a riamarlo, perciò la lascia libera.
Fin qui abbiamo dato una risposta filosofica al problema del male. Il
cristianesimo, però, e soltanto il cristianesimo, è in
grado di offrire una risposta religiosa definitivamente consolante,
perché soltanto nel cristianesimo Dio non rimane impassibile
nella sua beatitudine, non assiste imperturbabile alle sofferenze dell'uomo,
lontano come uno spettatore imparziale. Soltanto nel cristianesimo Dio,
nella persona del Figlio, assume tutto della condizione umana fuorché
il peccato, e sceglie liberamente di sperimentare la sofferenza fino
alla morte di croce, morte ignominiosa che comporta un dolore fisico
inenarrabile e anche un dolore psicologico e morale: il dolore dell'abbandono,
della solitudine, del rifiuto dell'amicizia e dell'amore donato. Soltanto
nel cristianesimo, a differenza di tutte le altre religioni, c'è
un Dio che soffre e che patisce, che dà un modello di uomo sofferente,
che dà un senso alla sofferenza umana. Il senso è quello
di partecipare alla redenzione, di farsi corredentori insieme a Cristo
che dona la possibilità di offrire la sofferenza per il bene
proprio e altrui.
Alla luce di quelli che sono i capisaldi della dottrina cattolica da
una parte e dell'Islam dall'altra, quali sono le principali differenze
tra le due religioni in tema di provenienza della rivelazione, concezione
di Dio, concezione della persona e delle relazioni umane e dei rapporti
tra stato e religione?
Per quanto riguarda la natura del Dio coranico egli è un Dio
assolutamente staccato dal mondo, invece, il Dio biblico, pur essendo
diverso dal mondo, si esprime nella creazione, come il pittore si esprime
nel quadro che dipinge, pur non essendo il quadro. Il Dio coranico non
ha parentela con il mondo, perciò l'Islam è una forma
di nichilismo: giacché Dio è pura positività e
il mondo è assolutamente diverso dal Dio, ne segue che il mondo
non vale nulla. Viceversa, nel cristianesimo il mondo è buono
perché è voluto da Dio. Nella Genesi si dice: "E
Dio vide che era cosa buona" [cfr Gn 1]. Dio, nel cristianesimo,
assume il volto stupendo dell'amore: la definizione più incisiva
del Dio cristiano è quella data da S. Giovanni, secondo cui "Dio
è amore" (Gv, I, 4, 8). E la creazione intera è l'esito
di un atto d'amore di Dio, perché il mondo non aggiunge nulla
a Dio, non serve a Lui, perciò il mondo esiste per un'effusione
gratuita e amorosa, l'atto creativo e gratuito di Dio. Al contrario,
il Dio coranico è Volontà, una volontà arbitraria
che può stravolgere e contraddire lo stesso Corano (per es.,
Sura II, 100), che può mandare in paradiso i malvagi e mandare
all'inferno i buoni (Sura XI, 108-110). Questo Dio-Volontà non
ama gli uomini, non chiede il loro amore, ma solo la loro sottomissione.
Islam vuol dire appunto "sottomissione" alla Volontà
divina, e mussulmano viene da muslim, sottomesso alla volontà
divina. Mentre il Dio cristiano dice "Non vi ho chiamato servi
ma amici" [cfr Gv 15,15-16], il Dio coranico vuole dei servi. Il
cristiano sta al cospetto di Dio e intrattiene una relazione personale
con Lui, può chiamarlo Padre, può interrogarlo, ad esempio,
per chiedere ragione della sofferenza, come ho detto prima. Invece il
Dio di tutte le altre religioni rimane nella sua beatitudine, e dunque
nelle altre religioni la sofferenza degli innocenti è uno scandalo.
Il mussulmano non intrattiene una relazione personale con Dio e il nome
di padre è esplicitamente escluso per Dio, il mussulmano non
sta dinanzi a Dio, bensì gli è sottomesso, e il Dio coranico
è causa della stessa sofferenza umana perché ogni evento
che accade nel mondo è effetto diretto della Volontà divina.
La fede cristiana è una partecipazione alla conoscenza che Dio
ha di sé stesso. È un atto dell'intelligenza che dà
il suo assenso alle verità di fede perché ne scorge la
ragionevolezza. Invece, la fede mussulmana è soggezione cieca
alla volontà arbitraria divina.
Il cristianesimo apprezza la ragione, per cui un cristianesimo autentico
promuove la filosofia e la stima profondamente. L'islamismo disprezza
la ragione, infatti non ha avuto filosofi perché gli unici che
si ricordano sono al-Kindi, al-Farabi, Avicenna ed Averroè. Avveroè,
per es., è stato un commentatore di Aristotele. Ora, anche San
Tommaso ha commentato Aristotele, ma ha altresì elaborato uno
straordinario pensiero: Averroè non vale la metà di San
Tommaso d'Aquino! È significativo che, ad un certo punto, la
filosofia araba si sia arrestata, come è significativo che il
titolo di un testo di al-Gazali (un mistico) sia: "La distruzione
della filosofia". L'islamismo disprezza la ragione perché
svaluta in generale il mondo.
E per quanto riguarda i rapporti tra legge civile e religiosa?
Per quanto riguarda i rapporti tra legge religiosa e civile, nel cristianesimo
esse sono chiamate a collaborare, non sono contrastanti. Però,
la legge civile non deve proibire tutto ciò che la legge religiosa
proibisce, ad esempio, gli atti di gelosia, di accidia, l'ateismo...
perché l'unico compito della legge civile è quello di
proibire soltanto ciò che danneggia direttamente il bene comune.
Allo stesso modo, sarebbe assurdo se la legge civile imponesse come
obbligatori tutti gli atti virtuosi perché, per essenza, la virtù
è frutto di una scelta libera dell'uomo e una virtù forzata
non ha senso. Nell'islamismo, invece, le due leggi coincidono. La violazione
della legge civile è anche violazione della legge religiosa.
Per questo principio, qualsiasi violazione della legge religiosa rende
suscettibile ciascuno di essere punito dall'autorità civile.
Mentre nel cristianesimo le autorità religiose sono distinte
da quelle civili: "Rendete dunque a Cesare ciò che è
di Cesare e a Dio quello che è di Dio" [Mt 22,21-22], l'islamismo
è una sorta di religione civile, religione di un popolo, di una
nazione che è quanto di più contrario al cristianesimo,
che non si lascia irretire nei confini angusti di un popolo ma è
una religione universale. Da questo punto di vista, i cristiani non
sono nemmeno cittadini del mondo ma dell'universo. Per quanto riguarda
la dignità della persona, nel cristianesimo gli uomini sono tutti
uguali, tutti ugualmente figli di Dio. "Non più giudeo,
né greco, né schiavo, né libero" come dice
San Paolo nella Lettera ai Galati. Nell'Islam c'è una radicale
discriminazione, perché, da una parte, sono posti i credenti,
dall'altra i non credenti. Nel cristianesimo c'è uguaglianza
di dignità tra l'uomo e la donna per cui, quando non mi indigno,
mi viene da ridere quando si accusa il cristianesimo di essere maschilista
perché le donne non vengono ammesse al sacerdozio! Infatti, nel
cristianesimo, la creatura più sublime di tutto l'universo è
una donna: la Vergine Maria. Nell'Islam, come noto, l'uomo è
nettamente superiore alla donna: può avere più mogli,
può tranquillamente commettere adulterio, mentre, se la donna
commette adulterio, viene lapidata. C'è un versetto del Corano
che recita: "Le donne sono un campo da arare".
Avere un giusto orgoglio delle propria fede non deve portare certamente
al fanatismo religioso, né da parte dei cristiani, né
da parte dei musulmani, proprio perché Dio ci insegna ad amare
tutti gli uomini indistintamente. Tuttavia, i Padri della Chiesa hanno
detto che al di fuori di essa non c'è salvezza. Questa frase,
apparentemente dura ma vera, come si interpreta correttamente riferita
in particolare al mondo islamico?
Avere un giusto orgoglio della propria fede mi sembra necessario, soprattutto
in quest'epoca caratterizzata da un notevole sincretismo religioso,
in cui al supermarket del sacro ciascuno, erroneamente, si crede libero
di scegliere sullo scaffale elementi diversi di differenti religioni,
in modo da costruirsi un credo "fai da te". Avere un giusto
orgoglio riguardo la propria fede è naturale per un cristiano,
anche in relazione alle differenze teologiche che ho esposto prima,
che palesano la superiorità del cristianesimo. Nel cristianesimo
tutto è coerentemente articolato in maniera stupefacente e si
ha una dottrina che risponde in maniera definitiva ai desideri radicali
dell'uomo. Per fare solo un esempio, l'uomo desidera profondamente di
condividere la sua vita con altri, perciò la famiglia è
una realtà pienamente connaturata all'uomo, da difendere ad ogni
costo. Ebbene, il cristianesimo promette di partecipare alla vita di
un Dio che è Trinità, cioè che è famiglia.
Quindi, quando si fa ecumenismo bisogna tenere presente quello che ci
unisce alle altre religioni, senza però occultare quello che
ci divide, ed è giusto avere l'orgoglio di essere cattolici.
Questo orgoglio non deve portare al fanatismo religioso: non ha senso
convertire con la violenza un non credente, perché l'atto di
fede dev'essere libero. Perciò, se qualche volta (molto meno
spesso di quanto si creda) nella storia ci sono state delle violenze
in nome della fede cristiana o delle conversioni forzate al cristianesimo,
ebbene sono state perpetrate in spregio all'insegnamento cristiano.
Questo non significa che in certi casi il cristiano non possa ammettere
l'impiego della forza: si pensi, per es., al principio della legittima
difesa o all'episodio evangelico dell'ira di Gesù contro i mercanti
del Tempio. Ma per il resto il Dio cristiano prescrive di amare il fratello,
che è confratello in Cristo e figlio dello stesso padre Dio:
"Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore con tutta la
tua anima [...] e amerai il prossimo tuo come te stesso" [cfr Mt
22,37-39]. Dio ama tutti gli uomini senza distinzioni, cosa impensabile,
per esempio, per la filosofia greca. Il cristianesimo arriva addirittura
allo sconvolgente "amate i vostri nemici e pregate per i vostri
persecutori" [Mt 5,44-45], e quindi è veramente l'orizzonte
culturale in cui è possibile un vero e pieno umanesimo come promozione
dell'uomo nei confronti dell'altro uomo. Questo mi preme sottolinearlo
perché, nella storia della filosofia, a partire dall'Illuminismo
fino ai nostri giorni, ci sono degli autori che pensano che un vero
e proprio umanesimo sia abbia con l'ateismo. Nell'Illuminismo, da Pierre
Bayle a Voltaire, nell'800 Bruno Bauer e Feuerbach ritenevano che bisogna
eliminare Dio, perché l'uomo, da amico di Dio, deve diventare
amico dell'uomo, e al Dio in cielo è necessario sostituire l'uomo
di carne e sangue. Contro queste tesi vale la celebre affermazione di
Dostoevskij: "Se non esiste Dio, tutto è possibile"
e il XX secolo, con le sue carneficine e i suoi totalitarismi, ha dimostrato
precisamente che le ideologie antireligiose e anticristiane, che hanno
cercato di cancellare dalla storia il nome di Dio, hanno prodotto i
più mostruosi genocidi e carneficine. La storia del Novecento
gronda del sangue di centinaia di milioni di vittime proprio perché
si è cercato di cancellare l'esistenza di Dio: perciò
Dostoevskij è stato profetico.
Per quanto riguarda l'interpretazione dell'affermazione "extra
Ecclesiam nulla salus", fuori dalla Chiesa non c'è salvezza,
vuol dire che soltanto nel cattolicesimo c'è la verità
tutta intera e quindi colui che abbia ricevuto un annuncio cristiano
credibile, convincente, deve credere a Cristo e alla Sua Chiesa per
salvarsi. Tuttavia, per l'infinita misericordia di Dio, si salvano anche
coloro che - non avendo ricevuto un annuncio credibile e convincente
- non credono esplicitamente nella Chiesa: se essi avessero ricevuto
una proposta credibile avrebbero creduto, perciò si salvano a
patto che rispettino la legge naturale, cioè quei precetti morali,
che sono individuabili da ogni uomo e immutabili in ogni tempo, e che,
in definitiva, corrispondono ai dieci comandamenti.