a sottostante chiesa di San Giovanni Battista si trova sotto l’attuale chiesa di Santo Stefano intra muros. Non se ne conosce la data precisa dell’erezione ma dallo stile architettonico delle arcate, poggiate su colonnine di pietra, ci riporta al meno al secolo X. Per accedervi è necessario chiedere permesso al parroco di Santo Stefano. Vi si scende, attraversando il piccolo andito ove si tirano le campane, per una ripida scala che conduce anche ai sotterranei e alla cantina dei religiosi. Il visitatore rimane impressionato dalla mastodontica costruzione che regge l’importante fabbricato adibito a convento.
Quando gli agostiniani si trasferirono in paese per officiare la nuova dimora di San Giovanni, il convento era un modesto fabbricato, che si adagiava su quel tratto adiacente alla chiesa, ove tuttora dicesi "La Torricella".
In questa chiesetta di San Giovanni vi sono i segni dell’altare maggiore adorno di due colonne di marmo privo d’altare. La parte del soffitto adiacente all’altare è tutto guarnita di stucchi e interessanti pitture cinquecentesche.
Il restante soffitto con bianche volte a crociera, sostenute da antiche colonne marmoree che possono credersi rilevate da antiche chiese o costruzioni civili.
La navata doveva essere più larga come lo dimostrano le linee architettoniche, è resa più stretta dalle sotto murature della nuova chiesa di Santo Stefano erettasi sopra nel 1752 - 1762.
Un passetto chiuso da un muro, conduce ad altri locali abbandonati e che si vedono adiacenti al Palazzo Mattei. Sul pavimento osserviamo alcuni loculi per la tumulazione dei cadaveri quando ancora non sorgevano i cimiteri odierni.
L’ingresso di questa chiesa doveva essere verso la parte dove presentemente trovansi i resti dell’antico Oratorio del Crocefisso.
Dimodochè la chiesa ed il convento erano tenuti in possesso dalle monache ed officiata la chiesa dai preti regolari fino al 1385, allorquando fu eretta in Parrocchia e donata ai PP. Agostiniani jus patronato di Mascia Annibaldi, Signora di Cave.
Forse la buona donna, nel restare vedova di Lorenzo Sanguigni, con le sue sostanze volle continuare lo jus patronato; perciò tutto era obbedienza e gratitudine verso la benefattrice. Tutto dipendeva dal suo volere e volle tolta questa chiesa e monastero ai Chierici, per favorire l’ordine agostiniano. Ciò fatto dopo breve periodo, con atto, per lo stesso notaio Sciarra, il giorno della ricorrenza dell’Assunzione di Maria Vergine, fece espressa donazione di tutti i suoi beni alla detta Chiesa e Convento.
Il Pontefice Martino V Colonna, con Bolla del 3 dicembre 1428 al vescovo di Veroli Clemente Bartolomei, romano, dell’Ordine Eremitano di Sant’Agostino, espose il desiderio di chiamare i frati agostiniani della chiesa di Santo Stefano (extra muros) a quella di San Giovanni (o Santo Stefano intra muros) a maggior incremento del culto divino e salvezza delle anime.
E così avvenne.
Sembra però che gli agostiniani non potevano esercitare la cura parrocchiale nella nuova dimora, tanto è vero che per essersi arrogato il diritto furono scomunicati dal cardinale Torrecremato vescovo di Palestrina.
Così e da supporre che la chiesa di San Giovanni o Santo Stefano decadde dalla sua origine parrocchiale con il suo abbandono, dal clero secolare. Né gli agostiniani potevano vantare questo diritto, perché provenienti dall’altra chiesa di Santo Stefano Vecchio (extra muros), che, come ha detto, era parrocchiale, poiché i frati avrebbero potuto ottenere la facoltà di esercitare il diritto di cura d’anime trattandosi di spostamento di confine.
Il che è escluso dall’atto vescovile di scomunica per aver arbitrariamente esercitato diritti non commessi. Però un tale diritto di cura fu concesso ai frati dal Pontefice Pio II nel 1460, il quale come si è detto, passando per Cave, concesse loro di poter esercitare il ministero parrocchiale, alla presenza dei cardinali Custoville, Borgia e Colonna. Così gli agostiniani amministrarono i sacramenti in quest’antica chiesa di San Giovanni in altre parole a dire di quella chiesa sottostante di Santo Stefano, e nell’adiacente antichissimo Oratorio del S.S. Crocifisso.
Nella suddetta Bolla di Martino V, dette facoltà al nominato vescovo di Veroli di poter vendere a favore dell’antica chiesa di San Giovanni che fu chiamata di Santo Stefano (intra muros), alcuni frati appartenuti all’antica chiesa di Santo Stefano (extra muros), alle cappelle di Sant’Angelo Superiore e Sant’Angelo Inferiore e alla curia temporale di Cave, nonché di vendere alcune abitazioni mezze diroccate del Casale di S. Sabino.
Al 17 maggio 1473, come si legge in un antico inventario di Santo Stefano (intra muros), furono soppressi due benefici semplici a favore della stessa chiesa, per ordine del cardinale Santacroce in Gerusalemme, vescovo di Palestrina.
Intanto gli agostiniani venivano man mano acquistando terreni, domini e beni d’ogni sorta, talmente che molti fondi del territorio vennero da loro proprietà, promovendo una certa invidia ai chierici della parrocchia di Santa Maria Assunta.
La locale confraternita del Sacramento, per ordine del vicario Generale di Palestrina, pagava ai frati quattro scudi all’anno per la manutenzione della lampada del S.S. Sacramento. In questa stessa chiesa di San Giovanni si doveva predicare la Quaresima e l’Avvento; ma questi pii esercizi passarono poi alla chiesa di Santa Maria Assunta, tanto che i frati desiderosi di ricuperare per la chiesa loro tale diritto, il 27 gennaio 1690, spedirono un monitorio contro i Canonici. Cominciarono così i rancori fra le due parrocchie.
La chiesa di San Giovanni (o Santo Stefano) fu officiata dagli agostiniani fino verso la metà del secolo VIII, quando sopra di lei fu edificata l’attuale chiesa dedicata a Santo Stefano col relativo Convento.
La sottostante chiesa di San Giovanni, al presente è divenuto un luogo abbandonato; mentre, a parer nostro, poteva ancora essere utilizzata ad incremento della religione, con doppia scalea scendete al piano della chiesetta, ad imitazione di tante altre di Roma, e dare allo studioso di cose antiche la visione delle passate vicende della storia cristiania di questo popolo. E a ricordo di tutte quelle vicende che abbiamo finora narrato, vogliamo che certe costruzioni non restino nascoste e abbandonate, avendo esse attraversato una tradizione comune.
Questa tradizione è restata inconcussa fino ai tempi attuali, quando il prof. Giuseppe Presutti, in una conferenza dal tema: Cave Prenestina, tenuta in Cave il 13 settembre 1908 a beneficio di un istituendo Ambulatorio Medico Chirurgo, ha dato occasione di pensare diversamente sull’antica chiesa di Santo Stefano o San Giovanni; dimostrabile verrebbe ad annientarsi quanto la tradizione ha trasmesso fino a noi.
Il nostro Bonasoli crede opportuno porre in esame le affermazioni del prof. Presutti ed entrare in discussione sull’antica chiesa di Santo Stefano Vecchio.
Riepilogando quanto il Bonasoli ha affermato in precedenza, si ha:
Che in Cave esistevano due chiese dedicate a Santo Stefano; una antichissima nella contrada di Santo Stefano Vecchio; l’altra situata sotto la esistente nuova chiesa omonima che trovasi nella piazza, oggi denominata Garibaldi.
Che la chiesa di Santo Stefano Vecchio, forse edificata dai Benedettini, dimorarono le Monache aggregate a quelle di S. Ciriaco di Roma, fino a che la chiesa non passò ai PP. Agostiniani.
Che detti padri vennero con Bolla di Martino V, chiamati nell’interno del paese, e propriamente nell’antica chiesa di Santo Stefano officiata ab antiquo dal clero secolare.
Con queste affermazioni il prof. Presutti dice: Santo Stefano si può dire soppiantato dalla moderna chiesa parrocchiale curata dal PP. Agostiniani e la cui ubicazione non va confusa con quella campestre di Santo Stefano Vecchio e Santo Sabino (volgarmente Santa Sabina), che erano casali dell’omonima antica chiesa.
Ma di quale chiesa si può rispondere? Di quella di Santo Stefano vecchio, o di quella situata sotto la chiesa nuova di Santo Stefano?
Se della prima il Presutti ammette una chiesa dedicata a Santo Stefano in contrada di campagna, detta anche presentemente di Santo Stefano Vecchio, lo abbiamo ammesso anche noi.
Se poi escludendo una chiesa in campagna intende con la sua omonima antica chiesa, di riferirsi alla seconda, noi non può abbracciare la sua affermazione. Ne secondo noi vale l’argomento che porta a favore della sua tesi, dicendo: Tanto è vero che Mascia Annibaldi (Tommascia de Annibalis) moglie di Giordano Colonna, Principe di Salerno, con testamento del 10 ottobre 1425, si elesse la sua sepoltura a Santo Stefano, dando a questi frati il casale di Santo Sabino, posto lungo la via di Genazzano; poiché i frati nel 1425, col testamento non erano ancora chiamati entro il paese, mentre si trovavano a Santo Stefano Vecchio, che fu innalzata a parrocchia non più tardi del 1385.
Perciò la chiesa di cui parla l’Annibalis può essere precisamente quella di Santo Stefano Vecchio, ai cui frati donarono il casale di Santo Sabino che si trovava vicino a quella località. In tal modo l’argomento del Presutti, piuttosto che suffragare la sua tesi, la quale, pare non voglia riconoscere altra chiesa, dedicata a Santo Stefano, fuori quella nell’interno del paese, viene ad affermare l’esistenza di un’altra chiesa di campagna come noi abbiamo affermato.
Ma noi crediamo che il prof. Presutti non voglia escludere una chiesa di campagna dedicata a Santo Stefano, poiché altrimenti lo troveremmo in contraddizione con se stesso, la dove, parlando di Cave, come Castello ben munito fin dai tempi di Stefano II, che vi si recò da Roma per ridurlo sotto il diretto dominio della chiesa, dice, che quel Papa concesse metà Castello di Cave, insieme a due terzi di Rocca di Cave, più le chiese di Santo Stefano e Sabino alle monache di S. Ciriaco in Via Lata.
Qui parla esplicitamente, non solo dell’esistenza di una chiesa di campagna dedicata a Santo Stefano, ma di un’altra annessa di campagna dedicata a S. Sabino.